Le virtù: la temperanza, Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia
Finiamo la nostra carrellata sulle virtù cardinali parlando della temperanza. Dopo avere analizzato le tre virtù teologali (fede, speranza, carità) e quelle cardinali della prudenza, della giustizia e della fortezza, tocca ora alla temperanza.
Iniziamo come sempre dalla definizione classica: «la temperanza è una virtù che modera l’inclinazione ai piaceri sensibili, specialmente del tatto e del gusto, contenendola entro i limiti della ragione illuminata dalla fede».
Si tratta di una virtù importante, perché deve moderare gli istinti più forti della natura umana. La Provvidenza ha voluto unire un piacere agli atti umani per la conservazione dell’individuo e della specie; di qui deriva la forte inclinazione dell’uomo ai piaceri del tatto e del gusto ordinati al fine voluto dall’Autore stesso della natura. Tuttavia poiché tale inclinazione erompe con veemenza dalla stessa natura umana, tende spesso ad oltrepassare i limiti del giusto e del ragionevole, trascinando l’uomo verso atti disordinati e quindi peccaminosi.
La temperanza infusa ci fa perciò usare del piacere per un fine onesto e sovrannaturale, nella forma indicata da Dio, ad ognuno secondo il suo stato e la sua condizione. E siccome il piacere è per sé seduttore e ci trascina facilmente oltre i giusti limiti, la temperanza ci inclina alla mortificazione anche in cose lecite, affinché possiamo più facilmente controllare la vita passionale.
Tutti noi conosciamo infatti quale potere abbia su di noi il piacere della gola (senso del gusto) e quello della lussuria (senso del tatto)… Non c’è nessuno che non sia stato tentato in varia maniera in questi campi, e sappiamo bene che cosa succede quando non si pone un freno e si accontentano immediatamente questi sensi concedendo loro il semaforo verde del “via libera”…. E questi due campi sono quelli più universali, più alla portata di tutti, più comuni, e quindi più facilmente oggetto di attenzione da parte del demonio per fare cadere gli uomini nella propria trappola.
Ci aiutano a tenere a freno i piaceri della gola le virtù collegate dell’astinenza e della sobrietà, mentre ci aiutano a regolare gli eccessi del piacere del tatto la castità e la pudicizia.
L’astinenza regola l’uso del cibo, non per avere un corpo snello, quasi questo interessasse Nostro Signore, ma nel senso religioso, e non a caso la Chiesa ha sempre dato delle norme per regolare questa concupiscenza: l’astinenza dalle carni il venerdì, il “mangiare di magro” nei giorni comandati, mentre nella vita monastica non c’è Ordine di ogni latitudine e di ogni tempo che non dia le giuste regole alimentari, basti pensare alla Regola di san Benedetto che parla anche della quantità di vino giornaliero per ogni monaco.
Buona norma, raccomandata a tutti e facilmente praticabile, è questa: mangiare solo durante i pasti e mai fuori dai pasti. Se una persona fa una buona colazione, poi mangia a pranzo e a cena, non è possibile che a metà mattina o metà pomeriggio senta una fame tale da dover prendere ancora qualcosa (tranne in caso di malattia o di terapie varie). Ma non sempre è così: mi capitò una volta di partecipare ad un corso di esercizi spirituali, negli Stati Uniti; rimasi colpito dal fatto che durante gli esercizi si mangiava cinque volte al giorno: tre pasti regolari e due spuntini (ma anche… “spuntoni”, super) a metà mattina e metà pomeriggio. Mi parve decisamente troppo.
I padri del Deserto mangiavano una volta al giorno, verso il primo pomeriggio, e questo bastava. Sant’Antonio campò fino a cent’anni e godette di ottima salute, tanto per dire.
Temperanza, Piero di Pollaiolo (1441/1442-1496), olio su tavola, 1470, Galleria degli Uffizi, Firenze
Con la parola “sobrietà” si intende moderazione e temperanza in qualsiasi cosa, ma in senso stretto si può applicare questa virtù soprattutto in ordine all’uso delle bevande inebrianti. Inutile sottolineare come una persona che abbia il vizio di alzare troppo il gomito, facilmente poi apra la porta ad una miriade di altri difetti, intemperanze, vizi, bassezze, di cui abbiamo facili esempi ovunque. Nessuno nega la bontà e anche il valore di un buon bicchiere di vino ai pasti (basti pensare ai versi della Bibbia che lo esaltano), ma non v’è nessun elogio a chi beve troppo e si ubriaca. Anzi, al contrario: l’ubriachezza riduce l’uomo allo stato sub-animale.
A riguardo della concupiscenza carnale, il freno all’intemperanza è la castità, che non è affatto una virtù che riguarda i religiosi o chi ha fatto voto di verginità consacrata, ma è per tutti i battezzati, anche gli sposati. Per questi infatti essere casti significa vivere la vita di unione coniugale secondo i dettami della ragione illuminata dalla fede, facendo del matrimonio l’anticamera del Paradiso nel reciproco dono umile e rispettoso dell’uno all’altra, e nel comune servizio e impegno nei confronti dei figli. Essere casti significa, per tutti, mettere al primo posto l’amore per Dio (il primo comandamento) e far ruotare tutto attorno a questo. I vergini poi “anticipano” la vita celeste rinunciando totalmente alla vita sessuale, non come sforzo o mutilazione, ma come dono perfetto al Signore fin dalla vita di quaggiù. In Paradiso, infatti, saremo tutti perfettamente casti, ma questo non vuole dire che non ameremo! Anzi, ameremo perfettamente, sia Dio che il prossimo, e ameremo finalmente senza alcuna concupiscenza, castamente e in modo assoluto.
La Sacra Scrittura mette in diretta relazione la temperanza con il combattimento contro il demonio. Ammonisce l’apostolo Pietro: «Siate temperanti, vigilate; il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare; resistetegli saldi nella fede» (1 Pt 5,8-9). Chi non vigila è facilmente preda allora del demonio, che assale e sbrana le prede ingenue, le quali pensano di essere forti e di resistere alle tentazioni, ma non sono attrezzate.
Occorre anche intelligenza, unita all’umiltà: dobbiamo riconoscere onestamente che se ci esponiamo a qualsiasi intemperanza o eccesso, poi facilmente cadremo nei peccati, nonostante le buone intenzioni. San Paolo pure avvertiva, non senza un po’ di ironia, coloro che pensavano di essere molto avanti nella vita spirituale di non essere ancora in grado di mangiare cibo solido, perché erano rimasti al latte, come i bambini.
Il temperante allora è umile, modesto, consapevole dei propri limiti, e quindi sommamente saggio. Il temperante prega il Signore che lo sostenga nelle tentazioni, che lo fortifichi. Egli, da parte sua, si protegge, mantenendo un atteggiamento umile e morigerato, e al tempo stesso riceve da Dio la fortezza che viene dallo Spirito Santo e dalla vita di Grazia.
La temperanza, affresco, Parrocchia di San Floriano Martire, San Fiorano (LO)
Un ultimo particolare accenno, importante nella società di oggi. Si è parlato del pudore, atteggiamento umile e modesto di chi sa mantenere il proprio corpo custodito dagli sguardi altrui, per essere puro nel cuore, nello spirito e nelle intenzioni. La società atea e pagana naturalmente spinge in tutt’altra direzione, e oggi è più difficile difendersi. Ma non impossibile. Se il corpo è tempio dello Spirito Santo, come tale va considerato e mantenuto. Gesù ci dà il suo Corpo da mangiare, e proprio in questo contatto anche la nostra carne si santifica, nella comunione eucaristica ineffabile che nemmeno i santi in Paradiso ricevono. Quando si ha un cuore trasparente e immerso nella vita divina, anche tutto il corpo partecipa di questo evento di grazia, e tutto diventa bello. La purezza, allora, fa rima con bellezza. La vera bellezza nasce dall’intimo, e si manifesta negli atteggiamenti di grazia. Per questo motivo, tra le donne più belle del secolo scorso vi era senza dubbio madre Teresa di Calcutta. La sua bellezza non ha paragoni con quella delle più pagate top model… Eppure la suora era piccola, rattrappita, tutta rughe e naturalmente tutta avvolta nel sari. Ma provate a fissare una sua immagine, incontrare il suo sguardo, per almeno dieci minuti, fissi. Vedrete allora che la foto comincerà improvvisamente a parlare, e vi comunicherà il mondo di Dio. Farete esperienza della grazia divina.
Ebbene, questo mondo interiore necessita di guardiani esterni che non facciano entrare cose cattive e che custodiscano il mondo interiore dove abita il Signore. Questi guardiani si chiamano giustizia, prudenza, fortezza e temperanza.