In Occidente la parola amore ha perso significato e romanticismo: ciò che era trasgressione è divenuto obbligo

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Il famoso testo di Denis de Rougemont[1] intese stabilire le origini dell’ideologia dell’amore-passione romantico nel movimento cortese e nell’eresia catara: un amore votato al tormento, proibito e impossibile, che prende per lo più la forma di adulterio in trasgressione all’ordine patriarcale borghese. Nel nostro tempo in occidente la parola amore pare abbia perso significato, e certamente romanticismo, dato che ciò che era trasgressione è divenuto obbligo, la sessualità è precoce dovere e prestazione, le emozioni richiedono supporti artificiali. La sfera della fantasia, della poesia, dell’eros, è annichilita in virtualità e consumo. La fabbrica dell’infelicità è la fabbrica delle dipendenze.

 

Cui prodest?

Per valutare fenomeni di ampia portata di cui è rilevabile  l’intenzionalità e i centri promotori, è pertinente chiedersi: Cui prodest?

L’enorme confusione alimentata ad arte, che sta intorno a tendenze apparentemente lontane dalle basi economiche e strutturali del sistema maschera il ferreo legame con esse; subculture frantumate, in contraddizione l’una con l’altra, mediatizzate, saturano come una bolla gli interstizi della società, pretendendosi maggioritarie o minoritarie secondo la convenienza: maggioritarie per imporsi autoritariamente ai dissenzienti, minoritarie per esigere speciali protezioni e risarcimenti. E’ il caso della bolla gender, LBGT ecc.., che va sostituendo in modo aggressivo quella del politicamente corretto, ormai scontata: si è giunti all’imposizione istituzionale, alla saldatura di apparati legislativi, economici, professionali, pubblicitari. Ed è sempre più chiaro a chi giova. Un enorme complesso industriale si sta predisponendo intorno alla gestione delle cosiddette transizioni sessuali, propagandate a livello mediatico e addirittura della scuola, incentivate nei canali social, promosse dalle icone-modello dello sfascio pop. Case farmaceutiche, professionisti e cliniche del trattamento ormonale, chirurgico, psicologico, una gigantesca offerta nel campo della moda, la cosmesi, il fitness, stanno già operando su un settore che promette consumatori che accedano a livelli di dipendenza, in quanto bisognosi di confermare il “genere” attraverso l’omologazione, gli stereotipi e l’immagine esteriore. Consumatori perfetti.

 

Trappole ed etichette

Occorre altresì che essi vengano reclutati prima che si può, e in modo irreversibile: di qui l’abbassamento dell’età della “scelta” del genere, in modo che essa sia tutto fuori che una scelta, e che sia agevolato da pseudoscienze e accreditato per legge un concetto di genere che è un mero costrutto ideologico, non avendo fondamento né nella natura né nella ragione. L’operazione-base, che ne è condizione e finalità profonda, è lo svuotamento e la compromissione dell’identità personale nell’età in cui essa si costruisce, prende coscienza di sé: un preadolescente privo di sicurezze affettive, morali, culturali[2], quindi totalmente remissivo, su cui innestare con la “scelta del genere” il predisposto complesso di consumi e dipendenze. S’induce qui il massimo grado di confusione, in quanto si mescola tale posticcio con la realtà dell’omosessualità, che attiene la sfera erotica e quindi più matura. Viene presentato agli adolescenti, se non prima, come affermazione di libertà, trasgressione, ribellione agli stereotipi, quello che è un subire e interiorizzare proprio i più vieti stereotipi imposti da un gigantesco apparato che passa dai GAFA[3] ai media: s’impone il queer, il fluido, così manipolabile da manipolare se stesso in una forma di servitù volontaria, ed esibirsi continuamente per avere la conferma di esistere.

 

Il supermercato del gender

Si propugna quindi un’individualità senza identità integrale, scissa dalla natura, incapace di riflessione e memoria: l’io desiderante, contenitore vuoto, pericolosamente sull’orlo del nulla, che altro non vorrà e potrà che riempirsi di virtualità e consumi, avrà bisogno continuo di rappresentarsi, camuffarsi, essere riconosciuto, perché solo ciò che è esterno gli darà conferma di esistere: di qui la dipendenza dal social, dalle mode estetiche[4], dai riti collettivi di massa, dalle sostanze.

Altra condizione per la riuscita di questa rivoluzione conformistica, rivoluzione alla rovescia, che non vuole mettere in discussione i rapporti di potere, ma anzi li corrobora con l’estendersi di ceti-cuscinetto di parassiti e imbonitori (influencer), è l’ignoranza, il calo delle capacità riflessive e razionali. Siamo infatti di fronte a illogicità evidenti, al non sense: se il genere è indipendente dal sesso, e può mutare, prendere forme non binarie ecc.., non dovrebbe proprio per questo dissolversi come categoria, restare nel privato, al di fuori di ogni classificazione e sanzione? Quale verità si dovrebbe invece insegnare ai bambini, se non il pudore, il rispetto del proprio corpo, della persona, della sua intimità? Quale il diritto vero, se non quello di essere se stessi, con la propria identità, sessuale (immodificabile), erotica, intellettuale, morale, di non essere indotti a vendersi, a degradarsi, a imitare modelli fatui e venali, ad avere dipendenze? Ma tale verità, che è sotto gli occhi di tutti, nella vita di tutti i giorni, nelle famiglie, nelle scuole, ed è intuita ed avvertita come tale dalla maggioranza della gente, è sbeffeggiata e contraddetta da squallide parate televisive, dallo sfoggio delle disperate perversioni dei vip, dalle istituzioni culturali e scientifiche, in primo luogo le università, sfasciate e complici, e da organismi internazionali screditati e proprio per questo accaniti nel proprio pervertimento. E’ ironico che tale “schieramento”si definisca progressista.[5] Opporsi alla deriva, difendere bambini, adolescenti, famiglie dal programma dissolutorio egemone, è perciò uso di retta ragione e vera rivoluzione.

 

Nemesi del femminismo

Incalzano, ai bordi del business del gender, le feroci macchine capitalistiche di sfruttamento del desiderio genitoriale, in cui la possessività già insita in natura viene strumentalizzata a consumo. Nel chiudere gli occhi sul feroce sfruttamento della miseria a pro dei racket delle “maternità surrogate”, si consuma il tragico fallimento del femminismo come ideologia, già sfigurata nell’apologia dell’aborto: un femminismo che dovrebbe essere schierato contro l’ideologia gender e in difesa dei bambini, e che invece, divenuto subalterno supporto del sistema, svende la sua storia per fare del grembo della donna spazio di morte e di commercio. L’establishment privilegiato femminista grida al sessismo coi pretesti più disparati e nel contempo e ad arte ignora e sbeffeggia i problemi reali delle donne; in un’epoca di affermazione femminile nelle professioni, nei media e nelle istituzioni, l’immagine estetica della donna mai è stata così degradata, trascurate le sue esigenze concrete, né tanto lesi gli interessi, la sensibilità, le condizioni di vita dei bambini, a cui le donne -come madri, educatrici, pedagoghe, scienziate, artiste- hanno portato nella storia un contributo prevalente e decisivo.

Che il femminismo sia oggi appannaggio di grottesche esibizioni di personaggi mediatici ne offende la storia, che da una parte si dissolve e relativizza nell’ideologia gender, dall’altra si ripiega su se stessa nell’inimicizia donna-uomo. Il concetto di sessismo usato terroristicamente si ritorce infatti contro le donne perché evita di entrare nel merito dei problemi, dei fatti, dei ragionamenti, delle intenzioni; è una specie di sospensione all’uso dell’intelligenza e dell’empatia, strumentale ai fini dell’esercizio di poteri e privilegi ben concreti.

 

Lo smalto emozionale

Se ciò che conta è l’individuo, ma nello stesso tempo esso è svuotato della sua identità, natura, morale, ragione, fantasia e speranza, alla chiusura della parabola dell’amore romantico subentra la mera combinatoria sessuale, quindi la più desolata solitudine. Dato che l’autonomizzazione della sessualità è tutt’altro che naturale e spontanea nella specie umana, anzi si può dire che è contro natura, l’ideologia gender vi presta una sorta di smalto emozionale, di narrazione, di pathos artificiale. Appare questa la sorte dell’amore nell’occidente, mentre nuovi investimenti massicci e ambiziosi programmano di consegnare all’Intelligenza artificiale un’umanità massificata, infelice e senza memoria.

 

Segnaliamo che l’Università La Sapienza di Roma ha istituito un nuovo Corso di laurea magistrale  in Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione, inaugurato il 21 settembre 2022. Si tratta di una novità sul piano dell’offerta formativa universitaria in Italia. L’immagine riportata qui sopra è ripresa dal portatale dello stesso Corso di laurea.

 

 

[1] Denis de Rougemont L’Amore e l’Occidente (L’Amour et l’Occident, 1956)

In alternativa all’amore-passione narcisistico, De Rougemont guardava alla coppia solidale aperta alla vita, pur non cogliendo gli aspetti disgregatori della famiglia comunque insiti nel modernismo, nell’utilitarismo e nella società dei consumi.

[2] Lo sfascio della scuola e il cancel culture alimentano la confusione concettuale,

mentre l’induzione della precocizzazione degli “orientamenti sessuali” prepara la revisione dei confini della pedofilia.

[3] GAFA: Google, Amazon, Facebook, Apple

[4] L’applicazione “dall’esterno” di frammenti pseudoidentitari motiva le forme maniacali di tatuaggio, chirurgia plastica ed esibizionismo social.

[5] Se “progresso” vuol dire alla lettera miglioramento, e pertanto è in irrimediabile contrasto con la generale decadenza dell’occidente, è arrivato il momento di prendere atto che anche un termine convenzionale quale “sinistra” ha oggi non solo perduto la sua connotazione storica, ma configura un complesso sociale e politico antitetico ad essa. Non si tratta del resto di soggetti politici che esprimano originali sintesi morali e operative, in quanto ideologicamente sono un composito di avanzi che vanno dai movimenti moderni  prenazisti all’assistenzialismo al radicalismo altoborghese, il tutto in salsa woke.

 

 

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