Accadde oggi in Europa

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Trent’anni fa ebbe inizio la tragica, violentissima e fratricida guerra in Bosnia ed Erzegovina, un conflitto armato che si svolse dal 1º marzo 1992 al 14 dicembre 1995, fino alla stipula dell’accordo di Dayton, che pose ufficialmente fine alle ostilità.

I dati sull’entità dello sterminio sono ancora provvisori: la continua scoperta di fosse comuni ne rende incerta la valutazione. In Bosnia, secondo un censimento compiuto dalle Nazioni Unite, fino al 1994 si registrano: 187 fosse comuni, contenenti, ciascuna, dai 3000 ai 5000 cadaveri; 962 campi di prigionia, per un totale di circa mezzo milione di detenuti; 50.000 casi di tortura; 3000 stupri. Alla fine della guerra, nel 1995, si contarono 250.000 civili uccisi, tra i quali 16.000 bambini, e oltre 3.000.000 di profughi. Nel Kosovo, i civili uccisi furono più di 13mila, di cui circa 10mila albanesi, 2mila serbi e 500 tra rom, bosgnacchi e altre etnie; i dispersi furono migliaia, i profughi più di 250.000.

Il conflitto si inserisce all’interno delle Guerre jugoslave svoltesi fra il 1991 e il 2001, all’indomani della dissoluzione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia di Tito. Il violento conflitto, che procurò massacri inauditi, vide il coinvolgimento di tre gruppi etnici nazionalisti: serbi, croati e bosgnacchi.

Il 1º marzo 1992, secondo giorno del referendum sull’indipendenza della Bosnia ed Erzegovina un membro delle forze speciali, Ramiz Delalić, sparò su un corteo nuziale serbo a Baščaršija uccidendo il padre dello sposo Nikola Gardović. In risposta a questo assassinio, i serbi armati alzarono delle barricate a Sarajevo, e dal 1° al 5 marzo sollevarono barricate anche in diverse altre città bosniache (Šamac, Derventa, Odžak).

I musulmani controllavano il centro di Sarajevo, mentre i serbi controllavano il resto della città e le colline intorno ad essa. Dopo un appello al pubblico, Radovan Karadžić (serbo) e Alija Izetbegović (bosniaco), il 3 marzo tennero un incontro presso la sede della JNA nel centro di Sarajevo, con la mediazione del generale JNA Milutin Kukanjac. Dopo un acceso dibattito, Karadžić e Izetbegović convennero di affidare l’ordine nella città a pattuglie miste della JNA e della polizia bosniaca. Tuttavia nel marzo 1992 seguirono frequenti scontri armati che causarono decine di morti.

Intanto nella notte tra il 26 e il 27 marzo le truppe delle Forze armate della Repubblica di Croazia in coordinamento con paramilitari musulmani attraversarono il fiume Sava e massacrarono 60 civili serbi. Questo massacro avviò importanti conflitti armati in Bosnia ed Erzegovina. La reazione serba non si fece aspettare: le forze paramilitari serbe della Guardia Volontaria Serba guidate da Arkan il 1º aprile occuparono Bijeljina, un’importante città nel nord-est della Bosnia ed Erzegovina, uccidendo molti civili musulmani.

In seguito al conflitto nella ex Jugoslavia, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite diede vita a un Tribunale penale internazionale per perseguire i colpevoli dei crimini commessi. Qualche numero sul Tribunale: nessun fuggitivo, dopo l’arresto di Mladic nel luglio 2001, 161 incriminazioni, 37 processi terminati, 19 assoluzioni, più di 4500 testimoni ascoltati, quasi 2 milioni di pagine di trascrizioni dei processi.
I casi più celebri sono quelli ai danni di Radovan Karadzic e Ratko Mladic, condannati rispettivamente a 40 anni di carcere e all’ergastolo per genocidio e crimini contro l’umanità.

Oltre ai processi per i diretti responsabili dei massacri, negli ultimi anni sono stati portati a termine anche quelli per accertare il ruolo dell’Olanda in Bosnia-Erzegovina, dove operava il contingente ONU olandese. Il Paese è stato dichiarato parzialmente responsabile per l’uccisione di 300 musulmani a Srebrenica.
Oggi il clima nella regione è ancora piuttosto teso, con il rafforzamento di sentimenti separatisti e vecchi rancori etnici tra serbi, croati e musulmani.

«In Bosnia ed Erzegovina viene condotta una guerra mondiale nascosta,
poiché vi sono implicate direttamente o indirettamente tutte le forze mondiali
e sulla Bosnia ed Erzegovina si spezzano tutte le essenziali contraddizioni di questo e del terzo millennio». 

(Prevention of Armed Conflict: Report of the Secretary-General Kofi A. Annan, United Nations.  2002, p. 503).

 

Una donna serba piange una tomba nel cimitero del Leone a Sarajevo, 1992.

 

Gli accordi di Dayton, siglati da Alija Izetbegović (musulmano), Slobodan Milošević (serbo) e Franjo Tuđman (croato), segnarono la fine del conflitto bosniaco – erzegovese dopo 3 anni di cruenta guerra fratricida

 

 

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