Il “grande elettore” di papa Pio V (1504-1572), salito al soglio pontificio il 7 gennaio 1566, fu san Carlo Borromeo, come riporta Roberto de Mattei nel suo corposo, rigoroso e allo stesso tempo accattivante libro uscito in questi giorni, Pio V. Storia di un Papa Santo, pubblicato da Lindau (pp. 480, € 32,00). Scrisse lo stesso san Carlo in una lettera indirizzata al Re del Portogallo: «Io decisi di non tener conto di niente quanto della religione e della fede. E poiché avevo grande stima della singolare pietà, integrità, diligenza e di tutti i sentimenti piissimi di santità del Cardinale Alessandrino, stimai che la repubblica cristiana potesse da lui molto al pontificato. Perciò mi adoperai con tutto l’animo e le forze mie, perché egli fosse creato Papa» (p. 68).
Era chiamato Cardinale Alessandrino poiché Ghislieri (nell’immagine a sinistra: Scuola di Domenico Zampieri, il Domenichino, Ritratto del Cardinale Ghislieri, in poltrona, presso lo scrittorio), la cui famiglia era originaria di Bologna, era nato a Bosco (a destra: la casa natale come si vede oggi), in provincia di Alessandria, appartenente a quel tempo al ducato di Milano e alla diocesi di Tortona. Era stato battezzato con il nome di Antonio, essendo venuto alla luce nel giorno di sant’Antonio eremita, ed entrato in religione nell’ordine dei domenicani quando il priore gli domandò quale nome desiderasse assumere, egli rispose: «Michele da Bosco», ma il priore replicò: «Che vuol dire da Bosco? Poiché siete dei dintorni d’Alessandria, d’ora in poi vi chiamerete fra’ Michele d’Alessandria». Da allora venne chiamato l’Alessandrino.
Tutta l’esistenza di Ghislieri viene scandagliata da de Mattei grazie ad una ricchissima documentazione bibliografica offrendo così un quadro biografico dettagliato e, allo stesso tempo, un affresco chiaro ed esaustivo degli accadimenti storici ed ecclesiastici del tempo storico in cui si trovò a vivere questo protagonista della storia stessa, che entrò sulla scena giovanissimo, quando entrò a far parte dell’Ordine Domenicano nel convento di Santa Maria della Pietà a Voghera. Nel 1528 riceve l’ordinazione sacerdotale a Genova e già a quel tempo si distingue per la forza della sua fede, a Parma, infatti, sostiene trenta proposte a supporto del seggio pontificio contro le eresie che si scagliano su di esso.
Come rettore di vari conventi domenicani si distingue per la rigida e santificante disciplina imposta, e riceve la nomina di inquisitore della città di Como. Giunto a Roma nel 1550 diviene Commissario generale dell’Inquisizione romana. Paolo IV (1476-1559) lo nomina Vescovo di Sutri e Nepi nel 1556; l’anno seguente viene creato Cardinale con il titolo di Santa Maria sopra Minerva. Nel 1558 viene nominato Grande Inquisitore e due anni dopo Vescovo di Mondovì.
La sua elezione fece tremare la Curia romana e non solo. Serietà e inflessibilità iniziarono immediatamente: niente festeggiamenti e sontuosi banchetti per solennizzare l’elezione pontificia. Cercò, con ogni mezzo, di migliorare i costumi della gente emettendo bolle, punendo l’accattonaggio, vietando le dissolutezze del carnevale, cacciando da Roma le prostitute, condannando i fornicatori e i profanatori dei giorni festivi. Per i bestemmiatori furono previste sanzioni. Difese strenuamente il vincolo matrimoniale e si oppose fermamente all’adulterio. Ridusse il costo della corte papale, impose l’obbligo di residenza dei Vescovi e affermò l’importanza del cerimoniale. Le sue decisioni furono di enorme importanza, per esempio rafforzò gli strumenti della Controriforma per combattere l’eresia e il Protestantesimo, e diede nuovo impulso all’Inquisizione romana.
Fu lui, l’11 aprile 1567, a dare il titolo di Dottore della Chiesa a san Tommaso d’Aquino (1225-1274). Nel 1568 lo stesso titolo fu concesso anche a quattro Padri della Chiesa d’Oriente: sant’Atanasio (295 ca.- 373), san Basilio Magno (329-379), san Giovanni Crisostomo (344/354-407) e san Gregorio Nazianzeno (329 – 390 ca.). Da questi suoi atti si evince la sua ferma volontà di custodire in sommo grado l’integrità della Fede e di difendere la Chiesa dagli avversari e dalle eresie, ben sapendo che il consenso nei suoi confronti avrebbe ricevuto duri colpi: la sua intransigenza e il suo zelo gli valsero molti nemici. Celebri sono rimaste le volgari pasquinate dileggianti la sua persona. Ma i Santi non sarebbero tali se venissero applauditi dal mondo.
Conscio dei pericoli che la Chiesa correva in un tempo di accanite tempeste dottrinali, di scismi e di persecuzioni spaventose, come quelle perpetrate da Elisabetta I d’Inghilterra, egli si schierò dalla parte di Maria Stuarda (a destra: Scipione Vannutelli, Maria Stuarda si avvia al patibolo, 1861) e promosse la costituzione della «Lega Santa» dei Principi cristiani contro la famelica e violenta volontà di espansione in Europa dei musulmani che ebbe la meglio su di loro grazie anche all’assistenza della Madonna durante la battaglia di Lepanto, la più grande battaglia navale dell’età moderna, nonché la prima grande vittoria di un’armata o flotta cristiana occidentale contro l’Impero ottomano.
San Pio V riformò la Chiesa offrendo i migliori strumenti per mettere in atto al meglio il Concilio di Trento, atto ad arginare le eresie disseminate in Europa da Lutero, Calvino, Zwingli che portavano via nazioni intere alla Cattolicità.
Due anni dopo la sua elezione il Sommo Pontefice promulgò il nuovo Breviario con la bolla Quod a nobis, promulgata il 9 luglio 1568, al fine di renderlo nuovamente conforme «all’antica regola della preghiera» perché, lungo il tempo, era stato «deformato l’insieme così armonico dell’antico Breviario mutilandolo in molti luoghi, ed alterandolo con l’aggiunta di molte cose incerte e nuove. […] Nulla di essenziale deve essere tolto dall’antico Breviario romano. Non si deve creare un nuovo Breviario, ma ricondurre al suo stato primitivo quello che si possiede, tenendo conto delle circostanze cambiate.» (p. 317).
Il futuro Cardinale e Santo Jhon Henry Newman, allora (1836) ancora riverito pastore protestante e ossequiato docente di Oxford, rese omaggio al Breviario tridentino con queste parole: «C’è così tanta eccellenza e bellezza nei servizi del Breviario, che se fosse abilmente presentato a un protestante dai polemisti romani come il libro delle devozioni ricevute nella loro comunione, costituirebbe senza dubbio un pregiudizio a loro favore, se questi fosse ignorante delle circostanze del caso, e normalmente schietto e senza pregiudizi.» (p. 318).
L’imponente ed energica opera riformatrice all’interno della Chiesa fu determinante per ristabilire ordine nella Cattolicità, minata da corruzione morale e dalla Rivoluzione di Martin Lutero che aveva scatenato una diabolica guerra alla Chiesa di Cristo, infierendo sul suo cuore, ovvero la liturgia cattolica, «un comune denominatore dei vari novatores succedutesi nel corso dei secoli, i quali per attaccare il dogma iniziano la loro feroce opera di distruzione dalla liturgia.» (p. 320) e per avvalorare ciò lo storico riporta le affermazioni di Dom Guéranger:
«Il primo carattere dell’eresia antiliturgica è l’odio della Tradizione nelle forme del culto divino. Non si può constatare la presenza di tale specifico carattere in tutti gli eretici, da Vigilanzio fino a Calvino, e il motivo è facile da spiegare. Ogni settario che vuole introdurre una nuova dottrina si trova necessariamente in presenza della Liturgia, che è la Tradizione alla sua più alta potenza, e non potrà trovare riposo prima di aver messo a tacere questa voce, prima di aver strappato queste pagine che danno ricetto alla fede dei secoli trascorsi. Infatti, in che modo si sono stabiliti e mantenuti nelle masse il luteranesimo, il calvinismo, l’anglicanesimo? Per ottenere questo non si è dovuto far altro che sostituire nuovi libri e nuove formule ai libri e alle formule antiche, e tutto è stato consumato» (p. 321).
Quando si attacca la Liturgia per forza di cose si attaccano Dogma e Dottrina.
Il Papa domenicano, abile, vigile e illuminato dallo Spirito Santo, seppe agire al meglio per fronteggiare il dilagare degli errori dottrinali e liturgici e mise in atto una serie di provvedimenti incisivi su tutti i fronti della Chiesa: purificò i costumi della Chiesa, diede la possibilità di formare i pastori secondo principi di santità, riformò gli ordini religiosi, diede nuove linee di amministrazione economica, condannò la sodomia, la negromanzia, la simonia. Il Papa del Catechismo, del Breviario, del Messale della Tradizione, del Rosario, della restaurazione della musica Sacra rigenerò la Chiesa tutta, togliendo la caligine che era scesa su di essa.
Pio V. Un Papa Santo è un libro che, con i suoi dati incontrovertibili e le sue suggestioni narrative, è in grado di gettare luce su cosa significhi realmente governare Santa Madre Chiesa, facendo emergere il concetto che la responsabilità di tenere degnamente il pastorale petrino è questione di perseverante fedeltà a Cristo, Capo della Chiesa.
«La storiografia laica è incapace di comprendere il nesso tra un evento militare, come la battaglia di Lepanto, e una devozione spirituale, come quella del rosario. Anche la moderna storiografia cattolica tende spesso a separare la vita spirituale dei papi dalla loro azione pubblica, con la conseguenza di impoverire il significato della missione del Vicario Cristo» (p. 365).
Sei anni di pontificato furono sufficienti per difendere la Fede dalla Rivoluzione protestante e l’Europa intera dall’attacco, sferrato a Lepanto (a sinistra: Lazzaro Baldi, San Pio V e la visione della vittoria a Lepanto, 1673, Collegio Ghislieri di Padova).
nel 1571, dei Musulmani. Egli fu santo interiormente e nella vita pubblica: profondamente conscio della grave autorità che gli era stata conferita dalla terra e dal Cielo, in un tempo in cui la Chiesa e l’Occidente erano in balia di violente tempeste, che squassarono le anime e la civiltà europea, che si lacerò, finendo di essere Res Publica Christiana. Questa Christianitas, che dal Medioevo definiva l’essere «Europa», dove l’Imperatore governava secondo un ordine di carattere divino, cessò di esistere a causa di una “Riforma” scismatica che portò molti Stati alla teocrazia, in cui il sistema statale divenne indiscusso e supremo gestore di tutti e di tutto, comprese le questioni religiose. Il principio di «Cuius regio, eius religio» («Il cui regno, la sua religione»), formulato per la prima volta nella Pace di Augusta (1555), fu confermato nella Pace di Vestfalia (1648), conferendo agli Stati secolari la sovranità sulle religioni, respingendo qualsiasi autorità sovranazionale.
San Pio V è stato fra i papi che hanno utilizzato al meglio le chiavi del Cielo che gli erano state affidate ponendo la Verità portata dal Redentore al di sopra tutto e di tutti, e dispiegando ogni energia e ogni mezzo per difenderla e diffonderla con i criteri della ragione, della fede e della tradizione.
Il ruolo di chi viene incaricato di detenere le chiavi di san Pietro è tanto chiaro quanto complesso, come evidenziato dallo stemma pontificio: sono le chiavi del cielo affidate a Simon Pietro: una d’oro e una d’argento per rappresentare il potere di sciogliere e di legare. Quella d’oro rimanda al potere nel regno dei cieli e la chiave d’argento indica l’autorità spirituale del papato sulla terra; mentre la corda con gli archi che uniscono le impugnature alludono al legame tra i due poteri. Invece, la tiara papale e la stola rappresentano le tre funzioni del Pontefice come Supremo Pastore, Supremo Maestro e Supremo sacerdote; infine, la croce d’oro sulla tiara simboleggia la regalità di Cristo. Dal XVI secolo per ogni Pontefice viene creato un paio di chiavi simbolico che, alla sua morte viene sepolto con lui. La sua responsabilità è immensa e ne fu ben cosciente Papa Ghislieri che seppe realizzare il principio movente e informatore del perfetto domenicano: Caritas primae veritatis.
Il complesso monumentale di Santa Croce, ex convento domenicano, commissionato da San Pio V, mai dimentico della sua terra natale