La «Trilogia romana» di Roberto de Mattei: quando la storia è anche letteratura

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La storia può essere spiegata, ma può anche essere narrata. Negli ultimi decenni a raccontarla è stata più la filmografia (cinematografica o televisiva) che la letteratura, talvolta con buoni risultati, talaltra discreti, talora pessimi. Di sicuro nell’editoria troviamo molto ciarpame, sia nei contenuti, sia nello stile letterario e non solo per ciò che riguarda i romanzi o i racconti storici. Scrivere bene è un’arte, richiede preparazione, essere ruminatori di libri, rielaborare concetti e parole con un fraseggiare che catturi, rispetti, educhi il lettore, e quando si fa memoria di chi o di cosa non è più, allora occorre essere seri, esigenti nel rigore e intellettualmente onesti.

È così che, fra una scuola che non dedica più spazio sufficiente per una buona preparazione storica, fra un’istruzione agli studenti maggiormente proiettata alla formazione scientifica, informatica e tecnologica, fra la disattenzione generale ai fatti del passato a motivo della rivoluzione culturale del ’68 che ha sprezzato la storia in quanto tale per proiettarsi in un futuro libero appunto dal passato, la narrazione storica non solo non è più considerata editorialmente appetibile, ma mancano proprio gli scrittori competenti in grado di proporla in maniera sincera e genuina, poiché l’ideologia discriminatoria e tendenziosa, erede delle teorie comuniste o radicali, è sempre in agguato.

Tuttavia, nello squallido panorama narrativo in genere e narrativo-storico in particolare, arriva, fresco di stampa, un gustoso libro. Il titolo è Trilogia romana, scritto da uno storico, Roberto de Mattei e pubblicato da Solfanelli. Sono tre racconti ambientati nella Roma dell’Ottocento e del primo Novecento. È la prima volta che de Mattei si cimenta in questo genere letterario. La tipologia non è comunque quella del romanzo storico, bensì della ricostruzione di personaggi ed eventi rigorosamente documentabile, il che rende il lavoro alquanto accattivante e, allo stesso tempo, istruttivo. Ma come è nata l’idea di trattare la storia attraverso l’espressione letteraria? Così risponde l’autore:

«La mia opera di storico e di cattolico militante è sempre stata dedicata alla ricerca della verità. Non ho mai amato molto i romanzi, anche perché, da storico, so che la realtà è spesso più romanzesca e interessante di quanto la fantasia umana possa immaginare. Mi sono reso conto però che oggi, per trasmettere delle verità, storiche, religiose o morali, dobbiamo trovare nuove forme espressive, non solo ricorrendo agli strumenti dell’innovazione tecnologica, come Internet, ma anche riproponendo, generi letterari tradizionali, quali il teatro, la poesia, il romanzo. Con Trilogia Romana mi sono proposto di avvicinare una cerchia più ampia di lettori, attraverso una ricostruzione storica di fatti e di eventi presentata in maniera narrativa. La forma del dialogo mi è sembrata la più efficace, come Joseph de Maistre aveva già fatto con le sue Serate di San Pietroburgo».

Dunque per de Mattei la forma letteraria, nelle sue manifestazioni drammaturgiche, liriche e narrative, è uno strumento che deve essere recuperato perché, nello squallido panorama odierno e nel deserto lasciato dalla Chiesa postconciliare, le persone vanno avvicinate alla verità e alla fede non solo in modo accademico (non sarebbe sufficiente), ma anche in maniera divulgativa e affabile per arrivare a molti, anche perché: «Trilogia Romana è un’opera che può essere letta a diversi livelli, e può interessare dunque tipi diversi di lettori. Alcuni saranno attratti dal quadro di vita romana tra Ottocento e Novecento; altri dalla singolarità delle figure e degli eventi che sono presentati; altri ancora dal ruolo delle società segrete della storia che viene messo in evidenza, con particolari anche inediti; ma ciò che io voglio trasmettere e che mi auguro sia recepito dai lettori, anche in maniera indiretta, è innanzitutto una teologia della storia. La narrativa moderna sembra essere risucchiata dal vortice del nulla. Nelle mie pagine cerco di elevare il lettore a una visione alta delle vicende storiche che oggi è abbandonata perfino dagli uomini di Chiesa. Solo la teologia della storia può farci comprendere la natura profonda del dramma religioso, politico e sociale che stiamo vivendo».

Ecco il segreto di questo libro che non è solo un rimembrare con coerenza e fluidità linguistica accadimenti del passato, ma c’è qualcosa di più profondo, di più incisivo: qui viene ridato il giusto posto d’onore alla lettura provvidenziale della storia. E le pagine si fanno pedagogia. Allora tornano in mente le illuminanti parole di Dom Prosper Gueranger nel suo testo Il senso cristiano della storia (Amicizia Cristiana), quando dice che a rendere la visione dello storico cristiano solida e serena è la certezza che gli dà la Chiesa in quanto Sposa di Cristo, la quale gli rischiara il cammino come un «faro e illumina di divino i suoi giudizi. Egli sa quanto stretto sia il legame che unisce la Chiesa all’Uomo-Dio, quanto la Chiesa sia salvaguardata dalla promessa divina dalla possibilità di commettere qualsiasi errore nell’insegnamento e nella guida generale della società cristiana, e quanto profondamente lo Spirito Santo l’animi e la conduca; è dunque in essa che lo Storico cercherà il criterio dei propri giudizi».

Lo storico cristiano non si spaventa, non si dispera, non si angoscia, non si adira come potrebbe esserlo, invece, per esempio, uno storico ideologico, legato alla sola politica, in cui la sua fazione cede agli accidenti della storia.

Spiega ancora Dom Gueranger: «Le debolezze degli uomini di Chiesa, gli abusi temporanei, non lo stupiscono perché sa che il Padre della famiglia umana ha deciso di tollerare la zizzania nel suo campo fino alla mietitura. Se deve raccontare, sarà attento a non tralasciare tristi episodi che testimoniano le passioni dell’umanità e attestano allo stesso tempo la forza del braccio di Dio che ne sostiene l’opera; ma sa dove riconoscere la direzione, lo spirito della Chiesa, il suo istinto divino. Li riceve, li accetta, li confessa coraggiosamente; li applica nei suoi scritti. Parimenti non tradisce e non sacrifica». Chiama buono ciò che la Chiesa di Cristo giudica buono e chiama cattivo ciò che la Chiesta di Cristo chiama cattivo. Lo storico cristiano, pertanto, è tenuto a raccontare fatti e persone alla luce della trascendenza che, in definitiva, significa essere storiografi dall’orizzonte eterno, liberi dalle catene del contingente.

Le vicende presentate in Trilogia romana sono o poco note oppure inedite; interessante è che i soggetti ivi inseriti, anche quelli apparentemente in secondo piano, vengono ad assumere connotazioni di rilievo. Ma quali di tutte queste personalità de Mattei stima maggiormente e perché; quali considera più pericolose e perché; quali, infine, gli sono particolarmente simpatiche per il loro modo di relazionarsi?

«Tutti i miei personaggi, alcuni noti, altri meno noti, sono realmente esistiti. Le parole che ad essi attribuisco sono state realmente pronunciate o corrispondono al loro pensiero. La figura a cui ho dato maggior spazio e che mi è più cara è quella della principessa Maria Cristina Giustiniani Bandini che ho conosciuto non personalmente, ma solo attraverso memorie familiari, la lettura dei suoi scritti, e soprattutto grazie al devoto ricordo che di lei aveva un caro amico scomparso, Pierre Engel.

Sul fronte opposto, una figura particolarmente inquietante e pericolosa mi sembra quella di un altro principe romano, l’islamista ed esoterista Leone Caetani. Il ruolo dell’aristocrazia nella storia, nel bene o nel male, è più importante di quanto noi possiamo immaginare, al di là delle presentazioni deformate che di questa classe sociale ci vengono fatte dai mass media. Anche sotto questo aspetto, Trilogia Romana, può essere considerata una “Apologia della Tradizione”».

Il primo racconto rievoca il Cardinale Giuseppe Mezzofanti e lo storico Jacques Crétineau-Joly; il secondo è un mosaico di figure fra cui spiccano Monsignor Umberto Benigni e Don Ernesto Buonaiuti, nonché il Principe Leone Caetani e la Principessa Maria Cristina Giustiniani Bandini, protagonista principale del terzo e ultimo racconto, il quale, con freschezza e pennellate di particolari, descrive il passaggio di Roma da capitale della Cristianità a capitale dei liberali, dei massoni, dei politici, dei democristiani, aperti al socialismo e al comunismo, dai quali si dipartì la riforma agraria di De Gasperi, che toccò con prepotenza la proprietà privata degli italiani; un atto che Pio XII, nel 1951, giudicò negativamente, affermando la legittimità dei grandi latifondi. Con l’abolizione della mezzadria e con lo sradicamento dei contadini dai loro territori, persone e famiglie si sono spostate nelle periferie urbane edificate dai “palazzinari”. Contemporaneamente la cultura è stata carpita da socialisti, comunisti e liberali, che hanno occupato le cattedre delle scuole e delle Università.

Non si può inoltre tralasciare Maria Montessori, dalla quale emerge il veleno ideologico e culturale di una classe intellettuale e dirigente che ha guidato la secolarizzazione dell’Italia e al suo abbruttimento morale. L’educatrice dell’infanzia, che a 28 anni aveva abbandonato suo figlio (avuto da una relazione con lo psichiatra Giuseppe Montesano), non parlava di matrimonio, ma della necessità di un’evoluzione della concezione della maternità, grazie alla «scelta cosciente e libera» del proprio partner «come contributo alla rigenerazione della razza. Insomma si va dal libero amore alla trasformazione dell’educazione in un allevamento di razze umane». Femminista e seguace della teosofia di Hélène Blavatskij, la Montessori è tuttora considerata un punto di riferimento della pedagogia moderna, svincolata dai “tabù” del passato e dai “pregiudizi”, proiettata a rendere l’individuo autonomo e indipendente. Personaggi come lei hanno in realtà formato generazioni di persone sole, insicure, allo sbando, in balia del potere assoluto dello Stato, compreso quello “democratico”.

 

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