Il Maestro di color che sanno… Paradiso XII

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Philipp Veit (1793-1877), L’Empireo e figure dagli otto cieli del Paradiso, particolare: Il cielo solare con Dante e Beatrice tra Tommaso d’Aquino, Alberto Magno, Petrus Lombardus e Sigier di Pa (1817-1827), affresco, Casino Massimo, Sala di Dante, Roma

 

Sì tosto come l’ultima parola

la benedetta fiamma per dir tolse,

a rotar cominciò la santa mola[1];

 

e nel suo giro tutta non si volse

prima ch’un’altra di cerchio la chiuse,

e moto a moto e canto a canto colse;

 

canto che tanto vince nostre muse,

nostre serene in quelle dolci tube[2],

quanto primo splendor quel ch’e’ refuse.

 

Come si volgon per tenera nube

due archi paralelli[3] e concolori,

quando Iunone a sua ancella[4] iube,

 

nascendo di quel d’entro quel di fori,

a guisa del parlar di quella vaga

ch’amor consunse come sol vapori;

 

e fanno qui la gente esser presaga,

per lo patto che Dio con Noè puose,

del mondo che già mai più non s’allaga:

 

così di quelle sempiterne rose

volgiensi circa noi le due ghirlande,

e sì l’estrema a l’intima rispuose.

 

Poi che ’l tripudio[5] e l’altra festa grande,

sì del cantare e sì del fiammeggiarsi

luce con luce gaudiose e blande,

 

insieme a punto e a voler quetarsi,

pur come li occhi ch’al piacer che i move

conviene insieme chiudere e levarsi;

 

del cor de l’una de le luci nove

si mosse voce, che l’ago a la stella

parer mi fece in volgermi al suo dove[6];

 

e cominciò: «L’amor che mi fa bella

mi tragge a ragionar de l’altro duca

per cui del mio sì ben ci si favella.

 

Degno è che, dov’è l’un, l’altro s’induca:

sì che, com’elli ad una militaro[7],

così la gloria loro insieme luca.

 

L’essercito di Cristo, che sì caro

costò a riarmar, dietro a la ’nsegna

si movea tardo, sospeccioso e raro,

 

quando lo ’mperador che sempre regna

provide a la milizia, ch’era in forse,

per sola grazia, non per esser degna;

 

e, come è detto, a sua sposa soccorse

con due campioni, al cui fare, al cui dire

lo popol disviato si raccorse[8].

 

In quella parte ove surge ad aprire

Zefiro[9] dolce le novelle fronde

di che si vede Europa rivestire,

 

non molto lungi al percuoter de l’onde

dietro a le quali, per la lunga foga,

lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde,

 

siede la fortunata Calaroga

sotto la protezion del grande scudo

in che soggiace il leone e soggioga:

 

dentro vi nacque l’amoroso drudo[10]

de la fede cristiana, il santo atleta[11]

benigno a’ suoi e a’ nemici crudo[12];

 

e come fu creata, fu repleta

sì la sua mente di viva vertute,

che, ne la madre, lei fece profeta.

 

Poi che le sponsalizie fuor compiute

al sacro fonte intra lui e la Fede,

u’ si dotar di mutua salute,

 

la donna che per lui l’assenso diede,

vide nel sonno il mirabile frutto

ch’uscir dovea di lui e de le rede;

 

e perché fosse qual era in costrutto,

quinci si mosse spirito a nomarlo

del possessivo di cui era tutto[13].

 

Domenico fu detto; e io ne parlo

sì come de l’agricola[14] che Cristo[15]

elesse a l’orto suo per aiutarlo.

 

Ben parve messo e famigliar di Cristo:

che ’l primo amor che ’n lui fu manifesto,

fu al primo consiglio che diè Cristo.

 

Spesse fiate fu tacito e desto

trovato in terra da la sua nutrice,

come dicesse: ‘Io son venuto a questo’.

 

Oh padre suo veramente Felice!

oh madre sua veramente Giovanna,

se, interpretata, val come si dice!

 

Non per lo mondo, per cui mo s’affanna

di retro ad Ostiense e a Taddeo,

ma per amor de la verace manna

 

in picciol tempo gran dottor si feo;

tal che si mise a circuir[16] la vigna

che tosto imbianca, se ’l vignaio è reo.

 

E a la sedia che fu già benigna

più a’ poveri giusti, non per lei,

ma per colui che siede, che traligna[17],

 

non dispensare o due o tre per sei,

non la fortuna di prima vacante,

non decimas, quae sunt pauperum Dei,

 

addimandò, ma contro al mondo errante

licenza di combatter per lo seme

del qual ti fascian ventiquattro piante.

 

Poi, con dottrina e con volere insieme,

con l’officio appostolico si mosse

quasi torrente ch’alta vena preme[18];

 

e ne li sterpi eretici percosse

l’impeto suo, più vivamente quivi[19]

dove le resistenze eran più grosse.

 

Di lui si fecer poi diversi rivi

onde l’orto catolico si riga,

sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.

 

Se tal fu l’una rota de la biga

in che la Santa Chiesa si difese

e vinse in campo la sua civil briga,

 

ben ti dovrebbe assai esser palese

l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma

dinanzi al mio venir fu sì cortese.

 

Ma l’orbita che fé la parte somma

di sua circunferenza, è derelitta,

sì ch’è la muffa dov’era la gromma.

 

La sua famiglia, che si mosse dritta

coi piedi a le sue orme, è tanto volta,

che quel dinanzi a quel di retro gitta;

 

e tosto si vedrà de la ricolta

de la mala coltura, quando il loglio

si lagnerà che l’arca li sia tolta.

 

Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio

nostro volume, ancor troveria carta[20]

u’ leggerebbe «I’ mi son quel ch’i’ soglio»;

 

ma non fia da Casal né d’Acquasparta,

là onde vegnon tali a la scrittura,

ch’uno la fugge e altro la coarta[21].

 

Io son la vita di Bonaventura

da Bagnoregio, che ne’ grandi offici

sempre pospuosi la sinistra cura.

 

Illuminato e Augustin son quici,

che fuor de’ primi scalzi poverelli

che nel capestro a Dio si fero amici.

 

Ugo da San Vittore è qui con elli,

e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,

lo qual giù luce in dodici libelli;

 

Natàn profeta e ’l metropolitano

Crisostomo[22] e Anselmo e quel Donato[23]

ch’a la prim’arte degnò porre mano.

 

Rabano è qui, e lucemi dallato

il calavrese abate Giovacchino,

di spirito profetico dotato.

 

Ad inveggiar[24] cotanto paladino[25]

mi mosse l’infiammata cortesia

di fra Tommaso e ’l discreto latino;

 

e mosse meco questa compagnia»

 

[1] Il movimento circolare, in Dante, è normalmente paragonato al movimento di una macina da mulino (mola) se in senso orizzontale, mentre ad una ruota quando è in senso verticale.

[2] Letteralmente «trombe» (< lat. tuba), ma qui, per metonimia, vale genericamente «strumenti».

[3] Forma consueta nell’italiano antico (e ben documentata nei mss. danteschi), anche se quella in uso normalmente oggi (paralleli) è più vicina al suo etimo greco: parà állelon: uno di fronte all’altro.

[4] Ricordo mitologico (cfr. Ovidio, Met. i, v. 270) di Iride, ancella di Giunone, trasformata in arcobaleno, ricordo rafforzato dal latinismo iube (< iubet, comanda).

[5] Altro latinismo, < tripudium, cioè danza in cui si batteva il ritmo per tre volte sulla terra col piede (< ter pede), col valore generico di danza di gioia. Per metonimia il termine passa poi ad indicare grande gioia.

[6] Indica il «luogo naturale», cioè il luogo verso cui ogni cosa del mondo sub-lunare, secondo la fisica aristotelica, tende.

[7] Secondo la metafora, consueta nel cristianesimo, per cui la vita di ogni cristiano è militia Christi, inizia qui una lunga serie di termini che rimandano, appunto, alle immagini dell’esercito e del combattimento: essercito, ’nsegna, ’mperador, milizia, campioni, combatter, impeto, campo, briga (col valore di «guerra civile».

[8] Due le possibili interpretazioni: la più probabile lo fa derivare dal verbo raccorgersi (cioè «si ravvide») oppure, ma forse meno bene, dal verbo raccogliersi (e quindi «si raccolse»).

[9] Secondo gli antichi era il vento che spirava da occidente ad oriente portando i primi tepori primaverili (cfr. anche Petrarca, Canz. 310: Zefiro torna, e ’l bel tempo rimena), conosciuto anche col nome di Favonio, vento caldo che in tedesco è detto Phoen, da cui il nome dato anche all’asciugacapelli.

[10] Dal germanico drud (fedele) al latino ecclesiastico drudus, col valore sia di «servitore, vassallo» che di «credente», ma in seguito anche di «amante, innamorato».

[11] Dal greco athletés (< áthlon, premio), indica il combattente, il difensore di una giusta causa.

[12] Si noti il verso costruito con la figura retorica del chiasmo: aggettivo (benigno)-dativo (a’ suoi)-dativo (a’ nemici)-aggettivo (crudo).

[13] In questo e nei versi seguenti Dante espone una serie di etimologie onomastiche (cioè sui nomi propri) che, secondo l’uso del tempo, vedono nel nome l’essenza della persona che lo porta (nomen omen o nomina sunt consequentia rerum). Così Domenico vale «appartenente al Signore» (Dominicus < Dominus), Felice è già di per sé evidente (< lat. felix, fortunato) e Giovanna, nome ebraico, significa «piena di Grazia».

[14] Altro latinismo (< agricola, agricoltore) che dà il via ad un’altra serie di termini che rimandano, questa volta, non alla milizia, ma alla metafora dell’agricoltura, anch’essa spesso presente sia nei testi sacri che nelle opere dottrinali dei Padri: orto, circuir, vigna, imbianca, vignaio, seme, piante, sterpi, arbuscelli, gromma, ricolta.

[15] Contro ogni regola della metrica italiana, che non permette la rima costruita con la medesima parola, a meno che essa abbia due significati differenti (la cosiddetta “rima equivoca”; per es. porta, dal verbo portare, e porta, sostantivo), Dante qui non vuole che la parola Cristo, per il suo altissimo valore, possa rimare con altra parola, facendola dunque rimare con se stessa.

[16] Qui nel suo valore etimologico (< lat. circum ire), e positivo, di «andare intorno» e quindi per estensione «proteggere», e non in quello attuale, e negativo, di «imbrogliare».

[17] Lunga perifrasi per indicare la sede papale (ed il suo decadimento), utilizzando l’immagine metonimica della sedia. Traligna vale etimologicamente «andar fuori, uscire dalla linea», cioè la retta via (< trans lineam).

[18] Oltre ai latinismi dotti alta, cioè «profonda», e preme, cioè «spinge fuori», notiamo come nella proposizione relativa ch’ è complemento oggetto e vena è soggetto; qualche commentatore intende però alta come «posta in alto» e quindi di montagna.

[19] Quivi è riferito alla Provenza, ed in particolare alla città di Albi, roccaforte degli eretici catari, prima setta combattuta dall’ordine dei Predicatori.

[20] Termine tecnico per indicare il «foglio di pergamena».

[21] Altro latinismo dotto (< co-arto, -are) col valore di «stringe, irrigidisce».

[22] Soprannome dato, nella cultura greca, ai grandi oratori: letteralmente «dalla bocca d’oro» (< chrysòn stóma). Oltre a San Giovanni, qui citato, ricordiamo anche l’oratore pagano Dione Crisostomo, esponente della cosiddetta Seconda sofistica (ii-iii d. C.). San Giovanni Crisostomo (fine iv/inizio v secolo) è qui detto metropolitano in quanto arcivescovo di Costantinopoli.

[23] Famoso grammatico latino del secolo iv; autore di una Ars gramatica, considerata talmente fondamentale per gli studi grammaticali (prim’arte, in quanto su di essa si fondavano tutti gli studi linguistici, letterari e retorici successivi) che ancora secoli dopo il termine Donato valeva, metonimicamente, ad indicare il libro di grammatica.

[24] Il verbo inveggiare può significare «invidiare» in senso positivo, equivalendo quindi ad «emulare», riferendolo al rapporto tra San Bonaventura, che sta parlando qui, e San Tommaso, che ha parlato nel canto precedente; secondo altri commentatori, invece, facendolo derivare dal francese antico envier, gli danno il valore di «chiamare in campo, invitare», riferendolo così a San Domenico, protagonista dell’episodio.

[25] Il termine paladino (< comes palatinus, «conte di palazzo», cioè le guardie scelte del palazzo imperiale di Carlo Magno) vale «difensore, accompagnatore».

 

 

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