Vittorio Emanuele di Savoia, nato quando l’Italia era sotto la bandiera regia, è scomparso nell’Italia della seconda Repubblica

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Vittorio Emanuele di Savoia, erede di una fra le più antiche dinastie d’Europa, nato a Napoli il 12 febbraio 1937, è scomparso alle 7:05 il 3 febbraio scorso, nell’ospedale universitario cantonale di Ginevra, dove morì anche suo padre, re Umberto II.

Molto si è detto della sua vita attraverso una cattiva stampa di carattere scandalistico, che ha utilizzato le sue traversie per continuare a screditare Casa Savoia, oggetto di astio da parte di quella impostazione politica di stampo illuministico-giacobino che aborrisce l’istituzione monarchica e i valori ad essa connessi: Dio, Patria, Famiglia, tre colonne portanti della civiltà cristiana sulla quale l’Europa si è mirabilmente formata fino al tempo della Rivoluzione francese, quando, con la decapitazione di Luigi XVI, si è voluto dare la morte al Re in quanto tale e, subentrato Napoleone, con la morte di papa Pio VI si volle far perire la figura del Pontefice, tanto che il suo corpo fu sepolto, come un comune cittadino, nel cimitero civico. E sulla cassa fu scritto: «Cittadino Giannangelo Braschi – in arte Papa». Dio, Patria, Famiglia oggi costituiscono tre spettri per l’ideologia imperante, immanente e contro le leggi di natura.

Vittorio Emanuele aveva 9 anni quando la monarchia venne smantellata in Italia a causa di un referendum viziato dai brogli elettorali di personalità che volevano disfarsi una volta per tutte della corona e che inglobavano sempre più nelle proprie sfere di pensiero l’umana Chiesa. Nato quando l’Italia era ancora sotto la bandiera regia, è scomparso nell’Italia della seconda Repubblica che, per molti versi, non è troppo diversa dalla prima di cui è figlia.

Com’era la penisola più bella al mondo nel 1937? Al posto dei centri commerciali di stile americano, a Torino i 2.000 negozi di alimentari avevano come concorrenti circa 4.000 bancarelle. A Napoli le bancarelle alimentari erano invece il triplo, circa 12.000. Ogni mattina nelle grandi e medie città, arrivano figli e mogli di contadini con le loro ceste e cassette piene di verdure, uova, formaggi, polli, conigli, frutta… tutto di ottima qualità, senza il pericolo delle contraffazioni estere e di possibili farine agli insetti. Un bracciante agricolo guadagnava circa 180 lire al mese. Un operaio 250 lire. Un impiegato oppure operaio specializzato sulle 350-420 lire al mese. Un impiegato di alto livello laureato guadagnava 800 lire e 1.000 lire quello di un dirigente d’industria o di un ufficio statale; mentre 3.000 lire il mensile di un generale d’armata o di un docente universitario.

Il 97% degli italiani, nei piccoli comuni, lavava i panni nei fiumi, nei torrenti o con l’acqua dei pozzi; mentre in una città dai 50.00 abitanti in su funzionavano le rogge. A Milano (a Porta Vittoria sul canale e a Porta Ticinese) c’erano 120 posti-lavatoio, dove in una giornata facevano la coda, per il proprio turno, in media circa 1.500/2.000 lavandaie.

La famosa «Rinascente», sorta a Milano nel 1865 per iniziativa dei fratelli Luigi e Ferdinando Bocconi, offriva sul catalogo, radio e fonografi, e proprio nel 1937 venne installata la scala mobile nel palazzo della Rinascente di Roma in Largo Chigi, la prima in Italia in un’azienda commerciale. Era il tempo in cui veniva lanciato il prodotto italiano, si esaltavano le materie sintetiche, ed entrano in scena il raion, il cafioc e la lana artificiale. La Rinascente promuoveva delle campagne per valorizzare la diffusione dei prodotti italiani e con la più ampia distribuzione introdusse un vivo contatto con il consumatore, interpretando la domanda del pubblico.

 

Roma 1932, Pio XI legge alla radio il messaggio per il Congresso eucaristico di Dublino

 

La maggioranza delle persone la domenica si recava alla Santa Messa, perché l’Italia, all’epoca, era cattolica praticante e la dottrina che gli italiani imparavano con il catechismo di San Pio X, si riversava sull’etica quotidiana dell’esistenza. Il sommo Pontefice era Pio XI.

Con la sua prima enciclica Ubi arcano Dei consilio (23 dicembre 1922), il Papa manifestò il suo programma, riassunto nel motto «Pax Christi in regno Christi» (La pace di Cristo nel Regno di Cristo). Programma che aveva lo scopo, a fronte della tendenza a ridurre la fede a questione meramente privata, secondo i dettami del liberalismo, di motivare i cattolici ad operare per una società nella quale Cristo regnasse su ogni aspetto della vita. Su tale programma verranno scritte anche le encicliche Quas primas (11 dicembre 1925), con la quale fu pure istituita la festa di Cristo Re, e Miserentissimus Redemptor (8 maggio 1928), sul culto del Sacro Cuore di Gesù.

Di papa Ratti è anche la Casti Connubi (31 dicembre 1930), dove la famiglia normale era il primo nucleo fondante della società. Ribadì la dottrina tradizionale del sacramento del matrimonio (reciproca fedeltà, mutuo e caritatevole amore, retta e cristiana educazione della prole). Dichiarò illecito l’aborto e, all’interno delle relazioni coniugali, ogni rimedio per evitare la procreazione. In campo sociale intervenne con l’enciclica Quadragesimo Anno, che celebrava il quarantesimo anniversario della Rerum Novarum di Leone XIII, insegnando che «per evitare l’estremo dell’individualismo da una parte, come del socialismo dall’altra, si dovrà soprattutto avere riguardo del pari alla doppia natura, individuale e sociale propria, tanto del capitale o della proprietà, quanto del lavoro». Condannò il liberalismo ed ogni forma di socialismo. Attualmente nella Chiesa convivono e spadroneggiano l’uno e l’altro.

I tre temi del matrimonio, dell’educazione cristiana, della dottrina sociale sono riassunti nell’enciclica Ad Catholici Sacerdotii (20 dicembre 1935) sul sacerdozio cattolico:

«Il sacerdote è, per vocazione e mandato divino, il precipuo apostolo e l’indefesso promotore dell’educazione cristiana della gioventù; il sacerdote in nome di Dio benedice il matrimonio cristiano e ne difende la santità ed indissolubilità contro gli attentati e le deviazioni suggerite dalla cupidigia e dalla sensualità; il sacerdote porta il più valido contributo alla soluzione o almeno alla mitigazione dei conflitti sociali, predicando la fratellanza cristiana, a tutti ricordando i mutui doveri della giustizia e della carità evangelica, pacificando gli animi inaspriti dal disagio morale ed economico, additando ai ricchi e ai poveri gli unici beni a cui tutti possono e devono aspirare».

Il Pontefice vietò la partecipazione dei cattolici ai tentativi di stabilire una Chiesa pancristiana, per non dare «autorità ad una falsa religione cristiana, assai lontana dall’unica Chiesa di Cristo».

Il Pontefice normalizzò i rapporti con lo Stato italiano con i Patti Lateranensi (11 febbraio 1929), ponendo fine alla «Questione Romana» e il 7 giugno 1929, a mezzogiorno, nacque il nuovo Stato della Città del Vaticano, di cui il Sommo Pontefice era sovrano assoluto. Nello stesso periodo furono attivati diversi concordati con varie nazioni d’Europa.

Socialismo, comunismo, liberalismo e massoneria erano i problemi cogenti contro i quali papa Ratti combatteva. Tragico fu il caso del Messico con la sua accanita politica anticlericale. Nel 1922 il nunzio apostolico fu espulso dal Messico. Le persecuzioni contro i cristiani portarono alla rivolta degli eroici Cristeros. Venne emanata l’enciclica Acerba Animi (1933) e la condanna venne rinnovata nel 1937 con la Firmissimam Constantiam.

Nel 1926 Pio XI aveva condannato l’Action francaise, il movimento dell’agnostico Charles Maurras che «si serviva della Chiesa senza servirla» e che aveva assunto un provocatorio spirito nazionalista che generava accuse e calunnie nei confronti al Papa.

Il cardinale Billot, invece, considerava proprio quella formazione politica francese un baluardo contro il liberalismo, e dopo la condanna pontificia aveva manifestato la sua personale solidarietà a Maurras con un biglietto, che venne pubblicato da un giornale suscitando l’ira del Papa. Convocato in udienza nel settembre 1927, Billot entrò cardinale e ne uscì semplice sacerdote gesuita.

Ma l’udienza più burrascosa che si ricordi tra quelle concesse da Pio XI è stata quella con l’arcivescovo di Vienna, cardinale Theodor Innitzer. Quest’ultimo, il 15 marzo 1938, tre giorni dopo l’Anschluss (annessione) dell’Austria alla Germania, aveva ricevuto calorosamente Adolf Hitler e aveva pubblicato una lettera che invitava tutti gli austriaci a pronunciarsi per «il nostro glorioso ritorno nel Grande Reich» e terminava con le parole «Heil Hitler». Il Papa e il suo Segretario di Stato Eugenio Pacelli, convocarono il porporato in Vaticano, il quale firmò una ritrattazione.

Quando Hitler visitò Roma, accolto Mussolini, Pio XI diede disposizione che nessuna bandiera fosse esposta dai balconi dei palazzi della Santa Sede e si ritirò a Castel Gandolfo per non essere presente a Roma; inoltre, fece scrivere su «L’Osservatore Romano» che l’aria di Castel Gandolfo gli faceva bene, mentre quella di Roma gli faceva male.

Non pregiudizialmente ostile a Mussolini, Papa Ratti dovette contrastare sia i tentativi del regime di egemonizzare l’educazione della gioventù, sia le ingerenze fasciste nella vita della Chiesa. Contrario all’azione politica di ecclesiastici, non solo non appoggiò, ma limitò fortemente il Partito Popolare favorendone lo scioglimento e fu contro ogni tentativo di don Luigi Sturzo di ricostituire il partito.

Il 28 aprile 1937, Mussolini e Giacomo Paulucci di Calboli inaugura «Cinecittà», un complesso composto da 73 edifici, tra cui 21 teatri di posa, centrali elettriche, uffici della direzione su progetto dell’architetto Gino Peressutti. D’altro canto l’Italia era in quel momento tutta un cantiere: sulle strade, sui fiumi, nelle città, nelle ferrovie, nelle campagne… Si costruiscono scuole, monumenti, palestre. Trasformazioni urbanistiche, bonifiche.

 

 

Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione nazionale, fonda l’Istituto Centrale di Restauro, in difesa del patrimonio artistico e archeologico italiano, e chiama accanto a sé giovani nomi, dall’eco in seguito internazionale: Quasimodo, Gatto, Pratolini, Carrà, Ungaretti, Casorati, Manzù, Mafai, Guttuso, De Pisis, Cassinari, Sassu, Treccani, Vecchietti, Gadda, Pintor, Spini, Salvatorelli, Montale, Pavese, Zavattini, Biagi, Brancati, Montanelli, Buzzati, Bacchelli.

Vittorio Emanuele ricevette dal nonno il titolo di principe di Napoli, come in uso in Casa Savoia per i principi ereditari e loro primogeniti in alternanza con quello di principe di Piemonte, allora attribuito al padre Umberto, in quel momento erede al trono.

In un clima politico e militare tragico e pericoloso per una possibile cattura per mano tedesca, il 7 agosto 1943, su ordine di Vittorio Emanuele III, il nipote lasciò Roma con la madre Maria José e le tre sorelle (Maria Pia, Maria Gabriella, Maria Beatrice), riparando a Sant’Anna di Valdieri, in provincia di Cuneo, per poi trasferirsi al castello di Sarre per maggior sicurezza; la sera dell’8 settembre 1943 ricevettero l’ordine di partire per la Svizzera. Quando la guerra terminò, fece ritorno a Roma con le sorelle, preceduti di qualche giorno dalla madre. Vittorio Emanuele III abdicò il 9 maggio 1946 e lui divenne principe ereditario. Il 5 giugno, poco dopo le votazioni per il referendum istituzionale del 2 e 3 giugno 1946, data l’ostilità dei ministri e dei capi di partito, re Umberto II ordinò a Maria José di lasciare l’Italia con i figli, in modo da attendere i risultati delle consultazioni al riparo da pericoli per la loro incolumità.

Vittorio Emanuele di Savoia e la sorella Maria Pia il giorno della Prima comunione (Ansa)

 

Nella notte tra il 12 e il 13 giugno 1946 il governo, senza attendere la proclamazione dei risultati definitivi da parte della Corte di cassazione (prevista per il 18 giugno), conferì i poteri di capo provvisorio dello Stato al presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi. Umberto, giudicandolo un gesto rivoluzionario decise di lasciare l’Italia per non scatenare una nuova sanguinosa guerra civile, facendo seguito a quella provocata tra le fazioni partigiane comuniste e i simpatizzanti fascisti.

Sta scritto all’articolo XIII(*), Disposizioni transitorie e finali, della Costituzione italiana:

«I membri e i discendenti di Casa Savoia non sono elettori e non possono ricoprire uffici pubblici né cariche elettive.

Agli ex re di Casa Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale.

I beni, esistenti nel territorio nazionale, degli ex re di Casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi, sono avocati allo Stato. I trasferimenti e le costituzioni di diritti reali sui beni stessi, che siano avvenuti dopo il 2 giugno 1946, sono nulli.

(*) L’articolo 1 della legge costituzionale 23 ottobre 2002, n.1 (“Legge costituzionale per la cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione”, Gazz. Uff. n.252 del 26 ottobre 2002) stabilisce che: “I commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione esauriscono i loro effetti a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale”.

Re Umberto II visse il suo eremitico esilio a Cascais, in Portogallo, mentre la moglie e i figli in Svizzera, in una villa a Merlinge (Meinier). Vittorio Emanuele studiò a Lancy, al cattolico Institut Florimont. Il suo esilio terminò alla fine del 2002 e svolse un’attività d’intermediario finanziario, stringendo amicizie e legami d’affari con grandi industriali, in particolare la famiglia Agusta.

Umberto II e Maria José sono sepolti in Savoia, ad Hautecombe, mentre il figlio Vittorio Emanuele, primo Savoia nella storia ad essere stato cremato, per sua volontà ha chiesto di essere sepolto nella Reale Basilica di Superga. Ha scelto di essere sepolto in terra subalpina, come i suoi nonni, la Regina Elena e Vittorio Emanuele III, ma non al Santuario Regina Montis Regalis di Vicoforte, bensì nella cripta della Real Basilica di Superga, contenente le Tombe Reali di Casa Savoia, realizzata nei sotterranei del luogo sacro, per volere del re Vittorio Amedeo III, secondo i desiderata già di Vittorio Amedeo II, fondatore della basilica, il quale aveva affidato il progetto all’architetto Francesco Martinez nel 1774, nipote di Filippo Juvarra. L’opera si concluderà nel 1778. La pianta della Cripta si presenta a croce latina allungata e ospita 63 sepolture di Casa Savoia, compresa quella di Vittorio Emanuele.

Una scalinata in marmo conduce al corridoio del mausoleo. Alla fine dello scalone, come guardiano a difesa delle tombe, è posta una splendida scultura in marmo di Carrara dell’Arcangelo San Michele in atto di sconfiggere il demonio. Superato lo scalone, percorrendo il breve corridoio, si entra nella Cripta.

Formato da una croce latina allungata, il mausoleo ospita al centro il Sarcofago dei Re, monumento funebre riservato alle spoglie dell’ultimo Re di Sardegna, mentre nei due bracci laterali si possono ammirare la Sala degli Infanti e la Sala delle Regine.

Lungo le pareti della Cripta sono presenti maestosi monumenti funebri. Nel braccio sinistro si trova quello dedicato a Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, che ottenne il titolo di Re di Sardegna. Poco più in là quello del principe Ferdinando di Savoia, Duca di Genova e padre della prima Regina d’Italia, Margherita.

 

 

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