La famiglia Brizio, origine medievale e braidese

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La città di Bra è stata, nei secoli passati, sede di parecchie importanti famiglie. Vi ebbero origine, o la propria principale residenza, casati il cui nome ricorre spesso nelle storie del Piemonte, come quelli dei Valfrè di Bonzo, Moffa di Lisio, Saraceno, Albrione di Rorà, Reviglio della Veneria (non tutti sanno che Franco Reviglio – all’anagrafe Francesco Saverio – già ministro delle Finanze e presidente dell’Eni, appartiene a questa nobile famiglia).

Tra le più insigni e antiche famiglie braidesi si devono ricordare in particolare i Brizio, che ebbero poi sede anche in Cherasco, Ciriè e in Torino, anche se per incontrare un esponente di casa Brizio tra gli abitanti della città occorrerà attendere sino alla seconda metà del Seicento, mentre è opportuno evidenziare che la famiglia, come molte altre in tutto il Piemonte, non rescisse mai del tutto il cordone ombelicale con le terre d’origine.

I Brizio, pur avendo le proprie più antiche memorie in Asti, anche se una vecchia tradizione familiare li vorrebbe originari dell’Irlanda e giunti nell’astigiano quali condottieri di truppe nel secolo dodicesimo, hanno radici remotissime già ben documentate soprattutto in Bra, con un insediamento che risale al Trecento. La famiglia, secondo il dizionario feudale di Francesco Guasco discenderebbe in realtà dai visconti d’Auriate, una tra le più potenti dinastie feudali del medioevo subalpino.

I primi personaggi noti, da cui si può tentare di abbozzare un frammento genealogico, paiono essere Ruffino e Grossolano, che vivevano nel 1141 in Asti. Di un Giacomo Brizio, signore di Sarmatorio (oggi Salmour) e capitano di genti d’arme e di altri membri della famiglia abbiamo alcune attestazioni che risalgono agli anni compresi tra il 1181 e il declinare del secolo XII.

Dei fratelli Guglielmo, Enrico e Giacomo ricaviamo notizia in documenti tra il 1224 ed il 1234.

Una genealogia discretamente attendibile si può cominciare a delineare soltanto con Uberto Brizio, anch’esso consignore di Sarmatorio, che dimora in Bra nella prima metà del Trecento. Si ritiene che discendano da lui tutti i rami dei Brizio braidesi e in particolare la linea dei Brizio di Salmour, quella dei Brizio di Castellazzo e infine le linee Brizio di Castelletto e Brizio della Veglia.

 

 

Bra medievale, Palazzo Traversa

 

A livello braidese i Brizio parteciparono costantemente alla gestione del potere locale: numerosi furono i consiglieri di credenza (a partire da Giacomo e Guglielmo che facevano parte del consiglio nella seconda metà del secolo XIV), i sindaci, i religiosi.

Anche per quanto riguarda la vita cerimoniale i Brizio avevano in Bra una posizione di particolare prestigio poiché possedevano, oltre a cappelle e sepolture in varie chiese, il diritto di patronato sull’altare maggiore della parrocchiale di San Giovanni Battista (che era stata ampliata a loro spese).

Il Cinquecento fu per la famiglia un’epoca in cui si alternarono momenti di grande fortuna ad altri di repentina crisi e decadenza (da ciò si vuole che derivi il motto di famiglia: “In Alterutra Fortuna”’). La famiglia, aveva, del resto, legato momentaneamente il proprio destino ai successi del regno di Francia in Piemonte – soprattutto con Biagio e Giacomino, capitani al servizio di Francesco I e di Enrico II. Nel 1524 essa subì la confisca dell’antichissimo feudo di Sarmatorio – su cui signoreggiavano da oltre trecento anni – ma un momento ancora più difficile e duro giunse nel 1552, anno in cui Bra cadde nelle mani degli Spagnoli. Lo storico Antonio Mathis narra che in quest’occasione molti dei Brizio morirono combattendo nelle schiere francesi, altri vennero imprigionati nella rocca di Bra e poi impiccati, mentre altri ancora poterono sopravvivere solo grazie a una fuga tempestiva, subendo per di più confische dei loro beni. In quei decenni, momentaneamente usurpata la sovranità sabauda, il Piemonte subiva i soprusi dei diversi contendenti che volevano impossessarsene. Il capitano Giacomino, essendo riuscito a sfuggire ai nemici attraverso la Val di Fey, volle erigervi (dopo che i Brizio, risollevatesi le fortune francesi, erano rientrati in Bra recuperando gran parte dei propri patrimoni) una cappella campestre dedicata alla Madonna.

Nel Piemonte secentesco molto fece parlare di sé una linea dei Brizio discendente da Pietrino, dottore in legge, che viveva nella seconda metà del 1500. I rappresentanti di questa linea furono tra i protagonisti principali di un lungo periodo (circa 1630-1680) di lotte civili in Bra.

Se alcuni membri della famiglia si segnalavano negli Stati sabaudi per la loro irrequietezza, la quasi totalità degli altri si distinse per motivi ben diversi. Oltre a parecchi giuristi e ad alcuni medici, i Brizio espressero personaggi di particolare rilievo in campo militare e religioso.

Tra i soldati si può ricordare Alessandro (1602-1656), commendatore dei Santi Maurizio e Lazzaro, gentiluomo di bocca del Duca di Savoia, che si distinse in varie occasioni e in particolare alla presa del castello di Monticello e fu governatore di Alba; più avanti nel tempo Gabriele che fu lungamente al servizio dei re francesi, con beneplacito sabaudo, si segnalò per molti atti di valore. Rientrato in patria con la moglie Luigia di Chartres fu nominato comandante della piazza di Alba; alla stessa carica venne chiamato, nel 1735, un suo figlio, Vittorio Amedeo, il quale, gentiluomo di bocca di Madama Reale, aveva partecipato nel 1706 alla difesa di Torino assediata dai francesi. Carlo, suo secondogenito, comandò nella seconda metà del Settecento le piazze militari di Cherasco e di Alba. In questa Serie di militari spicca per la sua singolarità Luigi che, nel 1793, combatté da valoroso al colle del Raus nella gloriosa epopea della guerra delle Alpi.

Tra i religiosi deve essere ricordato in particolare Giacomo che fu vescovo di Aquino (1420) e poi (1424) di Carpentano (denominazione riferita dal Mathis per una sede vescovile che richiede di essere meglio individuata). Personalità di spicco furono pure Giovanni Antonio, minore osservante col nome di fra’ Angelo Gabriele e Carlo Valerio (nato nel 1665) che, pur essendo capo della linea Brizio di Castelletto, rinunciò agli onori ed alle ricchezze che gli competevano in ordine di primogenitura per entrare a far parte dell’ordine scolopio. Anche colui che molti considerano come il maggiore rappresentante della famiglia, Fabrizio, fu un uomo di chiesa. Nato nel 1597 a Bra egli abbracciò la carriera ecclesiastica nei minori osservanti col nome di fra’ Paolo. Compì o propri studi nel collegio di Gaeta e nel monastero di S. Maria Nuova a Napoli: sul finire del 1624 ebbe il titolo di predicatore e di lettore di teologia. Rientrato in Piemonte, fu lettore generale di teologia nel convento francescano torinese di S. Tommaso la cui edificazione stessa si deve in parte a lui. Ebbe in seguito nell’ambito dell’ordine vari delicati incarichi, anche a livello internazionale, sino a quando non fu creato ministro della provincia piemontese. Sotto la sua guida vennero costruiti, restaurati o ampliati vari conventi e chiese dei minori osservanti. Godette della fiducia di Vittorio Amedeo I, il quale lo volle quale suo consigliere e nel 1638 Madama Reale lo nominò proprio confessore, conferendogli, l’anno seguente, la carica di commissario generale di Terrasanta per gli Stati dei Duchi di Savoia. Nel 1642, godendo del favore della Duchessa e del Principe Maurizio, fu creato vescovo di Alba da Urbano VIII. Oggi è ricordato per diversi suoi libri a stampa e manoscritti. In particolare è noto e ricercato dai bibliofili il prezioso Seraphica subalpinae Divi Thomae provinciae monumenta,regis Subalpinorum Principis Sacra (Torino, 1647). Quest’opera, pur biasimata da antichi e moderni critici per un certo disordine e per troppa indulgenza nel recepire favole, leggende e teorie genealogiche un po’ troppo generose (nei confronti della propria famiglia e di altre a essa congiunte da alleanze matrimoniali) merita comunque di essere considerata importante quale studio del sistema e costume religioso in Piemonte alla metà del XVII secolo, sia in generale, sia attraverso la narrazione delle storie e vicende di numerosi singoli conventi e luoghi sacri. Perlopiù le sue opere furono stampate a Torino.

In città, nel tardo Ottocento, Enrico Brizio Falletti di Castellazzo, direttore dell’Archivio Storico dell’Ordine Mauriziano, possedeva il palazzo in via Michelangelo Buonarroti 2, all’angolo con Piazza Nizza. Siccome ebbe solo una figlia, fu il fratello minore, Carlo, prefetto del Regno (1850-1926), a proseguire la discendenza, illustrata, anche in tempi recenti, da diversi personaggi notabili e amministratori pubblici, tra i quali Gian Paolo (1929-2008), esponente alla Democrazia Cristiana, che fu a lungo consigliere regionale e, più riprese presidente della Regione Piemonte negli anni novanta del secolo scorso. Recentemente, essendo egli anche stato sindaco di Ciriè, gli è stato intitolato il salone consiliare di Palazzo d’Oria, sede municipale della città canavesana.

 

 

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