La scala di Sant’Alessio

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I reliquiari sono spesso opere d’arte raffinate e complesse, gli artisti esercitano la loro creatività usando forme ricercate e materiali preziosi, in questo campo l’arte orafa ci ha lasciato dei veri capolavori. Nell’immaginario il reliquiario è un oggetto di modeste dimensioni, ma quello esposto nella Basilica di Santi Bonifacio e Alessio sul colle Aventino a Roma ha un carattere di eccezionalità: è una grande teca in legno dorato e vetro contenente la scala lignea sotto la quale visse gli ultimi anni della sua vita e morì Sant’ Alessio.

Una vera rampa di scala disposta in diagonale sul muro della controfacciata della Basilica che doveva far parte della casa di Eufemiano, padre di Sant’Alessio. L’edificazione della chiesa, infatti, si fa risalire al III/IV secolo sui resti di questa villa patrizia.

La basilica che custodisce la reliquia straordinaria, ha al suo interno molte opere di notevole interesse che testimoniano l’avvicendarsi dei secoli e degli stili artistici, e la scala di sant’Alessio è uno degli elementi caratterizzanti il gusto barocco preminente. Essa, però, non si può considerare  semplicemente esposta, da sola o con una semplice didascalia non avrebbe ottenuto lo stesso impatto rilevante, sarebbe stato  non di più che  un resto  architettonico senza fascino, invece con grande genio,  le è stata costruita intorno una vera scena teatrale che racconta gli ultimi momenti di vita del Santo.  La straordinaria vita di Alessio era storia conosciuta a Roma  fin dall’antichità: contrario alle nozze volute dal padre, sentendosi attratto da una vita eremitica e casta,  fugge in Siria e vive in esilio vagabondando per 17 anni, tornato povero, invecchiato ed emaciato, non viene riconosciuto dal padre che credendolo un pellegrino lo farà dimorare in un sottoscala del palazzo sfamandolo  in cambio dei lavori più umili per molti anni. La verità sulla sua identità sarà svelata al padre solo dopo la morte del santo con una lettera.

In questa grande scena, che ingloba al centro il reliquiario monumentale e la sua reliquia, l’artista Andrea Bergondi, seguace del Bernini, nel XVII secolo,  ci presenta Alessio morente in veste da pellegrino, recante in mano la lettera rivelatrice. Egli giace sofferente e prossimo alla morte alla base della composizione, mentre una gloria di angeli gli fa da corona, e aspetta di accogliere la sua anima nella luce divina che si apre con raggi d’oro tra l’azzurro del cielo.

La scala, il suo reliquario, le statue, le colonne romane che circoscrivono la scena, raccontano la storia con la stessa enfasi con cui era stata tramandata dalla  pietà popolare, arricchita da innumerevoli interpolazioni e dalla fantasia di scribi, giullari, cantastorie, e che  fu  addirittura musicata da Stefano Landi nel XVII secolo, nel primo dramma per musica di carattere agiografico dato a Roma su libretto del cardinal Rospigliosi.

Alessio rimase a lungo un soggetto molto amato dalla nobiltà e dal popolo romano. L’aria di leggenda che avvolgeva questi racconti di vita di santi, pieni di incredibili incongruenze storiche, non intaccavano ma nutrivano la devozione, erano, ma lo sono tuttora, anzitutto paradigma di fede e di virtù.

 

 

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