Si sente sempre parlare di giustizia: è giusto che chi sbaglia debba pagare, non è giusto che io debba subire quella tal cosa, eccetera. Ma che cosa è realmente la giustizia?
Nella sana dottrina cattolica, essa è una delle quattro virtù cardinali, insieme alla prudenza, alla fortezza e alla temperanza.
La definizione classica che si dà della giustizia è questa: è un abito sovrannaturale che inclina in modo costante e perpetuo la volontà a dare a ciascuno ciò che strettamente gli appartiene. Sembra una descrizione un po’ troppo giuridica o arida, ma se parliamo di «abito sovrannaturale», capiamo subito che parliamo delle cose del Cielo: si tratta di una virtù infusa dall’alto e dono dello Spirito Santo. Essa risiede nella volontà dell’uomo, non nell’intelletto, perché non si tratta in questo caso di “conoscere qualcosa” (come nella virtù della prudenza), ma di fare qualcosa, e ogni volta che si parla di agire e fare, si parla di atti della nostra volontà. Quando, infine, si dice di dare a ciascuno ciò che gli appartiene, capiamo che non stiamo parlando di gratitudine o di affabilità, che non si fondano su uno stretto diritto del prossimo, e neppure di carità o la beneficienza, cosa che ci obbliga a soccorre il prossimo come fratello, senza che questi abbia uno stretto diritto ad una determinata elemosina. Le caratteristiche della giustizia quindi sono: 1) deve riferirsi sempre ad altra persona; 2) deve trattarsi di uno stretto diritto; non è un regalo, ma qualcosa di dovuto; 3) deve esserci perfetta uguaglianza tra ciò che si dà e ciò che si deve dare, né più né meno del dovuto.
La giustizia ha un’importanza fondamentale ed è di assoluta necessità per la nostra vita in questo mondo. Il grande scrittore toscano Domenico Giuliotti, nel libro L’ora di Barabba, affermava: «Niente libertà, della quale i popoli non hanno mai saputo che farsi, che non hanno mai chiesto né desiderato, ma Giustizia, chiara, aperta, inflessibile; e Amore. Il popolo non ha bisogno di libertà politica, ma di giustizia».
La virtù della giustizia pone ordine e perfezione nelle nostre relazioni con Dio e con il prossimo, fa sì che rispettiamo vicendevolmente i nostri diritti; proibisce la frode e l’inganno; prescrive la semplicità, la veracità e la mutua gratitudine; regola le relazioni private degli individui tra di loro; pone ordine in tutte le cose, porta con sé la pace e il benessere di tutti, giacché la pace non è che la tranquillità dell’ordine.
«Dare a ciascuno il suo» potrebbe essere lo slogan riassuntivo del tutto.
La Sacra Scrittura è piena di personaggi che hanno vissuto questa connotazione: sopra tutti spicca san Giuseppe, sposo di Maria Santissima, che viene espressamente chiamato «uomo giusto» (Mt 1,19).
Facciamo qualche esempio concreto di come si debba vivere ed esercitare tale virtù cristiana. Occorre anzitutto evitare qualsiasi ingiustizia, per quanto insignificante possa apparire. Come è importante formarsi una retta coscienza per avvertire immediatamente che una qualsiasi cosa sia giusta o sbagliata! Un uomo, per esempio, trova un portafoglio per strada, con soldi e documenti altrui. Che fa? Prende per sé i soldi e lascia per terra il portafoglio coi documenti? No: lo consegna ai Carabinieri così come lo trova. Ha evitato un’ingiustizia. Secondo esempio: bisogna soddisfare quanto prima i debiti che si sono contratti. Inutile commentare: tutti capiscono quanto sia giusto questo. Soprattutto grida vendetta al cospetto di Dio defraudare il giusto salario agli operai. Se non si possono pagare i nostri dipendenti, non si tengano, ma se si tengono si consegni a loro tempo la paga. Terzo: bisogna trattare le cose altrui con maggiore attenzione delle nostre. Questa non è una semplice regola di buona educazione, ma un vero e proprio dovere, da osservare quando si vive insieme ad altri, per esempio in strutture comuni come può essere un convento e nella vita religiosa. L’animo pigro pensa: «non è mio, quindi non me ne importa molto». Non così si comporta invece l’uomo secondo giustizia. Quarto: è necessario avere la massima cura a non danneggiare mai il buon nome e la fama del prossimo, le quali valgono molto di più dei beni materiali; se noi spargiamo cattive notizie o illazioni o male parole sul prossimo, gli togliamo ciò che gli è dovuto. Padre Pio era piuttosto severo nei confronti della mormorazione, ma anche altri santi confessori come san Filippo Neri… Burla, derisione, diffamazione, mormorazione, o addirittura calunnia… sono tutte cose nelle quali la restituzione del buon nome risulta impossibile. Davvero avevano ragione i santi padri: fuggiamo la chiacchiera, la delazione, la malalingua come la peste!
Altro atteggiamento da avere, se vogliamo essere giusti secondo il cuore di Dio, è evitare ad ogni costo i favoritismi. Se una persona senza alcun merito viene promossa ad un esame di concorso perché sta simpatico a colui che interroga o perché è nipote del preside, tutto freme in noi. Ma possiamo cadere anche noi nella stessa condizione, a nostra volta, con persone che in qualche modo dipendono da noi.
Questi sono solo alcuni esempi di come si pratica la giustizia nel rapporto tra noi uomini.
Ma questa virtù regola anche il nostro rapporto con Dio! Se è vero che dobbiamo rendere a ciascuno il suo, che cosa dovremo rendere a Dio, quando entriamo in relazione con Lui? Egli è l’Infinito, noi siamo povere creature; Egli è l’Eterno, noi siamo polvere e cenere… Ovviamente noi desideriamo che il nostro rapporto con Dio sia “giusto”, quindi retto, ma che cosa mai potremo dargli, che Egli non abbia già? Eppure sappiamo che Dio attende qualcosa da noi, perché Dio è Amore, e l’amore è reciprocità. Lo sappiamo anche dalle parole di Gesù: «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio»”.
San Tommaso d’Aquino chiama «virtù di religione» tutto quello che noi uomini dobbiamo a Dio. Non siamo stati creati da Lui? Se Egli è principio di tutte le cose, il primo rapporto che dovremmo vivere con Lui non dovrebbe essere quello dell’adorazione? Certo che sì! Tale culto di lode e adorazione, in altre parole, gli è dovuto! Questi atti fanno del bene a noi, intendiamoci, perché ci costituiscono come figli, ci mettono in relazione con Lui, ma sono anche moti interiori che la nostra anima sente essere giusti per relazionarsi al meglio con Dio Creatore e Salvatore.
La devozione non è quindi qualcosa di facoltativo, proprio delle anime pie che passano il tempo in chiesa perché hanno molto tempo libero e non sanno che cosa fare, ma è un moto interiore dell’anima che si rivolge a Dio con riconoscenza e lo ama per tutte le Sue opere, per la redenzione, per il Suo sacrificio sulla Croce, per il dono della vita, per la Gloria che gli è propria e che ci attende in eterno…
La preghiera, l’adorazione, l’invocazione del nome di Dio, sono poi tutte cose dovute al Signore, perché Egli è buono e ci ha donato, con il Figlio, ogni cosa. Qui cambia completamente la prospettiva, se per caso pensiamo che noi si preghi o si adori Dio per fargli piacere. No: noi compiamo un atto di giustizia, doverosissimo, perché riconosciamo in tale maniera Dio come tale, gli rendiamo l’onore che gli tributano tutti gli angeli, e al tempo stesso realizziamo al meglio la nostra natura umana di figli. Scriveva a tal proposito Romano Amerio: «Il problema dell’uomo è il problema dell’adorazione, e tutto il resto è fatto per portarvi luce e sostanza».
Infine, una nota biblica, ma non certo secondaria: il primo ad essere giusto è Dio! E meno male. Noi possiamo fidarci e contare totalmente sul Suo giudizio, perché sappiamo che il Signore non compie mai atti ingiusti, né lo potrebbe, essendo Egli la Verità. Quando moriremo, noi saremo tutti giudicati da Dio in modo perfetto, ed entreremo, se salvati, nel Regno della giustizia, dove tutto è ristabilito nella Verità. Ecco perché nel Vangelo Gesù ci dice: «non giudicate» (Lc 6,37); Egli sa bene che noi poveri uomini peccatori non abbiamo gli strumenti per giudicare rettamente gli altri, non sappiamo tutto del nostro prossimo, non conosciamo i retroscena, i suoi condizionamenti, e perché abbia agito in quel tal modo. Lasciamo pertanto al Signore il giudizio e piuttosto preghiamo per chi ci può aver fatto del male. Infatti, subito dopo aver detto «non giudicate», il Signore aggiunge: «non condannate», perché sa che il nostro giudizio sul prossimo facilmente si risolve in condanna. Lasciamo fare a Dio: noi siamo chiamati a pregare e ad avere compassione per tutti. Alla fine i conti torneranno: i reprobi dovranno pagare e i buoni saranno premiati. Come è giusto che sia.