Le ultime parole di Isabel Sánchez Romero furono: “Viva Cristo Re!”

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Isabel Sánchez Romero nacque a Huéscar presso Granada, in Spagna, il 9 maggio 1861. Quattro giorni dopo fu recata al fonte battesimale e l’11 novembre dello stesso anno ricevette il sacramento della confermazione.

Penultima di otto figli, visse l’infanzia e l’adolescenza nella sua famiglia, di condizioni economiche piuttosto modesta, e ricevette una buona educazione umana e cristiana. In età giovanile entrò nel convento domenicano «La Consolación» di Huéscar e il 2 ottobre 1885 emise la professione dei voti.

Visse la consacrazione religiosa con spirito di pietà, di servizio e di comunione. Era una donna di carattere modesto, ma alquanto scrupoloso. Tuttavia, profondamente e serenamente radicata nella fede, visse in sincera comunione con il Signore, nella linea della spiritualità domenicana, Pervenne, così, ad una maturità spirituale, che si esprimeva in una intensa preghiera al Santissimo Sacramento, unita a grande umiltà e generosità nel servizio. Completamente dimentica di se stessa, Suor Ascensión de San José con assoluta semplicità tutto orientava alla maggior gloria di Dio e alla salvezza dei fratelli.

All’inizio della guerra civile, le monache decisero di lasciare il loro convento e rifugiarsi presso le case di persone amiche. La Serva di Dio fu accolta da suoi parenti nella stessa città di Huéscar; ma, dopo pochi giorni, i miliziani, le cui fila erano andate infoltendosi, la sera del 16 febbraio 1937 irruppero in casa. La Serva di Dio subì una serie di maltrattamenti brutali da parte dei persecutori, senza alcuna considerazione dell’età, quasi 76 anni, e dell’infermità che l’aveva accompagnata per tutta la vita.

Al mattino del 17 febbraio 1937 fu uccisa a Huéscar. I carnefici manifestarono verso la Serva di Dio una particolare ferocia, imponendole di assistere alle torture inflitte agli altri detenuti e torturandola prima di ucciderla, perché si rifiutava di bestemmiare. Ella accettò il martirio e visse quei momenti con fiducia nella Provvidenza, perseverando sino alla fine. Le sue ultime parole furono: “Viva Cristo re!”.

Alla preghiera mariana di domenica 19 giugno, dalla finestra di Piazza San Pietro, il Papa ha ricordato che pur nella crudeltà che segnò la guerra civile spagnola non mancarono esempi di fede luminosa come quella dei 27 nuovi martiri che la Chiesa ha beatificato il giorno precedente a Siviglia. Francesco ha citato i loro nomi all’inizio del post Angelus: “Ieri, a Siviglia, sono stati beatificati alcuni religiosi della famiglia Domenicana: Angelo Marina Alvarez e diciannove compagni; Giovanni Aguilar Donis e quattro compagni, dell’Ordine dei Frati Predicatori; Isabella Sanchez Romero, anziana monaca dell’Ordine di San Domenico, e Fruttuoso Perez Marquez, laico terziario domenicano. Tutti uccisi in odio alla fede nella persecuzione religiosa che si verificò in Spagna nel contesto della guerra civile del secolo scorso. La loro testimonianza di adesione a Cristo e il perdono per i loro uccisori ci mostrano la via della santità e ci incoraggiano a fare della vita un’offerta d’amore a Dio e ai fratelli”.

Nella Messa di beatificazione celebrata nella cattedrale di Siviglia il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, ha pronunciato la seguente omelia, della quale riportiamo ampi stralci:

Dal racconto dell’Apocalisse abbiamo udito che, nella sua visione, Giovanni contemplò una grande moltitudine di persone le quali, avvolte in bianche vesti, inneggiavano a Dio. Stupito per questa immagine egli si domandò chi fossero. Gli giunse la risposta: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello». Sant’Agostino commenterà annotando che di per sé ogni sangue tinge di rosso, ma che, diversamente da ogni altro, il sangue dell’Agnello conferisce candore perché si tratta dell’Agnello di Dio «che toglie i peccati del mondo» (Gv 1,29); è il sangue di Cristo «sparso per molti in remissione dei peccati» (Mt 26, 28) (cf. Discorso 306/D: PLS 2, 788).

Nella prospettiva di questo sguardo profetico noi oggi guardiamo al consistente gruppo di Servi di Dio che poco fa sono stati dichiarati beati e proclamati martiri. Appartengono a quella «candida schiera dei martiri», che loda il Signore, come canta il Te Deum: «te martyrum candidatus laudat exercitus». La loro vicenda storica è stata rievocata all’inizio di questo sacro rito: furono tutti vittime della medesima persecuzione, che negli anni trenta del secolo scorso provocò la morte di altre centinaia e centinaia di cristiani: sacri ministri, persone consacrate, fedeli laici… Una moltitudine, davvero, che ha lavato le proprie vesti nel sangue dell’Agnello.

I nostri nuovi Beati furono persone umanamente molto diverse per il loro carattere, le loro storie personali. Li accomunava, però, il carisma di san Domenico: una scelta vocazionale, la loro, vissuta con fedeltà, coerenza, generosità. Risplende con singolare luminosità la figura di una donna, Suor Ascensiòn de San José. Insieme con altre ella fu crudelmente seviziata. A lei fu chiesto di bestemmiare e calpestare il crocifisso: si rifiutò e le fu spaccato il cranio. Non rinnegò la fede; anzi, morì osannando a Cristo Re e lodando il Santissimo Sacramento. Sapeva bene, Suor Ascensiòn, che il sangue dell’Agnello conferisce candore perché è il sangue «sparso per molti in remissione dei peccati».

Stiamo celebrando la Santa Messa: anche noi, allora, incoraggiati dalla sua testimonianza, ripetiamo nell’intimo del cuore la fede della Chiesa: «il suo Sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa» (Prefazio della SS.ma Eucaristia, I). È una verità che la Chiesa ci ricorda sempre e che ci ripete in questi giorni, mentre celebriamo la solennità del Corpus Christi. Tutti noi, che ci nutriamo del medesimo Corpo di Cristo e ci lasciamo santificare dal suo sangue prezioso, diventiamo un solo corpo. Ed oggi Gesù ci rassicura: su di noi c’è il suo sguardo, per noi c’è la sua preghiera. «Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi». Ed è così che egli ci invia nel mondo: uniti a lui e in comunione tra noi.

Anche questo lo abbiamo ascoltato dalla lettura del Santo Vangelo: «come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo»! Il Vangelo deve essere proclamato anzitutto mediante la testimonianza della fraternità e della comunione. […]

Siamo anche consapevoli, però, che il Signore non ci manda in una situazione comoda e facile! Ce lo ricordano i nostri Martiri. Quella del cristiano nel mondo non è mai una situazione comoda e facile. […]

Le difficoltà e le prove che i nostri Martiri hanno sopportato e superato, benché in una paradossale vittoria che agli occhi del mondo è una sconfitta, non sono certamente le uniche. […] Guardiamo, allora, all’esempio dei nostri Martiri per sentircene confortati. San Gregorio magno scriveva che tanto più solida sorge in noi la speranza, quanto più dure sono le prove sopportate per amore di Dio (cf. Moralia in Job, II, X,36: PL 75, 941). Abbiamo fiducia, nonostante le nostre fragilità. La sua forza Dio la rivela proprio nei deboli e anche agli inermi egli dona la forza del martirio (cf. Prefazio dei santi martiri). Amen.

 

L’immagine della copertina dell’articolo riproduce una veduta del comune di Huéscar, nella comunità autonoma dell’Andalusia.

 

 

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