Gina Lombroso Ferrero, pensatrice antimoderna – II

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“L’anima della donna”

L’analisi di Gina Lombroso coglie nell’empatia spontanea della donna quella “differenza di direzione” rispetto all’uomo, che si traduce in una ricerca di concretezza e di  utilità verificabile:

«Speculativamente la donna è disinteressata e utilitaria in contrapposto all’uomo che è interessato e non utilitario. E’ disinteressata in quanto può studiare e affaticarsi volentieri intorno a problemi che non hanno alcun interesse personale per lei –indipendentemente dal piacere personale che può trovarvi o dal suo personale interesse; è utilitaria in quanto s’interessa, si appassiona, fatica volentieri intorno a problemi che pur l’annoiano purchè veda qualche utilità, purchè veda in essi ripercussioni utili per la vita viva.

L’uomo invece è interessato e non utilitario in quanto studia, si affatica volentieri intorno ad obbietti che gli danno un piacere personale diretto, indipendentemente dall’utilità generale che questi studi, questi problemi possono avere per la vita viva che gode e soffre; e non vuol saperne o solo lo fa per compenso diretto di affaticarsi intorno a problemi utili ma che l’annoiano. L’uomo studia più volentieri il meccanismo che la malattia…che la cura. La donna la cura più che il meccanismo.»[1] (p.7-8)

In questo caso non possiamo fare a meno di pensare che queste osservazioni siano fondate sulle sua esperienza personale nel rapporto col padre e l’ambiente intellettuale e scientifico intorno ad esso.

Non si tratta quindi d’inferiorità, di ruoli o di stereotipi; la Lombroso parla di differenze di direzione, e ne dà esempi legati al suo tempo, ma acuti nel notarne anche gli elementi ambigui, recessivi, egoistici, narcisisti. Che sono poi quegli stessi che l’autocoscienza femminista verrà poi invece a rivendicare e valorizzare come processi liberatori, fino a parlare di “schiavitù biologica”; e fino a pervenire, per quella via, e paradossalmente, alla dissoluzione dell’identità femminile del nihilismo del gender.

 

Differenze di qualità.

Le specificità femminili sono altresì «differenze di qualità, determinate dagli speciali mezzi da cui [la donna] attinge le sue conoscenze.» Qui la Lombroso analizza i processi della conoscenza, segnalando le doti d’intuizione, immaginazione, senso dell’armonia. Si tratta di

«facoltà naturali che vengono dalla nascita, doni di Dio,

come la riflessione e la ragione; però come le altre

facoltà intellettuali, esse hanno organi che ne aiutano o

aumentano la portata, l’osservazione, la memoria,

l’associazione d’idee.» (p.32)

Ne deriva alla donna un metodo di lavoro che procede “dal concreto all’astratto”. Tali caratteristiche della donna, dal femminismo rivendicate nella loro forma emotiva, individualistica, irrazionale, sono dalla Lombroso inquadrate e messe al servizio di un ragionato progetto intellettuale e di vita, quale è del resto quello necessario alla cura della prole.

Alla maternità segue infatti l’aptogestazione: se la generazione è un complesso fisico-intellettuale-affettivo  inscindibile, ancora lo è la formazione del bambino, da operarsi in una comunità di apporti, a cui la donna partecipa come madre, ma anche nell’inventività, in quantol’economia domestica consta di una serie d’invenzioni continue”:

«La donna ha inventato quasi tutte le arti più preziose di cui ci serviamo: nel mondo primitivo le donne assumono le funzioni industriali, sono macellaie, cuoche, provveditrici, lavoratrici di pelli, fabbricatrici di tende, di abiti, calzolaie, cucitrici…» (p.80)

É la donna –ripercorre la Lombroso- che ha trovato le erbe commestibili, e ha iniziato a coltivarle, ha allevato i piccoli degli animali uccisi dall’uomo cacciatore, ha intuito che vacca, pecora, capra potevano dare il latte per i bambini. Ha realizzato le farine, inventato le  cotture,  le tecniche di conservazione degli alimenti; ha trovato e manipolato le fibre per tessuti e canestri, allevato il baco da seta, trovato le tinture vegetali; ha sperimentato le erbe medicinali, i metodi curativi. Lo ha fatto nel naturale sviluppo dell’economia domestica, strutturata verticalmente nelle generazioni e orizzontalmente nelle comunità; economia che nel mondo antico faceva di ogni casa una cellula produttiva essenziale quanto (se non di più) le funzioni politiche e mercantili del villaggio e della polis.

Si perviene qui ad un nodo strutturale che costituirà per la Lombroso il punto di partenza della sua analisi sugli squilibri indotti dal macchinismo, dall’accentramento industriale e il consumismo, oggetto del successivo Le tragedie del progresso.

Dimostrando che nel mondo antico le macchine non furono realizzate non per un’impossibilità tecnica, ma per un orientamento collettivo e spirituale contrario agli eccessi di produzione e mercantilizzazione,

la Lombroso individua nella produzione seriale di beni di consumo uno degli elementi di squilibrio della società, che va a favore dei poteri accentrati in campo economico e politico. Ipotizzando una possibile inversione di rotta, ella si pone come anticipatrice

delle tematiche della decrescita, di una riconversione in senso umanistico, a cui proprio le donne potrebbero contribuire in modo decisivo.

Di ciò tratta in Le retour à la prosperité op.cit. (Il ritorno alla prosperità), in cui, con concretezza tutta femminile ed insieme un’accesa visionarietà, cerca di ipotizzare un graduale ritorno ad unità produttive di minori dimensioni, all’agricoltura, all’armonizzazione tra insediamenti urbani, natura, territorio, e alla ricomposizione delle comunità.

 

Il tramonto dell’amore-passione

Si giunge così all’aspetto su cui la Lombroso conclude la sua trattazione sull’anima femminile: quello dell’amore. Ella scrive in un contesto culturale in cui si percepiva l’esaurimento della parabola storica dell’amore-passione, correlata ad un’istituzionalità del matrimonio dai forti connotati patrimoniali ed economici.

Già Tolstoi nel 1877 in Anna Karenina aveva narrato dall’interno la crisi dell’amore romantico, contrastato, che nulla edifica, e distrugge tutti i soggetti. Sarà Denis de Rougemont, nel 1939, a darne in L’amore e l’Occidente la descrizione clinica, quella di un pathos che si alimenta nell’immaginario, nell’impossibilità, nel proibito, nella morte. E negli stessi anni (anche se il romanzo verrà pubblicato nel 1968) Albert Cohen in Bella del Signore ne narrerà la definitiva necrosi. Cosa poi oggi viene incluso sotto la parola “amore”, nell’abuso mediatico e nel politicamente corretto, è ahimè sotto gli occhi di tutti[2].

Gina Lombroso prospetta l’amore non come movente individualistico, ma in una possibile sequenza con la direzione, le qualità, il metodo, dell’intelligenza femminile di cui prima ha parlato. L’anima materna, alterocentrica, cerca coerentemente nell’amore la risposta empatica, un progetto di vita. E’solo così che la condivisione, l’integrazione è possibile.

Questa parte del testo è quella in cui oggi è più difficile riconoscersi, e dobbiamo dire purtroppo. Perché la Lombroso, per motivi di concretezza e persuasività, fa riferimento ai pregi e ai difetti della sua epoca, propugnando un’evoluzione nei rapporti donna uomo, e una nuova responsabilità morale, che da una parte elimini le ingiustizie e i condizionamenti sociali, e dall’altra contrasti la superficialità illusoria e gli istinti egoistici.

Oggi invece sono proprio i punti di riferimento etici che vengono a mancare, in quanto la crisi del patriarcato non solo non ha favorito l’integrazione, ma ha trascinato via con sé l’identità maschile, bollando di sessismo gli elementi di spontanea manifestazione della virilità, asseverativa, strutturante, protettiva, generosa. E quest’indebolimento psicologico e simbolico della figura maschile, non solo non elimina lo scontro tra i sessi, ma lo sposta su un terreno sterile e distruttivo, totalmente ideologico e di fatto irrazionale.

Quello della Lombroso è il disegno ideale dell’amore come movente erotico ed affettivo, che costruisce una continuità tra natura, famiglia, comunità.

Proprio alla luce di tale modello ideale ella notava del resto la distanza tra esso e la vita corrente; tanto che definisce drammatica la situazione di molte donne, e tragedie quelle che derivano dal contrasto tra le leggi, i costumi, le psicologie, i condizionamenti sociali. Prefigura così un cammino lungo e complesso, di cui le donne sono protagoniste, ma a cui secondo lei poco può contribuire un femminismo rivendicazionista, imperniato sulla concorrenza e l’inimicizia tra uomini e donne; e questo in quanto la concezione dell’amore, della vita, da parte della donna «non può modificarsi e quella dell’uomo neppure, senza cadere in tragedie maggiori e più generali.» (p.167)

Vi è qui una preveggenza sulle possibili derive di una disumanizzazione del conflitto. E in effetti esso oggi si è fatto ideologia, professione, casta, costruzione artificiale dei nuovi linguaggi, conformismi, privilegi del politicamente corretto, in ignoranza e sprezzo verso i problemi reali delle donne e degli uomini.

 

Un’esperienza di vita.

 La forza e la passione con cui la Lombroso affrontò le tematiche della donna e della società, fino ad una visione utopica di ricomposizione delle –antiche e perdute, o ideali e sperate- armonie con la natura e nella societ, trova radicamento nella sua esperienza di vita, quale traspare dai dati biografici, dalla spontaneità e dalla passione che anima i suoi testi, sempre scritti in un linguaggio semplice e chiaro, in cui si avverte la razionalità del cuore.

Razionalità e lucidità che le furono di aiuto, ma non bastavano, quando visse la più grave tragedia che possa toccare una madre, la morte del figlio. Leo Ferrero, ventinovenne già brillante autore teatrale e traduttore, morì in un incidente stradale nel 1933.

A lui così si rivolgeva la mamma nella dedica di Le retour à la prospérité pubblicato pochi mesi dopo:

«Cos’ha voluto significarci Dio, attraverso questo colpo improvviso? Ti credeva forse troppo sensibile per lasciarti nel caos che prevediamo?».

Il sogno di “un ritorno alla prosperità”, di un avvenire governato da una nuova coscienza antropologica, si apre  ad un più doloroso senso dei limiti dell’uomo, allo smarrirsi dell’intelligenza di fronte a processi e dimensioni che ci sovrastano e ci sconcertano.

Ritornano qui le parole di Edith Stein[3], le cui riflessioni sulla donna, scritte negli stessi anni, esprimevano una simile empatia e preoccupazione per il futuro, ma insieme “la fede in una storia nascosta”:

Ciò che a volte ci sembra di capire della storia è solo un riflesso fugace di ciò che è il mistero di Dio, e così sarà fino a giorno in cui tutto sarà manifestato.

 

 

[1]L’anima della donna, I ed. Zanichelli,1920; II ed. Zanichelli, 1921; III ed. in II volumi 1. Gli enigmi più oscuri, 2. Intelligenza ed amore, Zanichelli, 1926. Le citazioni sono da quest’ultima edizione.

[2] L’amore-passione, venendo meno via via le costrizioni sociali che lo rendevano difficile, ovvero banalmente adulterino, ha perso credibilità. Ma anche la mitologia del desiderio ha i giorni contati. Ne residuano, mediaticamente, gossip e pornografia, e nella realtà un grande disorientamento, infelicità, solitudine e talvolta violenza. Così l’attenzione e la drammatizzazione immaginaria si sposta sugli amori omosessuali, che hanno ancora un margine –minimo- di trasgressione, di pruderie mediatica.

[3]  Vedi Europa Cristiana.

 

 

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