Un anno fa si apriva il processo di canonizzazione di Madame Elisabeth

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L’Association pour la béatification de Madame Elisabeth de France (qui) sorta il 10 maggio 2016, nel giorno dell’anniversario della morte per decapitazione della sorella di Re Luigi XVI, come associazione privata di fedeli di diritto diocesano, si è costituita attore della Causa di canonizzazione della Principessa, nominando postulatore l’Abbé Xavier Snoëk. Il 15 novembre 2017, l’Arcivescovo di Parigi, il Cardinale André Vingt-Trois, preso atto del nulla osta della Santa Sede e del parere positivo della Conferenza Episcopale francese ha sancito l’avvio ufficiale della Causa.

Elisabeth Philippine Marie-Helene de Bourbon, chiamata Madame Elisabeth, nacque a Versailles il 3 maggio 1764 e morì a Parigi il 10 maggio 1794. Era la seconda figlia ed ultima bambina del Delfino Louis (figlio di Luigi XV) e di Marie-Josephe de Saxe; rimase orfana di padre all’età di un anno e mezzo, e poi di madre quando aveva tre anni. Era sorella minore di Luigi XVI, mentre la primogenita era la Venerabile Maria Clotilde che sposò il Re di Sardegna Carlo Emanuele IV di Savoia. Elisabeth fu donna di forte volontà e di grande spiritualità. Avrebbe desiderato abbracciare lo stato monacale, ma non le fu concesso, perciò, conoscendo l’inclinazione della sorella per la solitudine e il raccoglimento e per evitare che ella non se li procurasse nel silenzio del chiostro, Luigi XVI le donò una piccola villa a Montreuil, alle porte di Versailles. Ogni giorno recitava tutto l’ufficio divino, inoltre leggeva libri religiosi, esercitava pratiche devote, componeva preghiere, scriveva considerazioni spirituali.

La corte di Portogallo iniziò le pratiche per chiedere Elisabeth come sposa di un principe reale; così fece anche Casa Savoia, mentre l’Imperatore di Germania, Giuseppe II (fratello della regina Maria Antonietta, 1755-1793, moglie di Luigi XVI) si recò due volte a Versailles per vedere la bella e buona principessa. Tuttavia nessuna trattativa matrimoniale andò in porto. L’entrata nel Carmelo di sua zia Madame Louise nel 1770 aveva segnato indubbiamente la sua infanzia, da allora andava regolarmente a trovare le Carmelitane. Ella era anche di casa delle monache di Saint-Cyr. Ma anche la strada della consacrazione non era per lei perché scelse di stare sempre accanto alla famiglia reale: «Ho giurato di non abbandonare mai mio fratello e manterrò il mio giuramento. […]. Preferisco rimanere qui ai piedi del trono di mio fratello, piuttosto che salire io stessa su di un altro trono».

Già molti anni prima della Rivoluzione, Elisabeth percepì che la Francia sarebbe caduta nella tragedia. Compiangeva la nazione, il popolo, la sua famiglia. Si rese conto che la monarchia sarebbe stata distrutta e che la persecuzione si sarebbe abbattuta sulla religione cattolica, turbando le coscienze e gettando nel caos l’intero suo Paese. Suo rifugio era Dio, al quale si rivolgeva incessantemente, implorando soccorso.

 

Vigée Le Brun, Madame Elisabeth

 

Elisabetta fece un apostolato molto intenso e indicava nel Sacro Cuore di Gesù la fonte delle misericordie divine. In ogni lettera richiamava sempre l’attenzione al Sacro Cuore di Gesù, la cui devozione era stata diffusa grazie a Giovanni Eudes (1601-1680) e a Santa Margherita Maria Alacoque (1647- 1690) e che ora vedeva in lei una degna erede nel divulgarne il culto. Compose vari atti di consacrazione della Francia al Divin Cuore e fu anche molto devota al Sacro Cuore di Maria Santissima. Persuasa che l’irreligione e l’immoralità attirassero sul Paese i castighi di Dio, raccomandava di condurre una vita onesta, di pregare, di rinunciare al lusso e di soccorrere il prossimo.

La famiglia reale di Francia venne catturata nella notte del 6 ottobre 1789, quando un’orda inferocita ed avvinazzata di 20 mila persone, armate di cannoni, fucili, sciabole, forche e bastoni da Parigi si diresse a Versailles, invadendo il castello. Mentre si verificavano scene orribili di violenza e crudeltà, con massacri, teste decapitate e portate sui picchetti come trofei, Luigi XVI e i suoi congiunti vennero trasportati a Parigi fra le urla, le minacce e le imprecazioni. Cosciente di dover esercitare la missione, per la quale si era votata, di «angelo tutelare» della famiglia reale di Francia, Elisabeth si comportò con grande coraggio e dignità, senza alcun cedimento. Da quella notte la famiglia reale rimase prigioniera nel palazzo delle Tuileries. Mentre tutti i principi e le principesse cercarono di fuggire fuori dalla capitale e dalla Francia, lei rimase al proprio posto, vicino al fratello, alla cognata, alla quale era molto legata, al piccolo Delfino di Francia Luigi Carlo e alla nipote Maria Teresa Carlotta, assolvendo la propria missione di consolatrice.

Dopo l’esecuzione di suo fratello Luigi XVI, il 21 Gennaio 1793,  rimase con la Regina Maria Antonietta e sua nipote Maria Teresa Carlotta nella torre. La Regina venne portata alla Conciergerie il 2 agosto 1793, così furono separate. Dopo umiliazioni indicibili e sofferenze inaudite, Maria Antonietta venne decapitata il 16 ottobre. La sua ultima lettera fu proprio indirizzata ad Elisabetta: «È a voi, sorella mia, che scrivo per l’ultima volta; sono condannata non ad una morte infamante, perché tale è soltanto per i criminali, ma a raggiungere vostro fratello». E dopo averla pregata di essere la seconda madre dei suoi orfani, si accommiatò con queste parole: «Addio, mia buona e tenera sorella; speriamo che questa vi giunga! Pensate sempre a me; vi bacio con tutto il cuore, insieme con quei poveri e cari bambini!». La lettera non fu recapitata.

Elisabeth rimase accanto alla nipote nel momento in cui il giovane Delfino, ugualmente imprigionato, fu separato da loro il 3 luglio 1793. Splendida la lettera di riconoscenza a sua zia che scrisse Maria Teresa Carlotta, Madame Royale, e altrettanto importante, quanto celebre e toccante nella sua beltà e verità, è la preghiera che Elisabeth compose e che recitò quotidianamente, fino al giorno della sua cruenta dipartita: «Che mi accadrà oggi, o mio Dio? Lo ignoro; so soltanto che nulla mi accadrà che Voi non abbiate previsto, stabilito, voluto e ordinato sin dall’eternità. Questo mi basta, o mio Dio, per essere tranquilla. Adoro i vostri disegni eterni e impenetrabili, ai quali mi sottometto con tutto il cuore per amor vostro. Voglio tutto, accetto tutto. Vi faccio un sacrificio di tutto ed unisco questo sacrificio a quello del vostro diletto Figlio e mio Salvatore. Vi domando in nome del suo Caro Cuore e dei suoi meriti infiniti la pazienza nelle mie pene e la perfetta sottomissione a Voi dovuta per tutto quello che vorrete e permetterete. Così sia».

Era il 10 maggio 1794 quando vennero portati alla ghigliottina 24 condannati a morte, fra i quali c’era anche Elisabeth di Borbone-Francia, che fu costretta ad assistere a tutte le decapitazioni prima di subire anche lei il supplizio. Non soltanto non si coprì gli occhi di fronte allo scempio, ma rimase sorridente e orante fino alla fine. Ad alta voce chiamava, una ad una, le vittime, invitandole ad aver Fede in Dio e, se erano donne, le abbracciava oppure le salutava con un sorriso. Poi toccò a lei. E quando il biondo capo cadde, aggiungendo sangue a sangue, nessuno osò gridare «Viva la Repubblica!».

 

 

La sua morte fu percepita come quella di un’innocente: Madame Elisabeth entrò così nel rango di Martire della Rivoluzione. Le stampe controrivoluzionarie si moltiplicarono, rappresentando la Principessa con le palme della Martire. Le sue preghiere furono riprese e diffuse, mentre il suo primo biografo, Antoine Ferrand, iniziò nel 1814 a redigere una lunga serie di agiografie. Utile ricordare che un ampio approfondimento della sua vita è stato realizzato nella biografia scritta da Antonia Fraser su Maria Antonietta e in quella di Deborah Cadbury dedicata a Luigi XVII. La Restaurazione diede la massima rilevanza alla devozione verso Madame Elisabeth.

La scoperta e la pubblicazione nel 1816 dell’ultima lettera di Maria Antonietta, indirizzata, come si è detto, a Madame Elisabeth, conosciuta come Testamento di Maria Antonietta, venne scolpita nel marmo nero e a caratteri dorati nella Chapelle expiatoire di Parigi, in piazza Luigi XVI, al 29 di rue Pasquier, nell’VIII arrondissement.

 

 

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