Il significato ideale e politico dell’unificazione italiana

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In occasione del 160° anniversario della proclamazione del Regno d’Italia (1861-2021)iniziamo con questo articolo del Senatore Riccardo Pedrizzi un Approfondimento per comprendere come realmente avvenne il processo di unificazione politica

 

Vorremmo soffermarci sul significato ideologico del processo unitario, nel contesto della secolare lotta delle idee, che, in quel tempo, si andava combattendo tra le forze della sovversione e quelle della Tradizione. Insomma cosa significò ed ancora ora cosa significa l’Italia unita per certe forze politiche, che, ieri, operavano dietro le quinte della storia e, oggi, si sono manifestate alla ribalta, non essendo più nessuno capace di contrastarle e contenerle efficacemente.

La presa di Porta Pia (20 settembre1870), ad esempio, segnò la fine del processo di unificazione nazionale, che, iniziatosi e sviluppatosi nei primi decenni del secolo decimonono, non solamente con le guerre di indipendenza, ma anche e, soprattutto, con i moti liberali e democratici, che erano esplosi nei singoli Stati italiani, si concludeva clamorosamente con la caduta del potere temporale dei Papi. In Roma capitale, poi, ebbe coronamento l’assalto, alle volte sotterraneo ed occulto, altre volte palese e diretto, delle forze giacobine ed atee contro le ultime roccaforti dei principi tradizionali di gerarchia, ordine, autorità, onore e fedeltà; e, simultaneamente, iniziò, prima, il dilagare e l’affermarsi incontrastato delle dottrine del Terzo Stato (il costituzionalismo, il liberalismo e la democrazia), poi l’attacco frontale di quelle del Quarto Stato (il socialismo ed il comunismo) ed oggi, infine, del laicismo libertario e del relativismo religioso.

È inutile ripetere che non si pensa neppure lontanamente di mettere in discussione l’unità d’Italia in quanto tale (fatto, invero, necessario, indispensabile ed improrogabile), quanto piuttosto le basi culturali ed ideali sulle quali tale unità fu realizzata. Un’unità, che è bene ripeterlo, era voluta da tutti, anche dai sovrani borbonici, anche dai controrivoluzionari, come Solaro della Margarita (1792-1869), anche dai pensatori tradizionalisti come Joseph de Maistre (1753-1821), il quale, a proposito dei moti per l’indipendenza, arriverà a ricordare, riscuotendo, per questo, le simpatie dei neoguelfi, come tutti i popoli concordino nel porre al primo posto, tra gli uomini grandi, quei “fortunati” cittadini che ebbero l’onore di strappare il loro Paese al giogo straniero, come essi siano eroi se hanno successo, martiri se falliscono e come i loro nomi attraversino i secoli.

In sostanza, quello che si temeva, da parte dei sostenitori «del trono e dell’altare», era che l’unità si facesse non fine a se stessa, ma per affermare i principi egualitaristici e sovversivi propri della rivoluzione francese.

E che questi timori fossero fondati lo dimostra, se ancora ve ne fosse bisogno, e lo conferma uno storico che certamente non può essere tacciato di simpatie a favore dei conservatori e che è noto a tutti essere stato di orientamento liberale, Adolfo Omodeo (1889-1946), il quale nei suoi «Aspetti del Cattolicesimo della Restaurazione», parlando dell’atteggiamento dell’Austria nei confronti di Gioachino Murat (1767-1815), scrive: «neppure l’Austria, che voleva consolidare la sua egemonia nella penisola, poteva convenire la presenza nella penisola di quel re (Murat n.d.r.) che da un momento all’altro poteva mettere fuoco alle polveri con programma alimentare dalle logge massoniche, “dell’Italia unita”; e poi ancora, Murat per difendersi dalla Restaurazione: “rispose preparando una contrapposta levéé de bocliers, una vasta cospirazione nelle logge massoniche di tutti i malcontenti della Restaurazione col programma dell’Italia unita». Perciò nessuno nasconde più che il tema, il mito e la bandiera dell’unità d’Italia non furono altro che la molla per muovere ambienti ed uomini in funzione antitradizionale, che, altrimenti, non si sarebbero gettati in un’impresa, che per quei tempi ebbe un indubbio carattere di sovversivismo.

Del resto, non vi sarebbe più la ragione perché si debba nascondere o travisare il motivo fondamentale che dette luogo alla unificazione d’Italia. Infatti, tutte quelle forze che operarono, ieri, dietro le quinte, oggi, con l’avvento della tecnocrazia globalista, sono uscite allo scoperto.

La verità è che da quel momento, da quel 20 settembre 1870,  per la prima volta nel corso degli ultimi secoli si apriva una crisi tra uno Stato italiano e la Chiesa, scontro che non solo avrebbe sottratto allo Stato nazionale una massa di energie cattoliche, ma avrebbe anche creato una questione che si sarebbe riproposta ad ogni governo italiano come un’insormontabile “impasse” che sarebbe stata superata soltanto nel 1929, con i patti Lateranensi, che chiusero la questione romana definitivamente e dignitosamente sia per lo Stato che per la Chiesa.

Quest’ultima vede soddisfatte le sue ragioni di principio e si accorge che lo Stato ha superato quasi del tutto le sue pregiudiziali anticlericali e filomassoniche, ponendosi sullo stesso piano della Chiesa per quanto riguarda il rifiuto delle tradizioni giacobine.

Lo Stato italiano, pur non rifiutando del tutto la tradizione liberale (e questo secondo noi fu una delle insufficienze del regime), che aveva portato all’unità ed alla presa di Roma, respinge i miti della rivoluzione francese, ritenendo che l’Italia potesse avere un ubi consistam a cui riferirsi, delle tradizioni a cui ancorarsi, delle vestigia di un passato, seppur lontano, che solo a Roma si potevano ritrovare, e suggerendo l’idea che perché Roma assolvesse con dignità ai suoi compiti di grandezza religiosa ed anche politica era necessario che avesse come interland non un piccolo Stato, ma una grande nazione, con un grande popolo ed un grande Stato, così come i tempi richiedevano. Ambedue le istituzioni ormai si reggevano più o meno su analoghi principi culturali ed ideologici, salvo poche eccezioni; i principi egualitaristici e democratici, che nel Risorgimento li avevano contrapposti, furono soppiantati dai principi di autorità e gerarchia.

Con la conclusione dell’ultima guerra mondiale, invece, riemerse da parte dello Stato italiano, che aveva costituzionalizzato gli accordi del Laterano, l’interpretazione democratica del Risorgimento e della Presa di Roma; e si parlò (non con tutti i torti) di secondo Risorgimento a proposito della Resistenza e si dette la prevalenza non più al momento politico unificatorio della presa di Roma, ma al momento ideologico egalitarista ed antitradizionale.

La stessa Chiesa inizio a rivedere le sue posizioni, a fare l’autocritica, ad adeguarsi al mondo che la circondava, mettendo in ombra i principi per i quali si era battuta nei secoli precedenti.

In effetti, si è verificato, nel corso dell’ultimo mezzo secolo del Novecento ed in questo primi quattro lustri del terzo millennio, dal punto di vista delle idee, una vera e propria frana in senso sovversivo. Nel 1870, infatti, lo Stato italiano era pregno di impostazioni anticristiane ed antitradizionali, mentre la Chiesa restava ferma, solida ed irremovibile sulle sue posizioni antiliberali ed antidemocratiche. Nell’ultimo scorcio del secolo scorso, invece, la Chiesa si adegua ed assume la stessa Weltaschauung che prima, in ogni modo, aveva, cercato di combattere; ecco perché la celebrazione dei 150 anni dalla presa di Porta Pia ha visto uniti ed in accordo i rappresentanti dell’una e dell’altra parte, trascurando quello che, in realtà, l’Italia e Roma avrebbero potuto e dovuto rappresentare per gli italiani e per i cattolici.

Tutto questo perché ci troviamo di fronte ad uno Stato che non trova la sua legittimità dall’alto e che intende essere solamente un’amministrazione di beni e servizi e, quindi, di interessi materialistici, giammai rappresentando un’idea superiore e trascendente.

Tutto questo perché ci troviamo di fronte ad una parte della Chiesa, che intende essere sempre meno cattolica e romana e sempre più democratica e popolare, tanto da diventare, in questo sì, sempre più «conciliante» e «sensibile alle esigenze del mondo e della società».

Per tutte queste ragioni abbiamo sempre giudicato il processo unificatorio italiano, che prima o poi doveva pur avvenire, come una fase dell’immane, plurisecolare scontro tra due concezioni del mondo: quella tradizionale e quella sovversiva.

Sarebbe bene, perciò, che si operasse una distinzione e si giudicassero quegli avvenimenti per quel che in realtà sono stati e per quello che hanno rappresentato o rappresentano per la storia della nostra nazione e soprattutto per la storia della battaglia delle idee che da secoli si sta combattendo tra le forze del Χάος (Caos = disordine) e quelle del Κόσμος (Cosmos = ordine).

Si consideri, quindi, senz’altro positiva l’unità d’Italia e con essa la presa di Roma nella misura in cui questi avvenimenti vollero significare e significano per noi il tentativo di unificare più genti aventi la stessa lingua, la stessa religione, le stesse tradizioni in un unico Stato e, quindi, in un’unità di forze e di destini che abbiano un disegno storico da realizzare, un’idea, come si diceva una volta, imperiale da affermare.

Si consideri, però, senz’altro negativa tutta la vicenda, se si esamina dal punto di vista delle idee che muovono il mondo; ed in questo caso non possiamo esimerci dal constatare che coloro che vollero l’unità non erano altro che agenti, spesso inconsapevoli, del movimento antitradizionale, operante sul piano internazionale, contro il quale anche noi ci saremmo battuti.

 

La presa di Roma, film muto del 1905  in versione restaurata, rappresenta uno dei primi tentativi del cinema italiano di legittimarsi culturalmente, affrontando temi celebrati con una messa in scena monumentale

 

L’unitarietà e la sintonia che stanno emergendo non significano, dunque, che si sia ripristinato l’antico rapporto tra Stato e Chiesa e tanto meno che lo Stato abbia rinunciato alle sue prerogative giacobineggianti, abbeverandosi ai principi della Chiesa di sempre.

Sarebbe bello, ad esempio, organizzare almeno una Santa Messa per ricordare indistintamente tutti i protagonisti di quel periodo storico: i bersaglieri caduti per prendere Roma ed i soldati pontifici caduti per difenderla; i martiri caduti per l’unità d’Italia in buona fede ed i legittimisti caduti in nome del loro Re e della Fede; l’intellettuale liberale che si immolò volontario nelle guerre di indipendenza ed il contadino borbonico; e, infine, ma non ultimi, i giovani alfieri che, seguendo il loro re a Gaeta (1860-1861), ma, soprattutto, difendendo, senza umana speranza la rocca di Civitella del Tronto (1860-1861), morirono senza alcun riconoscimento.

Si eviterebbero le speculazioni di parte e si sarebbe potuto inserire tutta la vicenda dell’unità d’Italia nel solco di una tradizione che affonda le sue radici nella storia d’Europa e che ha i suoi fondamenti nei principi di onore e fedeltà. Una tradizione che da questi avvenimenti sarebbe stata rinvigorita ed attualizzata, perché fecondata dal sangue di tutti gli eroi ed i martiri caduti sulle sue barricate.

Vincitori e vinti insieme.

 

 

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1 commento su “Il significato ideale e politico dell’unificazione italiana”

  1. Roberto Smaniotto "Brinc"

    Grazie al Cielo se l’unità italiana è avvenuta sotto il Regno, chiediamoci cosa sarebbe accaduto se a prevalere fossero state le istanze repubblicane giacobine, Mazzini e sodali. Avremmo conosciuto davvero fenomeni da Cristiada messicana…

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