La centralità della ragione umana sotto il profilo religioso

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Chiesa di Santa Sofia di Costantinopoli, Istanbul 

 

La caratteristica fondamentale del Cristianesimo, tanto sotto il profilo religioso, quanto sotto quello filosofico e giuridico, è la centralità della ragione e la sua signoria su ogni altra dimensione umana.

L’uomo, come insegna Aristotele (384-322 a.C.), è sinolo[1] di anima e corpo. L’anima è ciò che rende vivente un oggetto. Le piante posseggono un’anima vegetativa, che consente loro di nutrirsi, svilupparsi, riprodursi e morire. Gli animali, invece, hanno un’anima, che è, al tempo stesso, vegetativa, con tutte le facoltà di cui dispongono le piante, e sensitiva, vale a dire che concede loro la facoltà di provare piacere e dolore e di essere mossi da una serie di istinti, dove più complessa e dove meno. Negli uomini, infine, l’anima, oltre ad essere vegetativa e sensitiva, come negli animali, è razionale, consentendo loro di conoscere la realtà.

Mentre negli animali l’anima sensitiva si aggiunge a quella vegetativa senza, di fatto, modificarla, negli uomini l’anima razionale dona all’anima sensitiva alcune caratteristiche specifiche non presenti negli animali; mentre negli animali, in particolare, l’apparato istintuale è perfetto, completo e bastante a se stesso, con l’ovvia conseguenza di essere dominante sull’anima vegetativa ed impermeabile ad ogni altra forza naturale, negli uomini l’anima sensitiva perde questa signoria e questa completezza, proprio perché deve essere dominata dall’anima razionale. La perfezione dell’anima sensitiva degli animali, caratteristica necessaria alla sua signoria sul comportamento delle bestie, viene meno negli uomini, proprio perché, in loro, gli istinti sono strumento per il migliore e più gradevole adempimento dei comandi della ragione; la perfezione dell’anima sensitiva comporterebbe la sua impermeabilità rispetto all’anima razionale o, per dirla in altri termini, comporterebbe l’assoluta inutilità della ragione.

Risulta chiaro, da quanto detto, che, qualora l’uomo si abbandoni agli istinti e non li sottoponga al ferreo dominio della ragione, il suo comportamento non sarebbe quello di un animale, ma qualche cosa di fortemente peggiore, perché, a differenza che nella bestia, sarebbe contro natura. L’anima sensitiva dell’animale, nella sua perfetta autosufficienza, gli permette, se seguita integralmente, di perfezionarsi nella sua natura; l’anima sensitiva umana, invece, non ha questa perfezione e questa autosufficienza, perché, come dicevamo, deve sottostare all’anima razionale, e, quindi, qualora non sia totalmente sottomessa alla ragione, tradisce la propria natura e fa emergere le proprie perversioni, a scapito delle proprie inclinazioni corrette, che la porterebbero all’obbedienza nei confronti dell’ontologicamente superiore anima razionale. L’uomo, dunque, è capace, a differenza dell’animale, di perversioni, ogni qual volta tradisce la propria natura razionale.

La natura dell’uomo è razionale, perché, quantunque egli possieda un’anima vegetativa ed un’anima sensitiva, queste sono gerarchicamente ordinate all’anima razionale, che caratterizza la persona umana e tutta la colora di sé. Il venir meno alla propria natura razionale è, per l’uomo, la massima perversione contro natura, poiché, come dicevamo, è abdicare a se stesso, senza giungere a null’altro che alla perversione della propria anima.

La ragione umana è finalizzata alla verità, vale a dire ha, come scopo, quello di conoscere ciò che realmente è. Il Cristianesimo è l’unica religione al mondo ad adorare la verità. «Io sono la via, la verità e la vita»[2] dice Nostro Signore Gesù Cristo; per «questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce»[3]. Il Cristianesimo è, fondamentalmente, verità, vale a dire Rivelazione e testimonianza di ciò che è: la prima da parte di Dio e la seconda da parte del fedele.

Dio incarnato è verità. La verità è la perfetta corrispondenza di un enunciato al vero. La Seconda Persona della Santissima Trinità, che si è incarnata, è il Λόγος (Logos), vale a dire la Parola e, al tempo stesso, la Ragione. Il Dio incarnato è, dunque, verità sotto un duplice aspetto.

Sotto un primo aspetto, Gesù è verità, perché è la Rivelazione. «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità»[4].  La Rivelazione, è vero, si compirà, dopo la Sua Ascensione, ad opera dello Spirito Santo: «il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto»[5]. «Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà»[6]. Gesù, quindi, è la pienezza della Rivelazione, compresa quella “parte” rivelata alla Chiesa dallo Spirito Santo, fino alla morte di San Giovanni Evangelista.

Sotto un secondo aspetto, è verità, perché è il contenuto della Rivelazione, ne è l’oggetto. In quanto Λόγος (Logos), Egli è la Sapienza di Dio e la Parola di Dio e, in quanto tale, non può che essere la Verità.

L’adorazione della verità ha forgiato, sotto l’aspetto religioso, la civiltà cristiana, nel senso di orientarla verso la centralità della ragione umana: il Cristianesimo è la religione che si pone in maggiore antitesi con ogni forma di scetticismo[7]. Adorando la verità, deve ammettere, ovviamente, l’esistenza di una realtà oggettiva, di cui la verità è enunciazione; perché una verità possa essere enunciata, poi, essa deve essere conosciuta; se, infine, tale enunciazione del reale è Parola di Dio, tale realtà deve, per forza, essere anche conoscibile, poiché, se così non fosse, vi sarebbe una contraddizione tra l’intento divino (parlare per essere compreso dagli uomini) e la realtà oggettiva (impossibilità per l’uomo di comprendere ciò che è); il che, ovviamente, è impossibile.

La verità, postulata sul piano religioso in questa maniera, è di carattere metafisico e, come tale, richiede di essere conosciuta attraverso la ragione, che non viene contraddetta o svilita dalla Fede, ma, al contrario, vede allargare i suoi orizzonti ed i contenuti della sua conoscenza, attraverso la prima virtù teologale; la ragione umana diviene, anzi, il presupposto necessario su cui si possa innestare la Fede, elevando il suo valore dal piano meramente umano e terreno a quello religioso.

Tale centralità della ragione umana porta, come inevitabile conseguenza, alla prevalenza dell’oggettivo sul soggettivo e, in campo politico, al privilegio dei contenuti rispetto alle forme istituzionali e della concreta azione politica rispetto all’astratta ideologia; maggiore attenzione è sempre stata posta alle azioni dei governanti rispetto agli strumenti della loro selezione.

Questo carattere rigidamente anti-ideologico e razionalmente concreto dell’approccio politico della civiltà cristiana, almeno fino alla cosiddetta Riforma protestante, ha sempre costretto i detentori del potere politico a dover basare il loro stesso potere e la loro stessa autorità sulla razionale aspettativa dei sudditi in un loro governo teso al bene comune. Questo, di fatto, si è tradotto in una elevazione ad un rango “super-costituzionale”, diremmo noi oggi, del diritto divino, naturale e positivo, con una fortissima limitazione dei poteri dei governanti, limitazione unica in tutto l’orbe terracqueo.

 

[1] Dal greco σύνολον (sünolon), a sua volta composto da «σύν» (sün) = «con» e «ὅλος» (olos) = «tutto», sta ad indicare una sostanza, unitaria, ma sintesi di due elementi distinti, quantunque non separabili.

[2] Gv 14,6.

[3] Gv 18,37.

[4] Gv 18,37.

[5] Gv 14,26.

[6] Gv 16,13-15.

[7] Dal greco «σκέψις» (schepsis) = «dubbio», è l’insieme delle dottrine che negano l’esistenza di una verità oggettiva; e, qualora se ne dovesse ammettere l’esistenza, nei negano la conoscibilità; e, infine, qualora, per qualunque ragione, se ne dovesse ammettere la conoscibilità, ne negano la possibilità di comunicarla.

 

 

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