Al Palazzo Reale di Torino nove pregevoli ritratti della ricca santità sabauda

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Un’aulica sala del Palazzo Reale di Torino può oggi incuriosire l’occhio attento del visitatore. Alle pareti si trovano infatti esposti ritratti non solo di sovrani, ma anche un Vescovo e alcune suore. Fu Re Carlo Alberto che volle, negli anni Trenta dell’Ottocento l’abbellimento della Sala del Consiglio e affidò all’architetto di corte Pelagio Pelagi l’incarico di ideare un’accurata decorazione. Si voleva, in particolare, esaltare le glorie dinastiche religiose e si commissionarono nove ritratti dei “Santi” di famiglia. La Sala del Consiglio divenne quindi la Sala dei “Beati”, in cui il sovrano trattava con i suoi consiglieri gli affari di Stato e presiedeva il Consiglio dei Ministri. In essa Carlo Alberto il 4 marzo 1848 firmò lo Statuto.

Il compito fu affidato all’abile maestria di valenti artisti: Francesco Gonin, Gioacchino Sarangeli, Michele Cusa, Carlo Cornaglia. L’autore del ritratto di Maria di Savoia è di un non precisato pittore detto “il Bologna”, da identificare con Domenico Bologna, anche se alcuni studiosi lo dicono del Cornaglia.

 

 

Beato Amedeo IX di Savoia, Duca di Savoia (1435 – 1472)

Nacque il 1° febbraio 1435 nel castello di Thonon-les-Bains in Alta Savoia, figlio di Anna di Lusingano e del duca Ludovico I, figlio di Amedeo VIII, l’antipapa Felice V che in seguito declinò il mandato e si riappacificò con il legittimo Pontefice. Nel 1452 sposò Jolanda di Valois, figlia di Carlo VII di Francia. Furono nozze combinate, ma felici. Ebbero otto figli, tra questi Carlo (Principe di Piemonte), Filippo I, Carlo I, Giacomo Luigi (conte di Ginevra e di Gex) e la futura beata Ludovica.  Nel 1464 Amedeo ereditò il ducato mentre era in atto la guerra fra Luigi XI e Carlo il Temerario, duca di Borgogna. Amedeo IX fu alleato del re di Francia, suo cognato, che in cambio lo sostenne contro Guglielmo VIII di Monferrato e Galeazzo Maria Sforza. Le guerre ebbero fasi alterne e caratterizzarono gli anni di regno di Amedeo che dovette subire pure l’ostilità del fratello Filippo di Bresse.

Afflitto da grave malattia, l’epilessia, nel 1469 Amedeo IX manifestò la volontà di ritirarsi a vita privata lasciando il governo a un Consiglio di Reggenza guidato dalla moglie. Il fratello Filippo scatenò la famiglia contro la reggenza della cognata, capeggiando insieme ai fratelli Giacomo e Luigi una rivolta. Nel 1471 Amedeo venne imprigionato mentre Jolanda riusciva a rifugiarsi a Grenoble. Amedeo, rilasciato per ordine di Luigi IX, si ritirò a Vercelli. La malattia contrassegnò molti anni del regno di Amedeo, conseguentemente fratelli e cugini ebbero nei suoi confronti atteggiamenti sovente equivoci. Considerato inappropriato al ruolo di sovrano, fu in realtà un saggio amministratore, benvoluto per gli atti di carità con cui aiutava i poveri. Terziario francescano, dall’austero stile di vita, Amedeo fu munifico verso numerosi ordini religiosi. A Ginevra finanziò la costruzione di un ospedale. Morì il 30 marzo 1472 e il culto fu confermato nel 1677. San Francesco di Sales e san Roberto Bellarmino lo additarono come esempio di principe cristiano. Amedeo IX è sepolto nel duomo di Vercelli.

 

 

Beata Margherita di Savoia, Marchesa del Monferrato, monaca domenicana (1382 – 1464)

Figlia di Amedeo di Savoia-Acaja e di Caterina dei conti di Ginevra, sorella dell’antipapa Clemente VII, Margherita nacque probabilmente a Pinerolo nel 1382. Nel 1402 rimase orfana e passò sotto la tutela dello zio Ludovico di Savoia. La religiosità di Margherita, già profonda, aumentò dopo che ebbe ascoltato, probabilmente a Pinerolo, le “infuocate” omelie di san Vincenzo Ferrer. Lo zio Ludovico pensò di porre fine alle guerre che funestavano le sue terre combinando un matrimonio per la nipote: Margherita, appena tredicenne, nel 1403, sposò quindi Teodoro II Paleologo, trentanovenne, vedovo con già due figli coetanei di Margherita. Dal 1409 al 1413 risiedettero a Genova, dove Teodoro fu nominato Capitano del Popolo per estromettere i francesi dalla città e Margherita si distinse per l’assistenza ai poveri, soprattutto durante un’epidemia di peste. Si stabilirono poi nei castelli di Casale Monferrato e di Trino Vercellese. Margherita rimase vedova nell’aprile 1418 e per due anni fu reggente del marchesato. Rifiutò alcuni inviti matrimoniali e si ritirò con alcune dame di corte nel palazzo di Alba destinatole dal figliastro. Nel 1441 Eugenio IV concesse alla comunità di abitare il convento degli Umiliati, l’anno seguente fu adottata la regola del Terz’Ordine di San Domenico. Nel 1445 fu concessa la fondazione di un nuovo monastero di clausura. La vita da consacrata di Margherita, desiderata fin dall’adolescenza, non fu immune da prove. I biografi riferiscono una visione, nella quale Cristo le consegnò tre frecce, recanti ciascuna una scritta: malattia, calunnia, persecuzione. Ad imitazione di santa Caterina da Siena, di cui era devota, che durante la cattività avignonese si spese per il ritorno a Roma del Pontefice, Margherita chiese, tra il 1440 e il 1448, al parente Amedeo VIII (l’antipapa Felice V) di abdicare. Morì ad Alba il 23 novembre 1464. Nel 1669 ci fu il riconoscimento del culto ab immemorabili. Il corpo incorrotto della beata Margherita si trova nel monastero albese delle Domenicane.

 

 

Beata Ludovica di Savoia, monaca clarissa (1462 – 1503)

Ludovica nacque a Bourg-en-Bresse, il 28 dicembre 1462, figlia del beato Amedeo IX di Savoia che morì quando la ragazza aveva solo dieci anni. Le vicende politiche di quei tempi furono causa di guerre continue e dell’alternarsi di alleanze tra i vari sovrani. La madre Jolanda, sospettata di complotto, fu arrestata con i figli da Carlo il Temerario (1476). Nella solitudine del maniero di Rouvres (Digione) Ludovica fece esperienza di una sorta di ritiro religioso. A seguito dell’interessamento dello zio Re, Jolanda e figli furono liberati. Nell’agosto 1478 Jolanda morì nel castello di Moncalieri, di conseguenza Ludovica e la sorella Maria furono condotte alla corte di Luigi XI. Fu stabilito il matrimonio con Ugo di Châlon Arlay, più grande di quattordici anni, e fu eletto come dimora il castello di Nozeroy. L’unione fu felice, sono note le numerose elargizioni dei due sposi a favore dei poveri. Nel 1490 rimase vedova e poté coronare il desiderio della consacrazione religiosa nel Monastero di Santa Chiara ad Orbe in cui entrò nel 1492. Grande fu il suo spirito di pietà, in un’atmosfera austera e povera. Scrisse alcune meditazioni e un piccolo trattato sull’importanza, per un monastero, della fedeltà alla Regola. Morì il 24 luglio 1503 e si diffuse subito la fama della sua santità. Nel 1839 Carlo Alberto ottenne la conferma del culto.

 

 

Beato Umberto III, conte di Savoia (1136 – 1189)

Umberto nacque verso il 1136 nel castello di Avigliana, figlio di Amedeo III che morì pellegrino in Terra Santa nel 1148. Religiosissimo, legato alla spiritualità cistercense, valutò più volte di vestire l’abito monacale. Salito al trono, Umberto dovette costantemente adeguarsi ai doveri di un sovrano. Il suo lungo regno, circa quarant’anni, fu caratterizzato dai contrasti con l’Imperatore Barbarossa e dalle lotte comunali, quando alcuni comuni erano governati dai vescovi. Particolarmente complesso fu il rapporto con l’Imperatore. Umberto, di natura pacifica, ne ignorò le mire espansionistiche e fu mediatore tra quanti erano favorevoli a interrompere le lotte. Dopo tre matrimoni dai quali non nacquero eredi al trono, nel 1177 sposò Beatrice di Maçon e venne finalmente alla luce Tommaso, al quale spetterà di continuare la dinastia. Seguirono i contrasti col vescovo di Torino Milone di Cardano, Umberto fu così spogliato di tutti i possedimenti che aveva nel torinese e decise di ritirarsi oltralpe. Nel 1188 promosse ancora la venuta da Vienne (Francia) degli Antonini per fondare la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso. Caritatevole verso il prossimo e munifico verso chiese e monasteri, dotato di grande equilibrio morale, morì il 4 marzo 1189 a Chambéry. Il culto fu confermato nel 1838.

 

 

Beato Bonifacio di Savoia, monaco certosino, arcivescovo di Canterbury (1207 – 1270)

Figlio del conte Tommaso I, nipote del beato Umberto, nato nel 1207 a Sainte Hélène du Lac, Bonifacio, undicesimo dei fratelli, seguì giovanissimo la volontà paterna entrando nella Grande Certosa di Grenoble. Destinato alla carriera ecclesiastica, a 25 anni fu nominato amministratore del vescovado di Belley; dopo un anno fu eletto vescovo, carica che mantenne fino al 1243. Poco più che trentenne, alla morte del fratello Guglielmo, che era vescovo di Valence, Bonifacio fu nominato amministratore di quella diocesi. Fin dai primi incarichi fu chiara la sua determinazione a difendere i diritti della sua carica e della Chiesa. Per interessamento della nipote, Eleonora di Provenza, Bonifacio venne eletto arcivescovo di Canterbury, sede primaziale d’Inghilterra. Constatato il dissesto finanziario della sua diocesi per l’iniqua imposizione di tasse, Bonifacio entrò in conflitto con re Enrico. Venne consacrato Vescovo il 15 gennaio 1245 da papa Innocenzo IV, durante il Concilio di Lione. Nel 1247 tornò in Inghilterra ed ebbe fin dai primi tempi controversie con i fratellastri del Re, con i vescovi e gli abati suffraganei indispettiti dai suoi controlli. Per difendersi andò a Roma e si raggiunse un compromesso. Tornò in Inghilterra nel 1252. Per limitare le ingerenze del Re sulla Chiesa, nel 1257 Bonifacio convocò un Concilio, divenendo riferimento per i vescovi e i nobili contrari al sovrano. Nel 1262 lasciò l’isola, dove era scoppiata una guerra civile, la seconda Guerra dei Baroni. Dall’esilio volontario in Francia, continuò a guidare la sua diocesi. Nel 1265 rientrò in Inghilterra, lasciò poi nuovamente l’isola tre anni più tardi per accompagnare alla crociata il principe ereditario Edoardo. Ormai malato, si spense il 4 luglio 1270 e fu sepolto nell’abbazia di Hautecombe. Il culto fu confermato nel 1838.

 

 

Maria Apollonia di Savoia, terziaria francescana (1594 – 1656)

Settima figlia di Carlo Emanuele I e di Caterina d’Asburgo, Maria Francesca nacque a Torino nel 1594; dopo poco più di un anno nacque la sorella Caterina Francesca con la quale condividerà buona parte della vita. Insieme alle altre due sorelle, Margherita e Isabella, furono educate alla spagnola, come da desiderio della madre. Dirette spiritualmente dai Gesuiti, Maria e Caterina erano destinate ai consueti matrimoni d’alleanza politica, mentre a Torino giungeva Maria Cristina, sorella del re di Francia, sposa nel 1619 del principe ereditario Vittorio Amedeo I, loro fratello. Non si riuscì a combinare le nozze d’alleanza, così Maria e Caterina decisero di consacrarsi alla vita religiosa, mentre da tempo sostenevano varie iniziative di carità, senza peraltro rinunciare a seguire le vicende politiche della famiglia. Il padre le invitò a chiedere consiglio all’arcivescovo di Milano, Federico Borromeo, che suggerì loro, al posto della vita contemplativa, di entrare nel Terz’Ordine di San Francesco. Nel luglio 1630, salito al trono il fratello e cessata una pestilenza, Maria e Caterina tornarono a Torino. Fondarono il convento delle «Convertite» nel 1634 e nello stesso anno si recarono al Santuario di Oropa dove diedero vita all’opera delle «Figlie di Maria». Promossero nel ducato la riforma di alcuni Ordini religiosi, in particolare i Conventuali, i Carmelitani scalzi e le Clarisse. Nella lotta tra «Madamisti» e «Principisti» (1640) si schierarono con questi ultimi, a favore quindi dei fratelli Maurizio e Tommaso. Durante la guerra civile andarono esuli volontarie prima ad Ivrea, presso il fratello Tommaso, poi a Biella. Caterina morì a causa di una polmonite e fu sepolta nel Santuario di Oropa; Maria Apollonia diede successivamente inizio a un’intensa peregrinazione in Italia, ospite in corti e conventi. A Roma nell’Anno Santo 1650 fu ricevuta da Innocenzo X, visitò poi Assisi, Loreto, Bologna, Vigevano, Foligno. Secondo il suo desiderio fu sepolta ad Assisi. Di Maria fu avviato il processo di beatificazione.

 

 

Don Antonio di Savoia (1620 – 1688)

Nato nel 1620, figlio illegittimo di Carlo Emanuele I e di Margherita di Roussillon de Châtelard, suoi fratellastri, nati dal matrimonio tra il padre e Caterina Michela d’Asburgo, furono Filippo Emanuele, Vittorio Amedeo, Emanuele Filiberto, Margherita, Isabella, Maurizio, le «venerabili infanti» Maria Apollonia e Francesca Caterina e Tommaso Francesco. Antonio ricevette il titolo marchesale materno, fu conte di Montanaro e ricoprì numerose cariche: decano della Savoia, abate commendatario di Hautcombe, di Fruttuaria e di Notre Dame d’Aulps, governatore e luogotenente generale della città e del contado di Nizza. Ebbe la commenda dell’abbazia di San Michele della Chiusa fin dal 1642; nel 1646 – 1648 fu a Parigi, mentre nel 1650, formalmente su incarico della reggente Cristina, risiedette a Roma. Era un Anno Santo e ricevette la sorellastra Maria, terziaria cappuccina.

Alla Sacra di San Michele era annesso un territorio e l’abate aveva le prerogative di un Vescovo, sia in ambito materiale che spirituale. Con bolla del 1622 Gregorio XV aveva soppresso il monastero benedettino dopo sei secoli di vita, mentre le guerre avevano devastato quei territori. Nel 1661 don Antonio vi stabilì una cappellania. Nel 1651 fu nominato abate di Hautcombe dal nipote Carlo Emanuele II. Anche di Fruttuaria fu un attento amministratore. Presso l’Archivio Arcivescovile di Torino si conservano numerose sue lettere, in cui si legge di problemi concreti da affrontare, si fa cenno alle controversie tra il Capitolo e i Padri Camaldolesi (1668) e i Gesuiti. Tutte le missive hanno toni cordiali e a tratti affettuosi, approntate a risolvere le necessità di cui viene informato. Importante fu l’operato di don Antonio a Nizza, città di cui fu governatore. Molte missive sono contraddistinte dalla prudenza, si ricorre alla sua autorità in caso di disordini e malumori tra l’amministrazione locale e la corona. Morì a Chambery il 24 febbraio 1688 e fu sepolto nel chiostro dell’abbazia di Hautecombe.  Non è mai stato aperto il suo processo di beatificazione.

 

 

Pietro di Savoia, monaco

L’errata interpretazione di un documento portò alcuni storici a inserire, per secoli, nel santorale sabaudo, due “venerabili”, presunti fratelli di Umberto III: Giovanni e Pietro, monaci Antoniani a Ranverso. Luigi Cibrario (in Brevi notizie storiche e genealogiche dei reali di Savoia, Torino 1859) confutò per primo la tesi che indusse persino Carlo Alberto a far collocare un ritratto del «Venerabile Pietro» nella Sala del Consiglio di Palazzo Reale e a commissionare ricerche sui due personaggi (vedi la documentazione all’Archivio di Stato di Torino). Il documento in questione è un atto di donazione, datato 27 giugno 1188, da parte di Umberto III all’ospedale di Ranverso (I. Rufino, Storia ospedaliera antoniana, Torino 2006), per il «diletto e caro» Giovanni e per il fratello Pietro. Giovanni fu precettore e rettore della casa degli Antoniani di Susa nel 1186, poi tra i fondatori a Ranverso; Pietro fu suo confratello.

 

 

Venerabile Maria Clotilde di Borbone, Regina di Sardegna, (1759 – 1802)

Sorella minore di Luigi XVI, Maria Adelaide Clotilde nacque il 23 settembre 1759 nel castello di Versailles. Con le sorelle fu allevata, sotto la tutela del nonno Luigi XV, lontana dalla dissolutezza della corte. Dotata di una forte vocazione religiosa, Clotilde colmò con lo studio il suo sentirsi inferiore per l’aspetto fisico, soffriva infatti di pinguedine. Madame Clotilde, come veniva chiamata, ammirata per la bontà, fu messa in contrapposizione alla graziosa cognata Maria Antonietta.

Nel 1775 per Clotilde furono stabilite le nozze con il principe ereditario Carlo Emanuele di Savoia. A sedici anni quindi lasciò per sempre la Francia.

La giovane principessa conquistò la benevolenza del marito, anch’egli profondamente religioso. Non ebbero figli, entrambi abbracciarono la regola del Terz’Ordine di San Domenico, lei prese il nome di Maria Clotilde di Santa Margherita. Sopportò con grande dolore gli sconvolgimenti della Rivoluzione francese che portarono sul patibolo, nel 1793, il fratello Luigi XVI, la cognata Maria Antonietta e l’amata sorella Maria Elisabetta. Quell’anno sventurato diede una svolta alla sua vita. Con l’approvazione all’arcivescovo di Torino, cardinale Costa d’Arignano, anche se alcuni della famiglia non gradirono, Clotilde prese ad indossare l’abito votivo della Consolata. Si tagliò i capelli e coprì il capo con una cuffia priva di pizzi per poi destinare molti dei suoi beni e gioielli ai bisognosi.

Carlo Emanuele IV salì sul trono di Sardegna il 18 ottobre 1796, ma il regno durò poco perché una parte dei territori era occupata dai francesi. L’8 dicembre 1798 i sovrani dovettero firmare una convenzione di rinuncia al regno. I due giovani coniugi esiliarono a Cagliari dove Maria Clotilde conobbe l’ex gesuita Giovan Battista Senes. Divenne suo confessore, incarico che mantenne anche dopo il ritorno nel continente. Dal 1799 i due coniugi viaggiarono in diverse città d’Italia, nel vano tentativo di trovare sostegno per ristabilire la loro sovranità. Giunsero a Napoli il 25 novembre 1800, accolti con poco entusiasmo dalla corte borbonica. Clotilde trascorreva molte ore in preghiera nella chiesa francescana di Santa Caterina a Chiaia e si iscrisse al Terz’Ordine domenicano. Ebbe per consigliere il barnabita san Francesco Saverio Maria Bianchi. Dopo una grave malattia, Maria Clotilde morì il 7 marzo 1802 a soli 42 anni. L’11 febbraio 1982 ne sono state riconosciute le virtù eroiche.

Nella Sala dei “Beati” del Palazzo Reale di Torino non vi è il ritratto della beata Maria Cristina di Savoia, Regina della Due Sicilie (1812 – 1836), beatificata nel 2014. Non è presente, ovviamente, il ritratto della Serva di Dio Maria Clotilde di Savoia (Torino, 2 marzo 1843 – Moncalieri, 25 giugno 1911), nipote di re Carlo Alberto, ma neppure il ritratto dell’Infanta Caterina di Savoia, sorella della “venerabile” Maria.

 

 

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