Suor Maria Carola Cecchin, prima beata “cottolenghina”

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Autunno 1925. Su un piroscafo diretto in Italia, in mezzo al Mar Rosso, una semplice cerimonia di commiato consegnò alle onde del mare le spoglie di un’umile suora missionaria dell’Istituto fondato da San Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842). Per vent’anni aveva servito in Africa i più poveri tra i poveri. Una sola consorella fu presente e testimoniò: suor Maria Carola Cecchin (1877-1925) «baciò con fede ed ardore intenso il Crocifisso che le posai sulle labbra, mi guardò con un bel sorriso e, fatto un gran segno di Croce, mentre il suo volto s’irradiava di una gioia inesprimibile, come assorta in una cara visione, mormorò: “Sì, Gesù sono tua… tutta tua… Mamma mia, Maria, presentami Tu a Gesù… Ti amo… Ti desidero… voglio venire con Te… con Te in Paradiso…”. Dolcemente chinò il capo e spirò».  Più volte in passato aveva espresso il desiderio di una «buona morte». I pensieri dei santi non sono i pensieri degli uomini, in fondo suor Maria Carola aveva sempre avuto la gioia di testimoniare il “suo” Gesù che quel giorno le sorrise dall’alto, mentre il suo sguardo si perdeva nell’orizzonte in cui si incontrano solo l’azzurro del cielo e il blu del mare.

Fiorina Cecchi nacque il 3 aprile 1877 a Cittadella, in Provincia di Padova, quinta di otto fratelli, i primi due dei quali morti in tenerissima età. I genitori, cristiani convinti, dicevano sovente: «Il Signore ci dia la grazia di vedervi morti piuttosto che cattivi». Terminate le scuole elementari, sentì già dentro di sé il desiderio di consacrarsi a Dio. Dopo un corso di Esercizi spirituali, chiese di essere ammessa tra le Suore Dorotee di Cittadella, dove era già consacrata una sorella maggiore d’età. Per un malinteso, la madre generale pensò che la giovane non avesse una salute adeguata e la respinse. Fiorina, risoluta, si rivolse al suo parroco che la indirizzò al «Cottolengo» di Bigolino, oggi frazione di Valdobbiadene, in Provincia di Treviso. Fu accolta e in breve le venne affidato un gruppo di orfanelle. Nel 1896 fu destinata a Torino, in Casa Madre. Prese il nome di suor Maria Carola, il 3 ottobre dell’anno seguente iniziò il noviziato, emettendo poi i voti tra le Suore Vincenzine, fondate dal Cottolengo nel 1833, nella solennità dell’Epifania del 1899. Ricoprì le mansioni di cuoca, prima nella casa di Giaveno, dove si fece notare e ammirare per «l’obbedienza, l’umiltà e la preghiera, virtù rese attraenti dalla carità perché sempre disposta a sacrificare sé stessa per essere di sollievo a tutti», come attestato dalla Superiora. Rientrò poi in Casa Madre, addetta alla cucina centrale della Piccola Casa, sentendo, però, sempre più forte nel cuore la vocazione alla missione. Il giorno di San Giuseppe del 1904 scrisse al Superiore: «La prego volermi concedere un grande favore: quello di far parte della prima spedizione di suore missionarie, che partiranno per l’Africa». Fu esaudita e ricevette il crocifisso dato ai missionari dal Cardinale Agostino Richelmy (1850-1923), Arcivescovo di Torino. Da pochi anni era stato fondato (1901) l’Istituto Missioni Consolata dal Beato Giuseppe Allamano (1851-1926), che l’8 maggio 1902 avrebbe inviato i primi quattro missionari in Kenya, tra cui don Filippo Perlo (1873-1948), primo vescovo dell’Istituto. Suor Maria Carola partì il 28 gennaio 1905 da Trieste: dopo due settimane approdò a Mombasa in Kenya, insieme a quattro consorelle e a due missionari della Consolata. Si partiva con la prospettiva di non tornare più, l’addio dato alla famiglia era quasi sempre definitivo.

Robusta, alta, dal passo lungo, suor Maria Carola si mise subito all’opera a costo di enormi sacrifici. Regnava dappertutto una povertà assoluta; ebbe in dotazione una stufetta malconcia e un po’ di piatti di latta. Il cibo non bastava mai e pure la lingua rappresentava un ostacolo, ma tutti impararono presto a conoscere il suo grande cuore. Iniziò a parlare la lingua Kikuyu e poté iniziare a girare nei villaggi, fare un po’ di catechesi e curare qualche malato a domicilio. Attraversò foreste, le aride steppe dei Kikuyu, la savana, le brughiere del Meru. Fu nei villaggi di Limuru, Tuthu, Iciagaki, dove fu Superiora. Sovente le era affidata come casa una baracca, con lo stretto necessario, abitazione che suor Carola rendeva abitabile. Coltivava anche l’orto, ma soprattutto radunava attorno a sé una piccola comunità. Mirava alla salvezza delle anime, dimostrandosi donna saggia e prudente. Disse una consorella che era «di una pietà così soda e soave da mostrare una santa libertà di spirito». Come accennato, era solita dire nel suo dialetto veneto: «‘Na bônamort a pagràtut», «una buona morte pagherà tutto».

Un giorno le giunse l’ordine di partire per Mugoiri, poi per Wambogo a sostituire due consorelle partite per l’ospedale da campo. Anche in Africa si facevano sentire i tragici effetti della Prima Guerra Mondiale. Vennero reclutati uomini come “portatori”, inservienti, senza che neppure ne sapessero il motivo. Nei villaggi rimanevano le donne per badare alle bestie e ai campi, mentre a seminare la morte, alla guerra si aggiunse un’epidemia, «la spagnola». Il Kenya si popolò di ospedali militari, dove le suore portavano cure e consolazione. Suor Carola era sempre disponibile, donando, insieme ai servizi più urgenti, la carità dell’annuncio di Gesù. Si ammalò di «spagnola», ma nonostante la febbre portò avanti i propri impegni.

Finita la guerra, nella missione di Tigania comparve una nuova malattia endemica, l’enterocolite sanguigna, che non risparmiò neppure le suore. Suor Maria Carola chiese il rientro a Torino almeno delle più gravi, che, però, si poté iniziare solo nel 1923, quando le Cottolenghine furono sostituite dalle Missionarie della Consolata. Nonostante la malattia le procurasse gravi dolori, suor Maria Carola visitava comunque i villaggi, per portare la carità e la Parola di Dio. Finalmente Monsignor Perlo concesse alle Cottolenghine di lasciare il Kenya: suor Carola decise di partire per ultima. Si imbarcò il 25 ottobre 1925 sul piroscafo Porto di Alessandretta, ma ormai era troppo tardi. Morì il 13 novembre e i funerali – come detto – furono celebrati a bordo, presenti alcuni soldati, il capitano, un medico, la consorella suor Crescentina. La beata Maria Carola, avvolta in un semplice lenzuolo, fu sepolta tra le onde del mare, fra Massaua e Suez, come imponevano le normative igieniche. Aveva appena 48 anni. Degli effetti personali di suor Maria Carola ci restano un crocifisso conservato dalla famiglia di un nipote, un libro e alcune lettere.

A un anno dalla morte una consorella, suor Scolastica Piano, pure lei missionaria in Africa fino al 1919, sentì la necessità di raccogliere le testimonianze di alcune consorelle missionarie, di Padri della Consolata, di Fratelli Coadiutori e di persone che conobbero la futura Beata e di far pubblicare una biografia. La fama di santità andò crescendo, molte le grazie ottenute per sua intercessione, soprattutto in Africa, dove ha preso il via la causa di beatificazione. Il 23 novembre 2020 Papa Francesco ha autorizzato il Decreto riguardante le virtù eroiche, il 13 dicembre 2021 è stato promulgato il decreto sul miracolo, accaduto nel 2013, attribuito alla sua intercessione. Esso, come dice la postulatrice suor Antonietta Bosetti «riguarda l’immediato, completo e duraturo, non spiegabile scientificamente, ritorno alla vita, dopo 30 minuti, del neonato Msafiri Hilary Kiama considerato ‘still birth’, nato senza segni vitali con assenza di attività cardiaca, tono muscolare e colorito cianotico».

L’esempio di suor Maria Carola è per i missionari di oggi e per tutti i cristiani, sempre bisognosi di autentici testimoni del Vangelo.

 

 

 

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