Attentato al sacramento dell’Eucaristia

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Una delle questioni sempre pronte sul tavolo delle discussioni in questi tempi di Chiesa è l’Ordinazione sacerdotale di uomini sposati. Dicono che il numero dei sacerdoti si riduce sempre di più, quindi per poter avere la Santa Messa sarà necessario ricorrere a preti-sposati. I motivi per essere contrari a tale decisione sono innumerevoli, e sono sia di carattere teologico che dogmatico, che spirituale.

Per inciso posso far notare che, dal momento che i matrimoni oggi reggono assai meno che in passato, la faccenda del prete sposato introdurrà facilmente un’altra nuova categoria, quella del prete-divorziato.

Ma, a parte tali considerazioni, sorge un’altra domanda. Attualmente, per sopperire alla mancanza di sacerdoti, è invalso l’uso di fare, al posto della Messa, una liturgia della Parola con la distribuzione dell’Eucaristia finale. Avviene questo: nel paese dove non c’è il sacerdote arriva il diacono o chi per lui (un semplice laico, uomo o donna che sia), compie dei riti che assomigliano a quelli della Messa, come la richiesta di perdono dei peccati (rito iniziale), la lettura di brani della Sacra Scrittura (liturgia della Parola) con il relativo commento (omelia); si fanno canti, invocazioni, preghiere, e si termina poi con la distribuzione dell’Eucaristia con ostie consacrate prese dal tabernacolo o portate dalla persona che presiede questa assemblea.

A lungo andare, si crea nella mentalità della gente l’idea che quello che inizialmente sostituiva la Messa, diventa la Messa in sé. Tale pratica è già largamente in uso nella Chiesa cattolica nei paesi del Nord Europa, ma è già arrivata anche da noi, nei Paesi di montagna più isolati o in zone difficili da raggiungere. Anzi, succede che funzioni liturgiche che pure si distaccano notevolmente dalla celebrazione eucaristica, sia come segni che come contenuti, vengano confuse per “la Messa”, quindi ritenute valide per la soddisfazione del precetto festivo. Una signora che aveva partecipato un sabato pomeriggio ad una funzione in chiesa in cui si erano recitati semplicemente dei salmi, alla fine chiese se quella “Messa” fosse valida per il giorno dopo, ossia come Messa della domenica. Nella recita dei salmi non vi era proprio nulla che facesse pensare ad una liturgia eucaristica: non vi era il sacerdote con i paramenti, non vi erano Ostie sull’altare, non vi erano canti o candele accese, non vi era nulla… ma già per il fatto che vi era gente in chiesa con un libro dei salmi in mano, rimasti in preghiera per non più di dieci minuti, ebbene, quella era già nella mente della signora la Messa della domenica.

A parte questo caso eclatante – a tanto sta arrivando l’ignoranza liturgica – tornando alla funzione della Parola con distribuzione eucaristica finale, occorre dire che quella non è la Messa. L’Eucaristia infatti è il Sacrificio di Cristo, Mistero ripresentato in modo incruento, ma reale e presente; è l’azione divina della morte e resurrezione del Signore Gesù, che dà gloria a Dio e forza ai fedeli, i quali assistono al Sacrificio di Cristo con la loro fede, la preghiera e comunicandosi, infine, del Corpo di Cristo immolato sull’altare. Sarebbe bene rileggere tutti i canoni del Concilio di Trento in proposito, vera pietra miliare per la dogmatica eucaristica allorquando la Chiesa cattolica sentì il bisogno di rispondere a Lutero, che aveva distrutto la Messa come Sacrificio di Cristo, riducendola ad una semplice commemorazione, nulla di più che un ricordo storico durante il quale nulla avveniva di fatto.

La risposta migliore a tutto questo, se vogliamo, è la Messa di padre Pio, nella quale egli, alter Christus che compie e vive il Sacrificio, sanguinava per tutto il tempo della preghiera eucaristica e riviveva la sofferenza delle fasi della Passione. Egli celebrò sempre nel rito tridentino, in latino, ma la gente capiva benissimo quello che stava succedendo, tanto che la maggior parte di essa usciva sconvolta da quella esperienza di Messa.

In ogni caso, a prescindere da padre Pio, qualsiasi sacerdote che celebra la santa Messa compie e presenta e ripresenta l’unico Sacrificio di Gesù Cristo, che solo salva.

Tutto quello che assomiglia alla Messa, ma Messa non è, non compie nulla, non fa accadere nulla, e si attesta sulla posizione di atto di devozione privata, come può essere quello di un Rosario detto nella propria stanza da letto prima di addormentarsi. Il che è cosa buona e nobile, e anche necessaria, intendiamoci, ma non è il Sacrificio di Cristo, che invece è un fatto oggettivo, un accadimento, un qualcosa che succede fuori da noi e che influenza la vita del mondo in una maniera tale da fare affermare allo stesso padre Pio che se in un giorno solo non si fosse celebrata la santa Messa da nessuna parte sulla terra, il sole non sarebbe più sorto e ci sarebbe stata l’immediata fine del mondo.

 

David Pastor Corbí, Ritratto di Don Bosco alla finestra della sua stanza a Valdocco

 

Viene a questo punto spontanea la domanda: se questo è vero, non è bene allora moltiplicare i sacerdoti e ammettere al sacerdozio anche uomini sposati, in modo che vi siano più Messe dappertutto? La risposta è: no, non è un bene. Le cose potrebbero addirittura peggiorare, come ci insegna l’anglicanesimo e il protestantesimo che, pur avendo da secoli pastori sposati, ha chiese svuotate in misura maggiore rispetto al mondo cattolico.

La diminuzione delle vocazioni sacerdotali in Occidente dipende da tanti fattori. Il primo è la crisi della famiglia: laddove non si prega, non si vive una vera vita cristiana, i germi di fede che Dio pone nel cuore dei giovani (secondo san Giovanni Bosco sono moltissimi i ragazzi che hanno la vocazione al sacerdozio) non trova il terreno favorevole per attecchire. Ma la ragione più profonda è che la vocazione è questione di apertura e risposta alla grazia: sostituire la grazia di Dio con progetti pastorali vocazionali e minare la risposta con continue menzogne sulla vera identità sacerdotale significa procrastinare e peggiorare sempre più la crisi che stiamo vivendo.

È interessante osservare ciò che accade in India: la Chiesa Cattolica siro-malabarese, che conta quattro milioni e mezzo di fedeli e quasi novemila sacerdoti, ha conservato la disciplina del celibato ed ecco che è in corso un grande sviluppo vocazionale e missionario: un secolo fa contava solo tre Vescovi, mentre oggi più di sessanta. In Corea del Sud e in Africa sta succedendo qualcosa di simile.

È in atto un attentato al sacramento dell’Eucaristia? Dobbiamo vigilare, difendere, salvaguardare quelle parole da cui dipende la vita eterna di tutti gli uomini: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19).

 

 

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