Il martirio, per mano anglicana, di Oliviero Plunket, Arcivescovo di Armagh e primate d’Irlanda

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Papa Paolo VI, nel ricordare quanti perirono per mano anglicana in odio al cattolicesimo romano, non si limitò a canonizzare i quaranta martiri di Inghilterra e Galles, ma volle onorare anche le terre di Scozia e di Irlanda. Quest’ultima fu chiamata l’isola dei Santi dopo che San Patrizio l’evangelizzò e stabilì in essa vescovadi e monasteri, poi divenuti centri di cultura e di vita missionaria.

Nel 1171 l’Irlanda cadde sotto la dominazione inglese. A prezzo di sofferenze inaudite, la sua popolazione ripudiò la fede e la liturgia anglicana al tempo del Re Enrico VIII (+1547), della Regina Elisabetta I (+1603), sua figlia, e di Oliviero Cromwell (+1658), fanatico puritano e dittatore dopo la sconfitta e la decapitazione del re Carlo I (+1649). Gli odi religiosi e politici causarono molte vittime, la più illustre delle quali fu Oliviero Plunket, Arcivescovo di Armagh e primate d’Irlanda. Nato nel 1625 a Loughcrew, nella contea di Meath, da una famiglia che era imparentata con le più illustri case d’Irlanda, ancora bambino fu affidato alle cure di un suo parente, Patrizio Plunket, abate benedettino di Santa Maria a Dublino, e più tardi Vescovo di Ardagh e di Meath. A diciannove anni fu scelto con altri quattro giovani e condotto a Roma dal Padre Pietro Francesco Scarampi perché si preparasse al sacerdozio nel collegio irlandese. Lo Scarampi, sacerdote oratoriano, era stato mandato da papa Urbano VIII in Irlanda nel 1643 in occasione delle lotte sorte tra gli anglo-irlandesi e vecchi cattolici da una parte, e il re Carlo I dall’altra, per la libertà di coscienza.

Per tre anni, finché non si rese vacante una delle borse di studio, Oliviero fu mantenuto agli studi da Padre Scarampi. Nel Collegio Romano della Compagnia di Gesù, alla scuola del Padre Pallavicino Sforza, fu ritenuto uno dei primi per ingegno, diligenza e profitto negli studi, e vero modello di gentilezza, di integrità di costumi e di pietà. Nel 1654 venne ordinato sacerdote. Secondo il giuramento fatto, avrebbe dovuto ritornare subito in patria per esercitare il ministero pastorale, ma poiché Cromwell aveva invaso l’Irlanda e sterminava i cattolici, domandò di rimanere a Roma, ospite dei Padri di San Girolamo della Carità. Completò così la sua cultura frequentando il corso di diritto canonico e civile presso l’Università della Sapienza. Allo stesso tempo si diede alla cura dei malati nell’ospedale di Santo Spirito in Sassia ed all’assistenza dei poveri, raccolti dal principe Don Marcantonio Odescalchi, con l’aiuto del cugino Benedetto Odescalchi, futuro papa Innocenze XI. Per il successo conseguito negli sudi, nel 1657 don Oliviero fu nominato lettore di teologia nel collegio di Propaganda Fide, consultore della Sacra Congregazione dell’Indice e, nel 1668, procuratore dei vescovi irlandesi presso la Santa Sede. Alla morte in esilio dell’arcivescovo di Armagh, primate d’Irlanda, Clemente IX, con motu proprio lo nominò a quella sede in data 9 giugno 1669. Per non ridestare le diffidenze del governo inglese fu deciso che avrebbe ricevuto la consacrazione episcopale non a Roma, bensì a Gand in Belgio, per mano del nunzio. Prima di lasciare Roma, Monsignor Plunket volle un’ultima volta far visita all’ospedale di Santo Spirito. Nell’abbracciarlo, un sacerdote polacco gli profetizzò: «Voi ora andate a spargere il sangue per la fede cattolica». Il Santo Vescovo gli rispose umilmente: «Non ne sono degno, tuttavia voi aiutatemi con le vostre orazioni affinché questa brama si adempia».

Il Vescovo eletto giunse in Irlanda nel mese di marzo 1670 e fu ricevuto dal suo mentore, Monsignor Patrizio Plunket, divenuto Vescovo di Meath. La situazione religiosa nell’isola era molto triste. Alla morte del Cromwell era stata ristabilita la monarchia, ma il re Carlo II (+1685), debole e dissoluto, non concesse agli irlandesi quella tolleranza che essi rivendicavano con insistenza. La loro sorte dipendeva dagli umori dei luogotenenti che si succedevano nel governo dell’isola. Nonostante le leggi persecutorie ancora vigenti, il santo svolse un intenso apostolato in dieci anni di relativa tranquillità, celebrando segretamente le funzioni sacre, girando in borghese e visitando il suo gregge solamente la notte. Appena prese possesso della sua sede, visitò parte della diocesi, fece conoscenza con il clero della sua provincia, celebrò due sinodi e conferì la cresima ad oltre diecimila fedeli. Ebbe a confidare a Monsignor Baldeschi, segretario di Propaganda Fide: «I». Fu in gran parte suo merito se il 17 giugno 1670 venne convocato a Dublino un concilio nazionale dei vescovi irlandesi, da lui presieduto, durante il quale furono prese dieci deliberazioni volte a correggere alcuni abusi che erano invalsi nell’ultima persecuzione. Il 23 agosto dello stesso anno convocò a Clones, in un concilio provinciale, tutti i rappresentanti delle diocesi dell’Ulster. In accordo con essi, accettò solennemente i decreti del Concilio di Trento e le norme stabilite a Dublino per il rifiorire della disciplina ecclesiastica. Chiamò a Drogheda, nella diocesi di Armagh, i Padri Gesuiti per l’istruzione e l’educazione della gioventù e fabbricò per essi, con l’aiuto di Propaganda Fide, non ricevendo egli dalla diocesi che duecento corone annue, le scuole e la casa, dopo aver ottenuto dalle pubbliche autorità una benevola tolleranza. Per sovvenire ai bisogni delle scuole, Monsignor Plunket visse poveramente, contrasse debiti e si limitò a tenere al suo servizio soltanto due persone. Al segretario di Propaganda Fide scrisse il 20 gennaio 1672: «Per servire Dio e la Santa Sede, venderei ancora la croce e la mitra».

Ad un anno dal suo ingresso in Armagh, oltre che la sua diocesi, lo zelante pastore aveva già visitato sei delle sue diocesi suffraganee per istruire in inglese e irlandese i fedeli, cresimarli, risolvere contese e correggere abusi. Di tutto egli informava minutamente la Congregazione di Propaganda Fide. Con la nomina nel 1672 a luogotenente d’Irlanda del conte Arturo di Essex i cattolici vennero di nuovo sottoposti ad una violenta persecuzione. Le scuole chiusero, religiosi e vescovi costretti a nascondersi in attesa che la bufera passasse. Mons. Plunket con una provvista di libri e di candele si rifugiò in una capanna di paglia in mezzo ai boschi disposto piuttosto «a morire di fame e di freddo che abbandonare il gregge» o a farsi trascinare in esilio sopra una nave con la corda al collo. Passata la tempesta, ne approfittò per riordinare le scuole e la diocesi. Nel mese di agosto 1678 celebrò un secondo sinodo provinciale in Ardpatrick perché voleva che la sua provincia, «quanto al clero secolare e regolare, fosse santa, buona e riformata». L’Arcivescovo di Cashel, dopo il martirio del Plunket, poté fare di lui questo elogio: «In dodici anni di residenza si mostrò vigilante, pieno di zelo e indefesso più dei suoi predecessori. Non consta che, a memoria di uomini di questo secolo, verun primate o metropolita di Armagh abbia visitato la sua diocesi e provincia con tanta sollecitudine e zelo pastorale come lui, riformando i cattivi costumi dei popoli e la scandalosa vita di alcuni ecclesiastici, castigando i colpevoli, premiando i meritevoli, consolando tutti, beneficando quanto poteva e soccorrendo i bisognosi. Onde ebbe applauso e fu onorato dal clero e dal popolo fuorché dai discoli, nemici della virtù e della osservanza ecclesiastica».

Una nuova levata di scudi contro i cattolici irlandesi avvenne con la fantasiosa congiura papale escogitata dall’avventuriero inglese Tito Oates. Anabattista al tempo dei Cromwell, anglicano al tempo di Carlo II e cappellano delle navi, nel 1678, fingendo una nuova conversione, riuscì a farsi accogliere in collegi di Gesuiti dai quali però fu allontanato per cattiva condotta. Egli se ne vendicò accusando i gesuiti di aver ordito una congiura per uccidere il re, fare strage dei protestanti e restaurare la Chiesa Cattolica in Inghilterra. Il parlamento, sobillato da lord Shafsterbury, abboccò a quelle accuse, seppur piene di contraddizioni. Furono arrestate oltre duemila persone, molte delle quali vennero impiccate. Tra le vittime ci fu anche il primate dell’Irlanda: Oliviero Plunket.

Uno dei primi ad essere imprigionato fu Monsignor Pietro Talbot (+1680), arcivescovo di Dublino, con il quale Plunket aveva avuto molte e aspre contese riguardo al primato d’Irlanda, ambito da entrambi. Ne diede avviso al nunzio di Bruxelles scrivendogli il 27 ottobre 1678: «Qui gli affari vanno di male in peggio. Con un editto pubblico si promettono 4 scudi a chi piglierà un prelato o gesuita, e 20 a chi piglierà un vicario generale o un frate. Gli sbirri, le spie e i soldati ne vanno alla caccia giorno e notte». Personalmente si aspettava l’esilio, ma gli eventi gli riserveranno il carcere ed il supplizio. Un giorno venne a sapere che Monsignor Patrizio Plunket, al quale era legato da parentela e gratitudine, stava morendo a Dublino. Uscì dal suo nascondiglio e lo andò a confortare. Fu però scoperto il 6 dicembre 1679, arrestato dai soldati per ordine del luogotenente, il conte di Ormond, e rinchiuso nella prigione del castello reale di Dublino sia in quanto Vescovo cattolico, sia perché non aveva voluto abbandonare, in ossequio agli editti del parlamento, il gregge a lui affidato. In carcere il suo contegno fu decisamente edificante per quanti lo circondavano. Nel luglio 1680 fu trascinato davanti al tribunale di Dundalk, nella diocesi di Armagh, per essere giudicato della cospirazione papale della quale era considerato il principale organizzatore. Gli accusatori, tra cui figurava anche il francescano apostata Giovanni Mac Moyer, che il primate aveva dovuto sospendere per svariati delitti, furono esortati a provare le loro accuse, ma non ci riuscirono. Monsignor Plunket, ricondotto nel carcere di Dublino, il 25 luglio 1680 informò segretamente il nunzio di essere accusato di avere settantamila cattolici pronti a trucidare tutti i protestanti ed a ristabilire il cattolicesimo nel paese, di avere inviato diversi agenti a diversi regni per ottenere soccorso, di avere girato e osservato tutte le fortezze del regno ed i posti marittimi, infine di avere tenuto un concilio provinciale nell’anno 1678 per introdurre i francesi in Irlanda.

Un senso di elementare giustizia esigeva che il processo di tradimento a carico del Plunket non fosse più rinnovato, o per lo meno venisse ripreso in Irlanda qualora fossero addotte nuove prove, invece fu ordinato che il primate il 21 ottobre 1680 venisse trasferito a Londra nel carcere di Newgate e giudicato da un tribunale composto di uomini disposti a condannare un innocente. Egli accettò la prova per la maggior gloria di Dio e la salvezza della propria anima. Per sostenere le spese fu costretto a vendere parte dei propri beni, persino il calice e la croce pettorale. Suoi accusatori furono alcuni preti e frati da lui sospesi per la vita scandalosa che conducevano. Il 3 maggio 1681 Monsignor Plunket apparve sul banco degli accusati senza che gli fosse concesso un avvocato per la propria difesa. Sentendosi rinfacciare le solite accuse, egli chiese un po’ di tempo onde addurre testimoni. Gli fu accordato, ma trentacinque giorni dopo il processo riprese ed il capo del giurì lo dichiarò colpevole. Il santo rispose con semplicità: «Siano rese grazie a Dio». Poiché a causa dei venti e di altre difficoltà, dall’Irlanda non erano ancora giunti né testimoni, né documenti, il prigioniero richiese ancora una dilazione di una decina di giorni, ma non gli venne concessa. Se avesse confessato la sua colpa e accusato altri avrebbe avuto salva la vita, ma egli respinse tale proposta perché avrebbe voluto «piuttosto morire diecimila volte che prendere a torto un quattrino dei beni di un uomo, un giorno della sua libertà e un minuto della sua vita».

Il 15 giugno 1681 il capo della giustizia, dopo una fiera invettiva contro la religione cattolica, sentenziò rivolgendosi all’imputato: «Voi dovete andare di qui al luogo donde siete venuto, e di là sarete trascinato per la città di Londra a Tyburn, là sarete appeso per il collo, ma calato giù prima che siate morto; vi saranno tratti fuori gl’intestini, e bruciati davanti ai vostri occhi; vi sarà tagliata la testa e il vostro corpo sarà diviso in quattro quarti da disporre come piace a sua Maestà. E prego Iddio che abbia misericordia dell’anima vostra». All’indomani dell’iniqua sentenza, il martire scrisse a Michele Plunket, suo parente, alunno in Roma del Collegio Irlandese, accennando alle accuse dei suoi nemici: «Io li perdono tutti e dico con Santo Stefano: Signore, non imputare loro questo peccato». E alcuni giorni dopo ancora: «La sentenza di morte non mi ha cagionato timore, ne mi ha tolto il sonno neppure un quarto d’ora. Io sono innocente di ogni tradimento come un bambino nato ieri. Per il mio carattere sacerdotale, per la mia professione religiosa e per le mie funzioni sacerdotali, lo ripeto pubblicamente, mi si da la morte; e io le vado incontro molto volentieri, ed essendo il primo degli irlandesi, con la grazia di Dio, sarò ad altri di esempio a non temere la morte… I cattolici inglesi furono qui molto caritatevoli a mio riguardo. Non badarono a spese per porgermi aiuto e durante il processo fecero per me ciò che non avrebbe fatto neppure un fratello, sono davvero cattolici rari e costanti nelle sofferenze».

L’11 luglio 1681 Monsignor Plunket, per volontà dei suoi carnefici, prima si vestì con gli abiti prelatizi, poi si lasciò distendere sopra una treggia e trascinare al luogo del patibolo. Sembrava uno sposo che si appropinquava alle nozze, tanto era raggiante di gioia. Dopo aver pubblicamente proclamato la propria innocenza e perdonato a tutti coloro che gli avevano fatto del male, dopo aver recitato il Miserere e mormorato: «Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito», fu impiccato, sventrato e squartato. Il suo corpo nel 1685 fu trasportato segretamente dall’Inghilterra al monastero benedettino di Lamspring, presso Hildesheim in Germania e nel 1883 nell’abbazia di Dowside (Inghilterra meridionale). La testa del martire è venerata a Drogheda, nel monastero delle Domenicane. Papa Benedetto XV lo beatificò il 23 maggio 1920 e Paolo VI infine lo canonizzò il 12 ottobre 1975. Nello stesso anno le reliquie del santo furono solennemente traslate nella cattedrale di Armagh.

 

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