Konrad Weiss, lo «Svevo cattolico».

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La figura di Konrad Weiss (1880/1940), intellettuale cattolico tedesco, è conosciuta solo in ristretti ambiti, soprattutto di studiosi delle opere e del pensiero del grande giurista Carl Schmitt. E’ infatti nel suo testo del dopoguerra Ex captivitate salus che Schmitt fa riferimento a se stesso come ad un «Epimeteo cristiano», traendo tale figura da un omonimo saggio del 1933 di Konrad Weiss[1]. Inoltre Schmitt nel corso del testo cita più volte lo “svevo cattolico” Weiss, come amico e grande poeta. Si sente la stima verso una personalità ed un’opera complesse e risolutamente incentrate sulla fede; la «visione storica di Weiss –dice in un altro testo Schmitt- è del tutto mariana».

Konrad Weiss nacque nel 1880 in Svevia, primo di dieci figli di una famiglia contadina, da cui ebbe il sostegno per frequentare la scuola superiore e nel 1900 iscriversi all’università di Tubinga. Studiò teologia, storia dell’arte e letteratura tedesca, e dal 1905 collaborò ad Hochland, rivista cattolica, di cui divenne direttore artistico. Nel 1920 entrò nel comitato di redazione della Münchner Neueste Nachrichten, occupandosi prevalentemente di arte ed architettura. Fino alla morte, avvenuta nel 1940, pubblicò volumi di poesia, spesso a soggetto religioso, di arte e di filosofia politica. Sotto il regime nazista, dovette lasciare l’attività giornalistica, e viaggiò per la Germania visitando i siti architettonici medievali, su cui scrisse in Wanderer in den Zeiten. Süddeutsche Reisebilder (Viaggiatore nel tempo. Immagini del sud della Germania).

La collocazione di Weiss nel contesto culturale e politico della Germania dai primi del secolo fino all’affermarsi del nazionalsocialismo è di grande impegno ed originalità. Nell’ambito filosofico e politico, della crisi della cultura e delle istituzioni tedesche, Weiss svolge un ruolo di sofferta ricerca della salvezza nella trascendenza, senza sottrarsi al drammatico confronto con l’idealismo e materialismo fatti propri dal nazismo. Non è qui possibile dare una sintesi della sua complessa elaborazione politica, antinazista ed antiliberale, nonché critica verso il cattolicesimo moderato e possibilista, asservito a parer suo a paradigmi liberali ed umanistici. In Der christliche Epimetheus egli «parla di due domini, quello liberale-umanistico e quello nazionalpopolare, superficialmente opposti l’uno all’altro, ma congiunti nell’essere entrambi secolarizzanti e positivisti, e quindi ciechi alle condizioni dell’esistenza creaturale.»[2]

Di qui la saldatura tra la sua riflessione politica sui limiti e i fallimenti del sistema democratico ed il richiamo, nel linguaggio potente ed allusivo della poesia, ai fondamenti teologici e della storia della salvezza, di fronte all’irrazionale oscuro precipitare della storia. Anche in questo senso Weiss è stato definito «l’ispiratore poetico di Schmitt».

Tale posizione di rivoluzione conservatrice, fortemente identitaria in senso tedesco e cattolico, si ritrova in tutta la sua opera: nella poesia si colloca in continuità con il  romanticismo e le forme della tradizione, ma nello stesso tempo adotta un linguaggio ermetico e visionario; in campo artistico, coniuga il culto della civiltà medievale con la difesa dell’espressionismo, contro le teorie naziste in arte.

Attraverso Schmitt, Weiss entrò a far parte di una rete di intellettuali ed artisti critici verso la Repubblica di Weimar, di cui facevano parte, oltre a Schmitt, i fratelli Jünger e Josef Pieper, il principale filosofo cattolico  della Germania del dopoguerra. L’apprezzamento manifestato da Schmitt, quasi impressionato dall’altezza dei contenuti e dall’impervia elaborazione della forma nell’opera poetica di Weiss, si ritrova del resto analogo presso altri intellettuali tedeschi dell’epoca: da Ugo von Hofmannstahl, al Pieper stesso, a Rudolf Borchardt. Si ha quindi la sensazione che la presenza e l’influenza di Weiss nel dibattito interno alla crisi culturale e morale della Germania dell’epoca sia superiore alla fama e al riconoscimento storico –e tanto più ad un’improbabile popolarità.

Particolarmente suggestivo è l’accostamento all’ebreo Borchardt, che lo ebbe a definire espressione della «Germania antica più intatta», certo riconoscendosi nella passione di Weiss per l’Europa medievale radicata nella fede, quale si espresse nell’arte gotica, e che Borchardt stesso simboleggiò nei marmi immortali del Duomo di Pisa.[3]

Nell’opera di Weiss l’elaborazione religiosa, politica e poetica si compenetrano, in un quadro di riserbo personale, di intransigenza sui principi e di potente ispirata visionarietà. Schmitt lo chiama «poeta sibillino», e non solo perché una raccolta di poesie di Weiss era appunto intitolata Die cumänische Sibylle (1921).

L’opera poetica di Weiss si carica in effetti di una drammatica prefigurazione storica, come nei versi ermetici della poesia 1933 [4], posta all’inizio di Der christliche Epimetheus:

 

 Indifeso, in niente tuttavia annientato,

 il Senso si perde nell’eco,

crescente al suono dei tamburi..

 

 

È la presaga interrogazione del futuro, di quello che si stava rivelando Il secolo del male[5] ; ma anche nella poesia teologica, Weiss si confronta con l’indicibile, creando quasi una nuova lingua, una nuova sintassi, per esprimere le forze che agiscono nella storia e che solo la fede può illuminare. Altrove –in una delle composizioni a soggetto mariano- la poesia di Weiss anima e approfondisce il mistero dell’arte di Grünewald, dando voci e suoni alla visione della Madonna di Stuppach, affollata di simboli ed insieme spontaneamente tenera col Bambino.

 

 

L’amico più stretto di Weiss fu in effetti un artista, Carl Kaspar (179/1956), che  ebbe un’importante carriera con opere per lo più a soggetto religioso, interrotta nel periodo del nazismo. Caspar illustrò e disegnò le copertine dei libri di Weiss, in quello stile espressionista che Weiss stesso difese e argomentò anche in un saggio dedicato proprio all’opera dell’amico. Weiss, che era sposato ma che non ebbe figli, frequentava la famiglia Caspar ed era affezionato alla piccola Felizitas.

Ed è proprio da questo incontro di amicizia che nel 1926 nacque, nel cuore della produzione “oscura”, difficile e tempestosa di  Konrad Weiss, una luminosa, serena oasi, un poemetto per la bambina, illustrato dal suo papà: Die kleine Schöpfung (La piccola creazione).

Esso ci dice qualcosa sul suo autore, non solo per la tenerezza di affetti umani che lo ispirò, ma perché in modo semplice e delicato dispiega una visione teologica complessa, cosmica ed insieme personale: la manifestazione di Dio nella creazione. E la fede nella Salvezza con cui il poeta guardava e paventava lo sconvolgente precipitare dei tempi, diventa qui –con lo sguardo del bambino- stupore e fiducia nell’angelo custode e in un Padre misericordioso e sorridente.

 

 

(1 – continua)

 

[1]   Sulla figura di Epimeteo: www.ilcovile.it/raccolte/Sei_pollici_01_Indagini_su_Epimeteo.pdf

Su Konrad Weiss  e il suo rapporto con Carl Schmitt:

www.ilcovile.it/raccolte/02_Intorno_a_Konrad_Weiss.pdf

[2]   Russel A.Berman, Der christliche Epimetheus di Konrad Weiss. Una teologia politica del 1933? in:

www.ilcovile.it/raccolte/02_Intorno_a_Konrad_Weiss.pdf

 [3]   V. Rudolf Borchardt, Pisa, solitudine di un impero (ed.Nistri-Lischi 1965)

[4]    La traduzione completa di 1933, di Marisa Fadoni Strik, è nelle pubblicazioni de Il Covile già citate. La versione in altra lingua delle poesie di Weiss, è un’impresa ardua, perché il poeta ha utilizzato tutte le risorse della lingua tedesca (parole composte, neologismi, arcaismi) per esprimere l’arcana risonanza dei concetti e delle immagini.

[5] Alain Besançon, Novecento, il secolo del male. (ed it.Lindau 2008). Anche Besançon si interroga sull’enigma dell’unicità storica dei crimini delle ideologie.

 

 

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