Le parole del sacro e della religione – III

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Altra categoria che possiamo prendere in considerazione nell’ambito religioso è quella riguardante i termini che definiscono le persone che in una civiltà si occupano degli aspetti sacrali e rituali.

L’italiano sacerdote proviene dal latino sacerdos che, da un probabile antico *sakro-do-ts, vale «colui che compie le cose sacre» (cioè il sacrificium < sacra facere, «compiere azioni sacre»), in cui sacer/sacrum (dalla stessa radice da cui anche sancio, «stabilisco», e quindi ciò che è «reso inviolabile, stabilito») si lega alla radice *dhe– assimilabile appunto a facere. Il termine sacerdos equivaleva al greco ieréus/ιερεύς, derivato, come l’aggettivo hierós/ιερός, dall’i.e. *isǝró-s («forte, valente»), confrontabile col sanscrito iḍe («io supplico»). Quest’ultimo aggettivo valeva semplicemente «cosa/luogo sacro», per intendere il «santuario».

Più semplice invece la storia del sinonimo prete, dal tardo latino presbyter (da cui anche le forme dotte italiane «presbitero» e «presbiterio») a sua volta dal greco presbúteros/πρεσβύτερος, comparativo dell’aggettivo présbus/πρέσβυς («anziano», forse assimilabile al sanscrito puráḥ, «davanti»), termine da cui in italiano deriva anche il sostantivo presbiopia (e presbite) per indicare il difetto visivo, che si aggrava con l’età, per cui si vede sempre peggio ciò che è vicino all’occhio.

Salendo nella “scala” ecclesiastica troviamo il vescovo, forma latinizzata popolare del greco epíscopos/επίσκοπος (dal verbo episkopéo/επισκοπέω, da cui in italiano le forme dotte «episcopale, episcopato») che significa letteralmente «colui che controlla, ispettore, sorvegliante», visto che uno dei compiti di un vescovo è appunto il sovrintendere sui sacerdoti della sua diocesi (dal tardo latino dioecesis, a sua volta dal greco dioíkesis/διοίκησις derivato dal verbo dioikéo/διοικέω «governare, amministrare», in cui è ben evidente la presenza del termine oikía/οικία,«casa») che, da un valore più amministrativo-politico, cioè le «diocesi» della riforma amministrativa imperiale romana del III/IV secolo d. C., passa poi (nel cristianesimo) al significato, anche attuale, di «divisione amministrativo-ecclesiastica». Sinonimo di vescovo è anche presule, termine latino che significa genericamente «colui che sta davanti, che comanda» o, meglio, richiamando la sua etimologia (prae salio) «colui che salta/danza davanti», termine nato all’interno dell’antica religione romana, e più precisamente nel collegium rituale degli antichissimi sacerdotes Salii, che avevano appunto il compito di danzare in alcune processioni sacre (ne parla anche Virgilio nell’Eneide, c. VIII) guidate da un praesiliens > praesul. Greca è invece l’origine di un altro quasi sinonimo di vescovo, cioè il vocabolo archimandrita[1] (equivalente appunto al vescovo in alcune chiese di rito greco-orientale, anche cattoliche). Tale termine significa, letteralmente, «capo (dal verbo archo/άρχω «comandare») di un monastero» (il bizantino mandra/μάνδρα, «recinto» e poi per metonimia «monastero»). Dall’ambiente monastico-regolare passò poi a quello ecclesiastico-secolare ad indicare la guida di un gruppo di chiese e di sacerdoti.

Salendo ancora la scala, giungiamo al cardinale, dal latino cardo (acc. cardinem, da cui l’italiano «cardine») nel senso traslato di «punto di appoggio, fondamento» di quella santa istituzione che è la Chiesa, e infine Papa, dal greco popolare infantile pappas/πάππας, come in italiano «papà» per padre (da cui nelle lingue slave il «pope», cioè il sacerdote) e Pontefice, erede della carica politico-religiosa romana del Pontifex, cioè un sacerdote appartenente al collegium che esercitava la sorveglianza sul culto pubblico ufficiale (ed in particolare quello Maximus, che di tale collegium era il capo)[2].

Luogo del sacrificio era (ed è) l’altare, in latino altare (anche se più usato il plurale altaria), la cui origine è da alcuni messa in relazione col verbo alere («nutrire»), da altri con l’aggettivo altum («alto», ma anche «grande in quanto allevato, nutrito» e quindi egualmente derivato da alere, di cui esso, oltre che aggettivo, è anche il participio passato). Diverso invece il valore di ara (anch’esso latino ed anch’esso traducibile con l’italiano altare), forse dal verbo arére («essere secco, arido», ed il sostantivato arida era anche sinonimo di «terra»), ma la forma antica asa, testimoniata da Macrobio (V secolo d.C.), parrebbe non confermarlo. La differenza tra altare ed ara ce la spiega ancora Varrone che, citato dal tardo grammatico Servio, dice che l’altare era riservato alle divinità celesti (e quindi maggiori) mentre l’ara a quelle della terra (e quindi minori).

Sempre nella sfera del divino (dal latino divinus, da divus, «divinità», e da cui il verbo divinare, «presagire, profetizzare») troviamo nel mondo antico altre figure “inferiori” rispetto a quella del sacerdote; figure che non si sono conservate nel cristianesimo, ma che hanno tuttavia prodotto degli eredi nel nostro lessico quotidiano.

Vediamo quindi le figure dell’augure, dell’aruspice e dell’indovino.

In greco abbiamo màntis/μάντις, deverbale da mantéuomai/μαντεύομαι, dalla radice indoeuropea *moni- («mente»), che ritroviamo nel sanscrito mati- e nel latino mentem. Da tale termine proviene anche il nome proprio dell’indovina Manto (Dante, Inferno, canto XX, vv. 55sgg.), da cui il Poeta, sbagliando, faceva derivare il nome della città di Mantova. A Roma conosciamo poi due categorie di indovini: l’augur e l’(h)aruspex (tradotti in italiano, in modo letterale-deduttivo, con «augure» ed «aruspice»). Il primo, il cui nome deriva dalla radice del verbo augére («accrescere, ingrandire»), da cui derivano anche auctor ed augustus, è colui che, servendosi del volo degli uccelli, dei sogni e dei fenomeni naturali, dà i presagi assicurando la riuscita (ma letteralmente la «crescita») di un’impresa. Il secondo invece, forse dall’indoeuropeo *haru– («vena») più il verbo latino spìcere («osservare, guardare con attenzione»), era l’indovino che fondava le sue premonizioni sull’osservazione delle interiora degli animali uccisi come vittime nei sacrifici per gli dèi. L’indovino, infine, deriva il suo nome dal latino tardo indovinus (classico indivinus), a sua volta da divus («dio»), essendo dunque colui che interpreta la volontà del dio. Ripetiamo che tutte queste figure pertengono esclusivamente al mondo pagano, senza alcuna eredità (se non lessicale) in quello cristiano, che condanna – come si sa – ogni arte divinatoria (chiromanzia, oroscopo, oniromanzia ecc.).

Chiudiamo questo nostro intervento con due termini, di origine greca, presenti, e con svariate testimonianze, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento: angelo e profeta. Il primo, dal greco ánghelos/άγγελος, letteralmente vale «annunziatore, messaggero», dal verbo anghéllo/αγγέλλω («annunziare»). Può essere accostato al sanscrito anǝgiraḥ («essere divino»). Profeta, infine, risale al greco profétes/προφήτης, cioè «colui che parla per (Dio)» e, specie poi nel greco cristiano, anche «predicatore, maestro», dalla preposizione pro/προ (per) e la radice fe-/φη indicante il «dire» (cfr. latino fari, «parlare»).

 

 

[1] Usato anche da Dante (Paradiso XI, v. 99) riferito a San Francesco e col valore di «capo di un ordine religioso».

[2] Popolare, ed inesatta, l’etimologia riportata dall’erudito Marco Terenzio Varrone detto Reatino (116-27 a.C.) che collegava il pontifex alla costruzione ed alla cura dei ponti.

 

 

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