1° maggio 1873: 150 anni fa moriva sulle rive del lago Bangweulu, in Zambia, il più grande esploratore del XIX secolo, lo scozzese David Livigstone, nato a Blantyre il 19 marzo 1813.
Durante i suoi viaggi percorse un totale di quasi 50 000 chilometri, una distanza superiore alla lunghezza dell’Equatore. Fu il primo occidentale a raggiungere le cascate Vittoria, nominate così da lui in omaggio alla regina britannica di allora. Fu il primo occidentale ad attraversare l’Africa in orizzontale, dall’odierna Angola fino al Mozambico. Attraversò per due volte la regione desertica del Kalahari, di cui la seconda con la moglie e alcuni bambini piccoli. Trovò la sorgente del fiume Congo. Mappò il corso del fiume Zambesi e fornì molteplici informazioni su luoghi di cui l’Europa non conosceva ancora nulla.
Era il secondo di sette figli. A dieci anni venne mandato a lavorare in un cotonificio, dove il suo compito era, stando sdraiato sotto i macchinari, quello di unire tra loro i fili di tessuto che si rompevano. Dopo i suoi turni lunghi e faticosi frequentava comunque la scuola perché amava studiare. Fra le altre discipline apprese anche il latino e, con i suoi risparmi, si iscrisse all’università di Glasgow per studiare medicina. Tuttavia, la sua grande passione emerse quando, partito con scopo missionario, giunse in Africa, dove scoprì la sua vocazione di esploratore. Nel periodo 1852-56 Livingstone esplorò l’entroterra africano, scoprendo, lungo il corso del fiume Zambesi, le cascate Vittoria, cui diede il nome dell’allora regina d’Inghilterra. Livingstone fu uno dei primi europei a fare un viaggio transcontinentale attraverso l’Africa. Lo scopo del suo viaggio era di aprire nuove vie commerciali e di accumulare informazioni utili sul continente africano. In particolare, Livingstone era un sostenitore delle missioni e del commercio nell’Africa centrale. Tornò in Inghilterra per ottenere un sostegno a queste sue idee e per pubblicare un libro sui suoi viaggi. Fu in questo periodo che si dimise dalla società missionaria alla quale apparteneva. Mentre esplorava lo Zambesi, le missioni da lui volute in Africa centrale e orientale si estinsero in modo disastroso, con quasi tutti i missionari morti di malaria o di altre malattie. Il fiume Zambesi si rivelò essere non navigabile per lunghi tratti, a causa di una serie di cateratte e rapide che Livingstone non era riuscito a esplorare nei suoi viaggi precedenti.
Nel marzo 1866 Livingstone tornò in Africa, in Tanganica, da dove cominciò a cercare la sorgente del Nilo. Richard Francis Burton, John Hanning Speke e Samuel Baker avevano in precedenza quasi correttamente identificato sia il lago Alberto sia il lago Vittoria come sorgenti, ma la questione era ancora dibattuta. Nel cercare la sorgente del Nilo, Livingstone si spinse in realtà troppo ad ovest, fino a raggiungere il fiume Lualaba, che altro non è che la parte iniziale del fiume Congo, ma che egli erroneamente considerò essere il Nilo.
La missione del 1866 alla ricerca della sorgente del Nilo aveva una durata prevista di due anni; ne passarono cinque e non si avevano più sue notizie da molto tempo e molti pensarono fosse morto. In realtà era vivo, malato e debilitato dai viaggi e dall’ennesima malaria, scriveva lettere per mettersi in contatto con la madrepatria, che però non arrivavano ai destinatari, o che comunque non le condividevano. Solo uno dei suoi 44 dispacci arrivò fino a Zanzibar.
Nel 1869 il direttore e fondatore del New York Herald incaricò Henry Morton Stanley di “trovare Livingstone”, intuendo la notevole portata di un articolo sul ritrovamento dell’esploratore.
Stanley non era mai stato in Africa, ma si organizzò e in breve partì per il continente. Fece una prima sosta in Egitto, dove era appena stato inaugurato il Canale di Suez. In una lettera mandata al giornale scrisse: «Se è vivo, sentirete quel che ha da dire. Se è morto, lo troverò e vi porterò le sue ossa».
Henry Morton Stanley trovò Livingstone nella città di Ujiji, sulle sponde del lago Tanganica il 10 novembre 1871.
Stanley si unì a Livingstone e i due per un anno continuarono insieme a esplorare il nord del Tanganica, poi Stanley partì. Chiese più volte a Livingstone di andarsene con lui, ma il dottore, a dispetto delle sue sollecitazioni, era determinato a non lasciare l’Africa fino a quando la sua missione non fosse stata completata. Dopo essersene andato, Stanley s’impegnò perché all’esploratore arrivassero provviste e medici, ma nel 1873 Livingstone morì in Zambia di malaria e per una emorragia interna. Gli furono tolti sangue e viscere, lo coprirono di sale, facendolo seccare al sole e poi fu portato per oltre mille miglia dai suoi leali assistenti Chumah e Susi fino a Zanzibar. Infine la salma ritornò in Inghilterra per essere sepolta nell’abbazia di Westminster; il suo cuore venne invece sepolto nel luogo dov’era morto, sul lago Bangweulu, a Chitombal.