Henry Kissinger: 100 anni di realismo contemporaneo

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Heinz Alfred Kissinger, nato a Fürth, in Germania, il 27 maggio 1923, è l’uomo che ha voluto mettere in pratica la dottrina realista delle relazioni internazionali, divenendo il punto di riferimento per una parte della politica estera statunitense a partire dagli anni Sessanta.

L’origine ebraica di Kissinger spinse la sua famiglia a fuggire dalla Germania nazionalsocialista nel 1938, per rifugiarsi prima a Londra, ma, dopo poco tempo, per trovare riparo a New York e proprio in quella città vivere su di sé il sogno americano di cui questo grande protagonista del nostro tempo terrà sempre il ricordo e la gratitudine.

La giovinezza di Heinz, divenuto Henry negli Stati Uniti, fatta di duro lavoro di giorno e studio di notte, fu la base che lo porterà a decidere, assieme il fratello Walter, di arruolarsi nell’esercito degli USA nel 1943, ottenendo in questo modo la cittadinanza americana. Le sue doti intellettive e la sua conoscenza del tedesco lo portarono ad essere ingaggiato nello spionaggio e rimanere nella Germania occupata fino al 18 aprile 1946.

Dopo la guerra decise di riprendere gli studi, conseguendo la laurea con lode all’Università di Harvard; divenne professore associato nel 1957 e professore di ruolo nel 1962 della stessa prestigiosa Università di cui era stato studente.

La sua tesi, «Peace, Legitimacy, and the Equilibrium (A Study of the Statesmanship of Castlereagh and Metternich[1], dimostra come il centro dei suoi interessi di studio sia la geopolitica in tutte le più ampie sfaccettature, cosa che lo porterà ad essere uno dei più influenti consiglieri di moltissime Amministrazioni che si sono avvicendate in America.

La sua brillante carriera accademica lo ha portato in pochissimo tempo a legarsi alla politica governativa federale degli Stati Uniti. Il suo trampolino di lancio è stato Nelson Rockfeller (1908-1979)[2] conosciuto nel 1955, il quale gli permise di iniziare a esporre le proprie idee in ambito geopolitico tramite consulenze per esponenti e associazioni legate al Partito repubblicano statunitense. Il suo legame politico non gli precluse in alcun modo la collaborazione con Amministrazioni democratiche, come quelle di John Fitzgerald Kennedy (1917-1963) e di Lindon Baines Johnson (1908-1973). Fu proprio in questo periodo che Kissinger sviluppò la propria idea sul conflitto in Vietnam, in critica allo stesso Johnson, ritendo un massiccio impiego di uomini e mezzi americani non utile alla risoluzione del conflitto nel sud est asiatico.

Per le sue specifiche doti venne scelto dallo stesso Johnson al fine di occuparsi delle trattative di Parigi con il Vietnam del Nord, nel tentativo di arrivare ad una soluzione diplomatica del conflitto, a partire dal 1968.

Il salto di qualità nella carriera politica di Henry Kissinger arrivò nel 1969, dopo la vittoria di Richard Milhous Nixon (1913-1994) nelle elezioni presidenziali del 1968, quando venne nominato Assistente del Presidente per la Sicurezza nazionale. Da questo momento in poi le sue idee e il suo operato avrebbero influenzato non solo gli Stati Uniti, ma quasi tutto il mondo. Per Kissinger erano due i principi che dovevano guidare la politica estera statunitense.

Il primo è: «Le persone comuni credono che la morale possa essere applicata applica alla condotta degli Stati verso altri Stati come si applica nelle relazioni umane. Non sempre è così!»[3].

Mentre il secondo è: «I sistemi internazionali hanno vita precaria. Ogni “ordine mondiale” aspira all’eternità – come è insito nel termine stesso, ma in realtà ora gli elementi che lo compongono sono in flusso costante e la verità è che nel corso dei secoli la durata dei sistemi internazionali è continuamente diminuita»[4].

La morale, le buone azioni, secondo Kissinger, sono da non tenere in considerazione per il potere politico, in quanto il fine giustifica sempre i mezzi e per gli Stati Uniti di Kissinger il fine ultimo è la «Potenza», che egli considera l’unica vera garanzia della pace e della stabilità nell’ordine internazionale perché, dice, l’equilibrio tra potenze è il solo strumento atto a mantenere la pace.

Per potenza si intende la capacità di uno Stato di mostrarsi sufficientemente forte da intimorire i suoi avversari ed estendere la propria influenza su vaste aree del globo in campo economico, culturale e, soprattutto, militare. Tutto questo, secondo il suo pensiero, non nega una cooperazione pacifica, ma occorre sempre mantenere le rispettive distanze tra le potenze per evitare il nascere di possibili conflitti.

Occorre precisare, però, che la politica estera di Kissinger non vuole un’unica super potenza americana capace di dominare il mondo, per due ragioni: la prima è che non è materialmente possibile oggi per una potenza dominare pacificamente tutto il globo, mentre la seconda è che agendo in questo modo la pace e la stabilità a livello mondiale, principalmente tra le grandi potenze, verrebbero meno, permettendo lo sviluppo di conflitti su scala sempre più amplia.

«Ciò che è veramente nuovo nell’ordine mondiale emergente è che per la prima volta gli Stati Uniti si trovano nella condizione di non potere ritirarsi dal mondo, ma neppure di dominarlo»[5].

Il sistema internazionale, come Kissinger sapeva e continua a sapere bene, cambia sempre più rapidamente e questo porta gli Stati spesso a commettere errori politici o, cosa più grave, innescare guerre. Per il geopolitico di origine tedesca è necessario saper cogliere questi cambiamenti prima che avvengano o risolverli prima che i danni siano irreparabili, ciò può voler dire anche scatenare guerre o soffocare rivolte prima che i danni siano eccessivi.

Ovviamente Kissinger si preoccupò che ciò fosse fatto a tutela dell’egemonia degli Stati Uniti d’America ed a discapito dei nemici degli stessi. Un primo esempio sono stati i pesantissimi bombardamenti avvenuti in Laos e Cambogia durante la guerra in Vietnam sotto la presidenza Nixon; anche se in misura minore, Lindon Johnson aveva iniziato a colpire il cosiddetto «sentiero di Ho Chi Minh»[6] su consiglio dello stesso Kissinger.

Per ottenere una vittoria contro il Nord Vietnam era necessario, secondo Kissinger, colpire anche Paesi formalmente neutrali, ma vicini ad Hanoi (Laos e Cambogia), che, però, fornivano aiuto, almeno logistico ai nord vietnamiti; in questo modo si poteva evitare l’arrivo di rinforzi vietcong da quegli stessi Paesi e, in proiezione futura, avere maggiore forza per dei possibili negoziati che stabilizzassero la crisi, magari attraverso una soluzione simile a quanto avvenuto tra le due Coree.

Con 2 milioni e 260 mila tonnellate di bombe sganciate durante tutto il periodo della guerra del Vietnam, il Laos ancora oggi è lo Stato con più ordigni inesplosi sul suo territorio al mondo, nonostante non fosse pubblicamente e formalmente coinvolto nel conflitto.  Queste tipologie di bombardamenti furono dichiarate nei rapporti militari come fossero stati bombardamenti realizzati su territorio vietnamita ai danni delle forze del Nord.

Kissinger ha sempre difeso questo operato negli anni successivi, affermando che i bombardamenti colpivano obiettivi militari nord vietnamiti su territori neutrali, «ingiustamente occupati dalle forze nord vietnamite»[7].

 

Laos, cratere formato dai bombardamenti americani ed ordigno Usa inesploso e disarmato

 

Il conflitto in Vietnam, per parte americana, cessò il 27 gennaio 1973 con la firma degli Accordi di Parigi tra gli Stati Uniti e il Vietnam del Nord, in cui si concordò la fine del conflitto e l’autodeterminazione del popolo sud vietnamita. Per questo risultato a Henry Kissinger e a Lê Ðức Thọ[8] venne assegnato il premio Nobel per la pace. Lê Ðức Thọ, però, rifiutò il premio per protestare contro il fatto che il conflitto non fosse ancora concluso e il Vietnam diviso.

I nord vietnamiti proseguirono il conflitto, che, di fatto, finì solo due anni dopo, il 30 aprile 1975, con esiti politicamente devastanti per gli Stati Uniti, dovuti allo scandalo Water Gate e alla politica del Congresso riguardante il ritiro dal Vietnam del Sud, concretizzatasi con il War Powers Act (novembre 1973), che vieta al Presidente di dispiegare truppe per più di 60 giorni in zone di guerra o a rischio di guerra senza l’approvazione del Congresso, e la successiva richiesta di ritiro dall’Indocina.

La capacità politica di Kissinger si manifestò in un altro contesto con risultati per l’epoca assolutamente sorprendenti, rendendo la Repubblica popolare cinese un interlocutore atto a garantire un nuovo sistema internazionale, che di lì a pochi anni avrebbe posto fine alla Guerra fredda e portato il mondo alla situazione in cui oggi viviamo.

Il piano di Richard Nixon ed Henry Kissinger era di sfruttare la secolare reciproca ostilità tra Russia e Cina, per iniziare ad avere dei rapporti diplomatici con Pechino e, così, indebolire l’Unione Sovietica.

Nel dicembre 1969, su espressa richiesta di Nixon e Kissinger, l’ambasciatore americano in Polonia pose i primi punti d’incontro diplomatici tra i due Paesi. Ma la reciproca diffidenza non permise di avere rapporti diretti tra le due parti e, quindi, venne scelto come intermediario Agha Muhammad Yahya Khan[9], Presidente del Pakistan, il quale, avendo relazioni con entrambi i Paesi, pose le prime solide basi per un dialogo.

La supervisione di Kissinger su questo processo fu assoluta, si dedicò completamente allo studio della cultura e della storia cinese, a lui pressoché sconosciute, arrivando ad essere, poi, in grado di allontanare sempre di più la Cina maoista dalla possibile influenza moscovita.

Nell’aprile 1971 Kissinger ricevette una lettera ufficiale che richiedeva un inviato americano in Cina al fine di predisporre una futura visita del Presidente Nixon. L’inviato scelto fu lo stesso geopolitico e, per evitare fughe di notizie, la missione venne svolta con il massimo segreto: ufficialmente, infatti, era semplicemente l’Assistente del Presidente per la Sicurezza nazionale, carica che, come si è detto, ricopriva lo stesso Henry Kissinger, ad assolvere la visita in alcuni Paesi asiatici. Ma venne architettata una copertura per cui, mentre si trovava in Pakistan, Kissinger avrebbe subito un avvelenamento da cibo che lo avrebbe costretto a fermarsi sul luogo per un po’ di tempo fino alla sua guarigione. In questo modo la missione in Cina si concluse senza il consenso di alcuna autorità americana, escluso il Presidente, e senza pressione mediatica.

 

 

Il 9 luglio 1971 Kissinger giunse a Pechino, dove, nella segretezza più assoluta, anche per i cinesi stessi, venne scortato in una casa adibita esclusivamente a permettere gli incontri tra la delegazione di Kissinger e le autorità cinesi. Il primo avvenne tra Kissinger e Zhou Enlai[10], Primo Ministro della Repubblica popolare cinese nel 1971; questo colloquio non ebbe risultati positivi, anzi, la contrapposizione tra le due delegazioni portò ad un nulla di fatto per quanto riguardava la questione principale: la posizione americana sull’indipendenza di Taiwan. Il giorno successivo le autorità di Pechino insistettero affinché la delegazione statunitense potesse prendere visione di alcune realtà sorprendenti del patrimonio culturale cinese a Pechino. Tale mossa aveva lo scopo di mostrare la forza storica che la Cina custodisce dentro di sé e con cui esprime il suo senso di civiltà e superiorità rispetto agli stranieri, accusando implicitamente gli statunitensi di non avere una storia alle spalle.

Durante la visita, in maniera molto più ufficiosa, le due delegazioni si accordarono per permettere una prossima visita del presidente Nixon nella Repubblica Popolare Cinese. La missione di Henry Kissinger fu un successo politico incredibile; da quel momento, infatti, il dialogo tra la Cina comunista e il mondo occidentale non si sarebbe più interrotto.

L’apertura alla Cina promossa e realizzata da Kissinger non aveva lo scopo di creare una solida alleanza sino-americana, ma di indebolire l’Unione Sovietica e, successivamente, stabilizzare lo scacchiere internazionale, dato che la Cina, all’epoca, era una potenza in lenta, ma progressiva «inevitabile crescita»[11], come ebbe a dire lo stesso Kissinger.

Per capire il pensiero kissingeriano occorre capire bene il principio che abbiamo espresso inizialmente, per cui la morale è slegata dall’operato degli Stati e, quindi, quando un qualsiasi Paese agisce lo fa nel proprio interesse, non curandosi degli interessi degli altri: se vengono compiute azioni umanitarie, di solidarietà e di soccorso oppure azioni criminali, violente e inganni, ciò non ha alcuna rilevanza, in quanto il mantenimento e l’accrescimento della potenza di una nazione vanno raggiunti con qualunque mezzo.

Kissinger ha come punto focale la stabilità nelle relazioni internazionali e, per questo motivo, la Cina comunista doveva avere contatti con gli Stati Uniti, perché, come il geopolitico aveva giustamente previsto, il Paese del dragone sarebbe divenuto in breve tempo il principale avversario degli USA sul piano globale, dopo la fine dell’Urss.

Kissinger non si è limitato a prevedere un’ascesa inevitabile della potenza cinese, ma ha voluto agire, anche in modo spregiudicato, per dare agli Stati Uniti un vantaggio politico ed economico sui cinesi, nella prospettiva di una mutua collaborazione che potesse garantire una cooperazione pacifica. Nel suo libro On China, scritto nel 2011, Henry Kissinger afferma: «Entrambi i Paesi hanno una grande percezione della propria eccezionalità»[12]. Questo spiega come le due potenze non potranno mai essere alleate ed ecco perché è necessario che si crei una stabilità basata sulla cooperazione, magari a discapito di Paesi terzi meno rilevanti, come un tempo lo fu il Vietnam ed oggi molti Paesi africani.

Oggi, all’età di 100 anni, il saggio stratega Kissinger lucidamente sostiene ancora che è necessario evitare una guerra diretta con la Repubblica Popolare, ma sarebbe meglio sanare la frattura nell’ordine internazionale portata dalla guerra in Ucraina per evitare ulteriori aggravamenti e gettare la Russia tra le braccia di Pechino.

Un secolo di vita dedicato alla politica, unico vero amore per un uomo che disse «Il potere è l’afrodisiaco supremo»[13].

 

 

[1] «Pace, legittimità ed equilibrio (Uno studio sulla politica di Castlereagh e Metternich)».

[2] Esponente del partito repubblicano, Governatore di New York dal 1959 al 1973, Vicepresidente dal 1974 al 1977 sotto la presidenza di Gerald Rudolph Ford (1913-2006).

[3] Dixit – Qualcosa da dire, puntata del 20 gennaio 2010.

[4] Dixit – Qualcosa da dire, puntata del 20 gennaio 2010.

[5] H. Kissinger, Cina, RCS Media group SpA, Milano 2022 p. 482. Originale: Henry A. Kissinger, On China, The Penguin Press 2021

[6] È stata una rete di strade che andavano dal Vietnam del Nord al Vietnam del Sud, attraverso le nazioni confinanti di Laos e Cambogia, allo scopo di fornire supporto logistico ai Viet Cong e all’NVA (North Vietnam Army = Esercito del Vietnam del Nord) durante la guerra del Vietnam. Erano una combinazione di strade per i camion e percorsi per pedoni e biciclette, collegate anche per mezzo di gallerie e stazioni di rifornimento.

[7] La storia siamo noi, puntata 19, La carta cinese- Nixon e Mao Tse Tung.

[8] Phan Đình Khải, soprannominato Lê Ðức Thọ (Nam Trực, 14 ottobre 1911 – Hanoi, 13 ottobre 1990) è stato un rivoluzionario, militare, politico e diplomatico vietnamita del Nord.

[9] Agha Muhammad Yahya Khan (Chakwal, 4 febbraio 1917 – Rawalpindi, 10 agosto 1980) è stato un generale e politico pakistano; fu il presidente del Pakistan dal 1969 al 1971.

[10] Zhou Enlai (Huai’an, 5 marzo 1898 – Pechino, 8 gennaio 1976), importante dirigente del Partito Comunista Cinese, fu capo di governo della Repubblica Popolare Cinese dal 1949 fino alla morte.

[11] H. Kissinger, Cina, RCS Media group SpA, Milano 2022 p. 423. Originale: Henry A. Kissinger, On China, The Penguin Press 2021

[12] H. Kissinger, Cina, RCS Media group SpA, Milano 2022 p. 484. Originale: Henry A. Kissinger, On China, The Penguin Press 2021

[13] La storia siamo noi, puntata 19, La carta cinese- Nixon e Mao Tse Tung.

 

 

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