«È sorprendente constatare quanto ci preoccupiamo della nostra salute, come ci prendiamo cura di noi stessi, di mangiare cibi sani e appetitosi, di bere bevande genuine, di respirare aria pura. Ma nonostante queste attenzioni, siamo ugualmente preda delle malattie e della corruzione. Mentre i santi, che hanno disprezzato la loro carne e l’hanno continuamente mortificata con il digiuno e l’astinenza, con il dormire per terra, con le veglie, il lavoro e la preghiera incessante, hanno reso immortale sia l’anima che il corpo.
I nostri corpi ben nutriti vanno in decomposizione e puzzano dopo la morte, mentre i loro rimangono profumanti e fiorenti sia in questa vita che dopo la morte. Quale stupore! Cercando di proteggere la nostra salute, la roviniamo; loro invece rovinandola, la proteggono. I santi, preoccupandosi unicamente del profumo della loro anima davanti a Dio, ottengono anche il profumo del loro corpo. Cari fratelli, comprendete il dilemma e lo scopo della vostra vita. Dobbiamo mortificare il corpo, con tutte le sue passioni carnali attraverso l’astinenza, la fatica, la preghiera e non dobbiamo assolutamente eccitarlo con le raffinatezze, la sazietà e l’indolenza».
Così scriveva alla fine dell’800 il santo parroco russo Ivan di Cronstad.[1] Si tratta di una figura notevole, un santo popolarissimo, che impressionava per il suo modo di celebrare i divini Misteri e per la sua potenza di intercessione. Silvano del Monte Athos stesso, un russo che poi visse tutta la sua vita in Grecia, fu colpito da questo santo parroco e decise di farsi monaco anche per l’esempio che aveva avuto da lui. Tutta la gente lo cercava, chiedeva la sua preghiera, edificata dalla sua fede intrepida, che non esitava a mettersi contro i potenti del tempo per difendere il popolo di Dio. Sorprendente dunque questa pagina nella quale il santo chiedeva che la gente non si prendesse troppa cura della propria salute e che considerasse piuttosto il benessere dell’anima.
Il riferimento di san Giovanni di Cronstad al corpo del santo che rimane incorrotto e che profuma dopo la morte è tipico della spiritualità cristiana orientale, che dà grande rilievo al fatto che certi santi rimangono incorrotti dopo la morte. Ma il fenomeno è ben conosciuto anche in Occidente. Non sono pochi i corpi incorrotti di santi tuttora presenti nelle nostre chiese, e di santa Giacinta Marto (la pastorella di Fatima, nella foto a destra), tanto per fare un esempio, si sa che il piccolo corpo rimase esposto a Lisbona presso la parrocchia di fronte all’ospedale nel quale morì, a bara aperta, e che in quei quattro giorni vicino al corpicino tutti avvertissero un soave profumo. In un altro testo che racconta la vita dei monaci russi durante il comunismo del secolo scorso, ho trovato scritto che diversi di questi religiosi, che vivevano più o meno in clandestinità, furono sepolti in un certo posto nei pressi di un monastero, in una galleria sotterranea che aveva diversi loculi tipo catacombe, e che una volta finito il comunismo quando andarono a sistemare le cose trovarono tutti i corpi incorrotti!
Questo ci darebbe modo di affrontare il discorso del perché la Chiesa sia sempre stata contraria alla cremazione (parola elegante per esprimere il fenomeno brutale del corpo che viene messo dentro un inceneritore e che viene bruciato e carbonizzato), ma questo è un altro discorso che non affrontiamo ora.
Leggo in un meraviglioso libro di Iosif l’Isicasta (nell’immagine sottostante), monaco greco del Monte Athos (morto nel 1959) un passo assai interessante. Scrivendo ad una figlia spirituale, così si esprime: «Quando metti davanti a te la morte e te la aspetti ad ogni momento, se ne va lontano da te. Quando temi la morte, ti perseguita continuamente. Io sono malato dall’inizio della mia vita. Non ho mai fatto una cura. Insisto a mangiare il contrario (di quello che dicono i medici). Credi a me che ti dico la verità: da quando sono divenuto monaco, per quante volte mi sono ammalato, non mi sono mai preso cura di me stesso, né ho permesso ad alcuno di pensare alla mia salute corporale, ma ho rimesso tutta la mia speranza nel medico che non si fa pagare. Una volta mi presi una malattia per la quale il mio dorso era pieno di croste grandi come limoni. Divenni tutto di legno, senza potermi piegare. Combattevo questa malattia senza cambiare per nulla né la maglia di lana né la veste; anzi, mi sono caricato sulla schiena una bisaccia e ho girato tutto l’Aghion Oros, fino a che tutte quelle croste non sono cadute da sole e mi sono trovato guarito».[2]
Non avevo mai incontrato uno che dichiarasse di non essersi mai curato in vita sua! In sostanza l’argomento di padre Iosif è questo: se mi arriva una malattia, è in qualche modo volontà di Dio; se Egli vuole che io muoia di quella malattia, morirò, se Egli vuole che io soffra per un certo tempo a causa del morbo, soffrirò e offrirò il dolore per la mia purificazione e per la salvezza del mondo intero; se poi vuole che io guarisca, guarirò. Dal momento che padre Iosif portava l’abito lungo fino ai piedi e le maniche lunghe che coprivano le braccia, sia d’estate che d’inverno, nessuno si accorgeva di niente. Davvero una singolare forma di ascesi! Oggi come oggi si giudicherebbe pazzo e incosciente un tale modo di agire, ma tant’è… I santi ragionano diversamente.
San Giovanni di Cronstad non si curava della sua salute e stava benissimo, padre Iosif mangiava cose che i medici gli proibivano e lasciava che il suo corpo andasse come capitava, e si preoccupava della preghiera. Tutti e due grandi asceti e grandi uomini spirituali. Hanno qualcosa da insegnarci?
Nel Vangelo non si trovano grandi indicazioni a proposito, ma il sottofondo è uguale: Gesù ci dice di preoccuparci di accumulare tesori in cielo e non in terra, di non affannarci troppo del domani, di temere le malattie dell’anima e non quelle del corpo. Mangiava e beveva alla tavola dei peccatori per conquistare le loro anime, e ai propri apostoli diceva di mangiare quello che veniva messo loro davanti nelle case nelle quali erano ospiti, e non di andare al ristorante. Il corpo è importante, certo, ma è sempre funzionale ad altra vita e alla salute spirituale.
Ma se non c’è più fede, che cosa può valere di più della salute e del benessere corporale?
Benedetta Bianchi Porro, una beata romagnola morta a 27 anni devastata da una malattia tremenda e invalidante, verso il termine della vita riuscì a comunicare con la mamma nel suo stentato linguaggio e le disse: «Dio non poteva darmi una vita migliore di questa».
Potremmo fare tanti esempi di santi che hanno vissuto penitenze corporali, hanno digiunato per amore di Cristo e della Chiesa, ma se pensiamo a questo ci potremmo spaventare e sentire che noi non saremmo in grado di vivere le loro mortificazioni. Possiamo però chiederci, con la beata Benedetta Bianchi Porro, quale sia per noi la “vita migliore”. Paradossalmente ci può capitare di fare quello che san Giovanni di Cronstad esprime e che dà il titolo a questo articolo: crediamo di proteggere la salute e la roviniamo.
Il nostro corpo – è dogma di fede – risorgerà, e se saremo in Paradiso vivremo nella beatitudine eterna con le nostre braccia, le nostre gambe, il nostro sorriso. Allora, finalmente, non avremo più alcuna preoccupazione a riguardo del nostro corpo, perché non lo vedremo nemmeno, ma saremo rapiti dalla visione del “più bello tra i figli dell’uomo”, insieme a tutti i salvati del Cielo.
Se incontrerò padre Iosif l’Isicasta gli chiederò: “Ehi, caro padre, come va la salute”?
Copertina dell’articolo: Il corpo incorrotto di santa Bernadette Soubirous.
[1] Ivan di Cronstad, “La mia vita in Cristo”, Ediz. Gribaudi, Torino, 1981, pagg. 104-105.
[2] Iero Iosif l’Isicasta, “Lettere”, Ediz. Valleripa, Linaro FC, 2011, pag. 148.