Il Beato Carlo d’Asburgo, ricordato dal nipote, l’Arciduca Martino – Parte I

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Lo scorso sabato 26 marzo, si è tenuto all’Istituto salesiano Valsalice di Torino  un convegno, organizzato dal Centro Culturale Pier Giorgio Frassati, da Alleanza Cattolica, introdotto dall’avvocato Marco Giorgio e moderato dal professor Mauro Ronco, sul Beato Carlo d’Austria nella ricorrenza del centenario dalla sua morte (1° aprile 1922), con la partecipazione del Dottor Ivo Musajo Somma, autore, insieme a Oscar Sanguinetti, del libro Un cuore per la nuova Europa. Appunti per una biografia del beato Carlo d’Asburgo (D’Ettoris Editori), del Professor Roberto Coaloa, docente all’Università di Paris-IV Sorbonne, specialista in Storia dei Paesi danubiani e dell’Europa orientale, della Storia dell’Austria-Ungheria e degli Asburgo, dedicando anche un lavoro biografico a Carlo d’Asburgo. L’ultimo Imperatore (Il Canneto Editore), e del diretto discendente dell’Imperatore, S.A.I.R. Martino d’Austria-Este, erede del suo patrimonio nobiliare e, soprattutto, spirituale.

Carlo d’Austria, nato il 17 agosto 1887, è stato l’ultimo imperatore d’Austria, re di Ungheria e monarca della Casa d’Asburgo-Lorena e Asburgo-Este. Dopo la morte dell’imperatore Francesco Giuseppe (21 novembre 1916), Carlo ereditò sia il trono, sia la gestione a dir poco complicata della situazione della Grande Guerra, denominata anche «L’apocalisse della modernità», in quanto il conflitto pose l’Europa davanti alla realtà, dopo l’illusone della Belle Époque.

Il Beato si ritrovò, quindi, con un’eredità davvero pesante, dal momento che l’Impero austroungarico era entrato in un conflitto multinazionale, in un’epoca di nazionalismi.

Il Dottor Somma ha spiegato che fu proprio questa politica, già presente prima dello scoppio della guerra, a rendere la situazione estremamente delicata e, di conseguenza, difficile: c’erano diverse tensioni interne, la Boemia non era soddisfatta di non avere uno Stato simile a quello del Regno d’Ungheria, dove gli slavi non erano gratificati dai trattamenti che ricevano da parte dei magiari. Non mancavano le tensioni neanche tra Vienna e Budapest, politiche e ideologie contrastanti. Insomma, l’Impero d’Austria-Este si ritrovò politicamente isolato in quello che, all’epoca, fu la più grande guerra che l’Occidente abbia mai conosciuto.

Nonostante le problematicità politiche, anche gravi, l’Austria presentava comunque una forte crescita economica, ma pure sotto un profilo civile, culturale e sociale, garantendo così una forte stabilità all’Impero, ragion per cui possedeva una certa sicurezza quando dichiarò guerra al Regno di Serbia il 28 luglio 1914, in seguito all’uccisione dell’allora erede al trono, l’arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie, la duchessa Sofia Chotek von Chotkowa, avvenuta esattamente un mese prima.

La morte di Francesco Ferdinando fu un grave affronto, non solo perché avrebbe dovuto ereditare la corona, ma anche perché avrebbe riformato la politica estera dell’Impero austroungarico. Tuttavia, anche il beato Carlo d’Asburgo era consapevole del fatto che l’Impero necessitava di essere riformato su basi federalistiche.

L’intento era di porre la dinastia come elemento di unione e coordinamento da un lato e dall’altro di salvaguardare l’autonomia delle singole entità federate. Ovviamente, ristrutturare l’intero Stato politico durante una guerra, o meglio una grande guerra, era estremamente complicato. In più, il nuovo Imperatore trovò più oppositori (tra cui anche massoni) che sostenitori e i venti erano di carattere fortemente nazionalistico. Nella visione nazionalistica dell’epoca un Impero che includeva diverse nazioni e relativi popoli costituiva una minaccia ideologica, ragion per cui soprattutto i politici della sinistra francese e il presidente americano Wilson approfittarono della guerra per sfaldare definitivamente l’Impero austroungarico, vanificando così gli innumerevoli tentativi di Carlo per mantenere in vita la duplice monarchia.

L’altro obiettivo del Beato, ancora prima di salire al trono, fu quello di porre fine alla guerra, attraverso una pace negoziata. Nel novembre del 1916, poco prima della morte di Francesco Giuseppe, scrisse una lettera al papa, Benedetto XV, nella quale manifestò il suo dolore per le pene sofferte dal suo esercito e il suo grande impegno affinché l’Austria uscisse dalla guerra.

Una delle prime cose che ordinò, appena diventato imperatore, fu la deposizione, nel marzo del 1917, del Capo di Stato Maggiore dell’esercito austriaco, Franz Xaver Josef Conrad von Hötzendorf, a causa della mal gestione dell’esercito nei primi mesi di guerra e, soprattutto, per la sua politica bellicista, filo-tedesca. Allo stesso tempo, cominciò a trattare con alcuni Stati europei, in particolare con la Francia e con l’Inghilterra, per raggiungere una pace negoziata, ma senza successo. E le cose peggiorarono con la campagna tedesca in Russia (fortemente sconsigliata da Carlo stesso) e con l’arrivo degli americani. Come se non bastasse, la Germania elaborò un piano segreto, in cui si affermava che, nel caso di una pace separata dell’Impero d’Austria con le potenze dell’intesa, l’esercito tedesco avrebbe invaso la Boemia.

Nonostante i tentativi falliti di Carlo per raggiungere la pace, il suo esercito, che lo amava e rispettava, non si arrese e combatté valorosamente fino alla fine per il proprio Imperatore e per la propria patria, non temendo la morte o la sconfitta, ormai imminente. L’Imperatore, fin da subito, cercò si limitare le perdite e di migliorare le condizioni dei suoi soldati. Il 24 ottobre del 1918, quando le truppe italiane, sorrette da inglesi e francesi, lanciarono l’ultimo fatale attacco contro le linee austriache, il beato Carlo d’Asburgo rivolse l’ultimo proclama al suo devoto e amato esercito:

«Soldati, il vostro dovere è chiaro e semplice, come il vostro giuramento, questo è un fatto inalterabile. Tutti i popoli della Monarchia hanno trovato una casa comune nell’esercito, che per questo motivo è stato in grado di realizzare così tanto. L’esercito supererà i presenti pericoli nello stesso spirito col quale è andato in guerra: calmo, determinato, leale, con onore, in difesa di tutti i suoi popoli. Dio sia con voi.»

Tutti questi tragici eventi, la perdita della guerra, la fine dell’Impero d’Austria-Este, si possono definire un prologo di ciò che sarebbe successo negli anni seguenti, con la seconda grande guerra. Tuttavia, con la caduta della duplice monarchia, il beato Carlo mantenne la sua posizione da Imperatore fino alla fine, rifiutandosi di abdicare: «Non ho abdicato e non lo farò mai.»

Sapeva di essere lui il sovrano di quelle terre e sapeva di doverlo rimanere, anche se il suo Impero era ormai distrutto, perché era questo il suo dovere verso Dio, che gli aveva donato quella posizione, da custodire e proteggere. Ma alla fine, il 23 marzo 1919, lui e sua moglie Zita (1892-1989), scomparsa a 97 anni, sono stati costretti a lasciare l’Austria e ritirarsi in esilio in Svizzera (prima di recarsi a Madera, un’isoletta portoghese dell’Atlantico), dove Carlo tentò ancora di restaurare la monarchia in Ungheria, durante l’anno 1921.

Nel febbraio del 1919, quindi poco prima di lasciare l’Austria, l’Imperatore scrisse ancora una volta a Benedetto XV:

«Solo l’armonia tra il trono e l’altare, le due autorità di istituzione divina, poteva ristabilire l’ordine nei Paesi appartenuti alla monarchia danubiana, ora sconvolti ad un tempo dagli opposti nazionalismi e dall’avanzata del bolscevismo.

Possano i nostri sforzi uniti, Santo Padre, giungere ad arginare il bolscevismo che in ciascuna di queste piccole repubbliche sta facendo passi da gigante. […] Nelle prove che la divina Provvidenza mi ha inviato, ho conservato la consapevolezza di aver sempre fatto il mio dovere e di non aver mai cercato in ogni cosa altro che il bene dei miei sudditi, insieme alla maggior gloria di Dio e al trionfo della nostra Santa Madre Chiesa.

La mia attuale situazione è estremamente difficile, ma non perdo coraggio e ho soprattutto fiducia che il Sacro Cuore di Gesù non abbandonerà questo Paese che a Lui è consacrato. Questo è il pensiero che rafforza me e l’imperatrice.»

 

 

Questo è stato l’imperatore Carlo d’Asburgo-Lorena-Este: un uomo che non ha mai abbandonato il suo Impero, persino quando esso non esisteva più, un uomo che non si fermò di fronte a niente, nemmeno di fronte all’insuccesso o ai pericoli, pur di fare il suo dovere di sovrano, mettendo in primo piano la propria patria, il proprio esercito, il proprio popolo, e sempre, costantemente seguito dalla moglie fedele, Zita di Borbone-Parma.

«Quando io voglio sopportare qualcosa, riesco a farlo», queste sono le parole della donna in risposta a tutti coloro volevano indurla a lasciare il marito, viste le grandi difficoltà a cui andavano incontro. Ma anche Zita, come il suo consorte, aveva un carattere forte e una grande fede.

Nonostante i continui fallimenti, il regnante austriaco esiliato continuò ad essere una minaccia per gli altri Paesi europei, in particolar modo per l’Italia. Tant’è vero che venne fatto seguire a Madera da un poliziotto, Giuseppe Dosi (1891-1981), che in seguito avrà un ruolo fondamentale nella fondazione dell’«Interpol». La sua sotto-copertura a Madera fu quella di ricevere la nomina di «Regio Console», nel 1922, grazie alla quale riuscì ad avvicinarsi a Carlo e alla sua famiglia. Tuttavia, la sua indagine finì presto perché il Beato si spense, all’età di soli 34 anni, il 1° aprile dello stesso anno, a causa di una bronchite trascurata e sviluppatasi poi in polmonite. Zita trovò ospitalità a Madrid, presso il Re di Spagna e rimase sola, con i suoi otto bambini: Carlo non poté assistere alla nascita dell’ultima figlia, poiché avvenne un mese dopo la sua morte.

Il 3 ottobre del 2004, Giovanni Paolo II proclamò Carlo d’Asburgo Beato e il suo giorno liturgico cade il 21 ottobre. Questo evento scatenò diverse polemiche sulla stampa laica italiana, a causa dell’influenza politica che rinnegava la grandiosità, seppur di un Paese allora nemico, dell’ultimo Imperatore austriaco. L’unico che riuscì a pubblicare fatti concreti e non critiche di parte fu il «Sole 24 Ore», grazie al Professor Roberto Coaloa, che allora collaborava con il giornale in questione. Fu in quell’occasione che conobbe il discendente dell’imperatore appena beatificato: S.A.I.R. Martino d’Austria-Este.

Quale miglior fonte, se non il figlio del figlio dell’uomo sul quale si deve conoscere la vita personale, familiare e politica?

Il padre dell’arciduca Martino era il terzogenito dell’imperatore Carlo, Roberto d’Austria-Este (1915-1996) e sua madre era Margherita Savoia-Aosta (1930-2022), scomparsa il 10 gennaio scorso, figlia di Amedeo di Savoia. Ne consegue che la discendenza del principe Martino d’Asburgo non è illustre solo da parte di padre, ma anche da parte di madre.

(1 – continua)

 

 

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