San Luigi Maria Grignion de Montfort  –  di P. Amerigo Berti

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di P. Amerigo Berti

 

Tutti i santi hanno amato la Santa Vergine Maria, ma pochi, a mio parere, come san Luigi Maria Grignion de Montfort. Scrisse quello straordinario libretto Trattato della vera devozione a Maria che tutti dovrebbero conoscere a memoria. Prete vandeano, missionario itinerante, figura d’altri tempi, morto a soli 42 anni, il “buon padre Luigi da Montfort” (come lo chiamava la gente) era un innamorato di Maria fuori misura. Scrive di lui uno dei suoi biografi, Giuseppe De Luca: “Quando il giovane Grignion era davanti ad un’immagine di Maria, sembrava non conoscere nessuno, immobile e senza azione, stava per delle ore intere ai piedi dell’altare a pregarla, a onorarla, a reclamare la sua protezione, a dedicarle la sua innocenza, a scongiurarla di essene la guardiana, a consacrarsi al suo servizio. Tutti sanno che egli la chiamava sua buona Madre, ma non tutti sanno che dalla sua più tenera giovinezza egli andava a Lei con una semplicità infantile, a domandarle tutto il suo necessario sia temporale che spirituale; era così sicuro, per la grande fede che aveva nelle sue bontà, di ottenerlo che mai né dubbio, né inquietudine, né perplessità l’imbarazzavano su niente: tutto a pare suo era fatto, quando aveva pregato la sua buona Madre, e non esitava più”.[1]

Il Montfort aveva una fiducia incrollabile nella Vergine, la pregava in continuazione, quando la nominava si commuoveva e smuoveva i cuori. Non aveva alcun rispetto umano per alcuno, parlava e convinceva. Fu lui per primo a parlare di “schiavitù” a Maria e portava al polso una sorta di bracciale di ferro per indicare la sua appartenenza totale a Dio attraverso la Vergine Maria, via privilegiata per entrare nella vita divina.

 

Il santo vandeano era un itinerante. Camminava a piedi e dove arrivava organizzava delle prediche popolari. “Una sua missione – scrive De Luca – era l’avvenimento del paese non soltanto per l’anno, ma per decine d’anni. Luigi Maria non si limitava al consueto rituale di ogni missione del tempo, ma conduceva le cose ad un limite inarrivabile. Processioni di una solennità inaudita che dovevano convogliare tutta la popolazione, dal clero ai bimbi. Predicazioni all’aperto, veementi e lunghe. Penitenze pubbliche, fino al sangue. Costruzioni di Calvari. Riedificazioni di chiese fatiscenti o deserte. Tutto questo portava un borgo cittadino o paesano ad una febbre insostenibile, che toccava gli uomini savii, pacifici, scettici; e quando non ve li attraeva dentro, li faceva nemici irriducibili.

Principale scopo delle missioni del tempo – che Luigi con il suo tremendo temperamento esaltava – era quello di convertire i peccatori della città: bestemmiatori, biscazzieri, libertini, gli irregolari, e così via. All’arrivo di una missione, tutti coloro che vivevano adagiati nella colpa ed erano riusciti comunque a farsela perdonare (o non curare) dall’opinione paesana, si ritrovavano da capo sulle spine. Tutto il paese diveniva per loro un rimprovero. Andare alle prediche significava andare nel vivo del fuoco. Non andarci, era peggio: tutti li guardavano. Luigi andava dritto e d’istinto proprio dove il marcio era più profondo. Si recava lui, in persona, dove nessuno mai avrebbe voluto farsi vedere: i quartieri più malfamati, i luoghi più temuti, le osterie più oscure e mal frequentate, le stesse case del vizio lo vedevano arrivare senza false modestie: come un fuoco. Nessuna meraviglia, pertanto, che spesso venisse aggredito; fu una volta avvelenato e più volte rischiò di essere assassinato. Inoltre, Luigi aveva una potenza terribile nei ceti più poveri e miserabili. Sebbene prete, egli praticamente viveva sulla strada come un randagio e un reietto. Non aveva, non voleva avere, un soldo; dormiva nei più ripugnanti tuguri, persino all’aperto nelle campagne. Mangiava meno dei poveri, e peggio di loro. Camminava sempre, a piedi. Diceva a tutti, in tutte le occasioni, la verità. Non adulava, non carezzava; interessi e piaceri di nessuna sorte, non lo toccarono mai: era il ritratto della povertà, del patimento. Un crocifisso ambulante.

Luigi Maria, sin da ragazzo, era abituato ad affrontare proprio quegli uomini che tutti sfuggivano; i poveri, i malati, i soldati, i viziosi a viso aperto, i libertini e i fuorviati della peggior specie: tutti coloro insomma che la società “onesta” mette agli angoli e rifiuta come immondezza. Nelle missioni, andava diritto verso costoro. Pareva non ci fossero che loro. Di qui i grandi successi spirituali ma incredibili traversie con i “buoni” di professione. Ai quali Luigi non fu meno severo di Gesù e assestò colpi tremendi; nulla tanto lo infastidiva quanto quel cristianesimo comodo che ciascuno si era creato per il suo maggiore agio terrestre. Dove egli toccava, tutto si fondeva in poltiglia come una maschera sudicia. Giungeva con tutta la forza, dove poteva giungere. Vi portava il suo fuoco: ai tiepidi pareva di essere bruciati vivi. Si regolava sulla misura di Dio, sull’assoluto, in ogni circostanza, e tutte le misure umane parevano gingilli di pigri e schermo di vili.

Nelle missioni Luigi Maria ripristinava antiche devozioni e ne impiantava di nuove. In questo, fu figlio del suo tempo, ma l’amore a Cristo e alla Madonna raggiunsero, con lui, vette raramente toccabili. Pratiche di pietà, pie e devote usanze, preghiere, pellegrinaggi, tutto si rianimava o rinasceva, al suo passaggio. Egli poi non si accontentava di questo: rimetteva a posto le chiese, erigeva croci o (appena potesse) veri Calvari; lasciava insomma ricordi visibili e tangibili per anni e generazioni. Almeno la generazione che aveva preso parte alla missione del padre Grignion se la sarebbe ricordata per tutta la vita. Sarebbe stata, quella missione, l’avvenimento più grosso di tutta la sua vita”.[2]

 

“La missione del Monftort era una avvenimento spirituale. Non era come la festa del patrono, che se ne va (anzi, se ne andava) tutta in processione, panegirico, fuochi artificiali, musiche di bande, balli popolari, pranzi lautissimi e ubriacature memorabili. La missione non aveva aria di festa, ma di penitenza. Anche i riti religiosi erano improntanti a qualcosa di penitenziale: una specie di quaresima viaggiante. In tutte le missioni del Montfort accadevano fatti meravigliosi: taluni, conosciuta la vanità di ogni amore terrestre, si davano all’amore di Dio, come con quell’assolutezza che Dio chiede, con quella trepidazione che soltanto un amore vero e totale conosce. Sulle tracce del santo, nasceva santità.

Ma come era in realtà Luigi Maria? Egli tuonava dal pulpito contro i vizi, ma era dolce, e insieme fermo, in confessionale. Possedeva un dono singolare di toccare i cuori, così confessando come predicando; ma provava orrore per una morale troppo severa, così per quanto Luigi Maria passasse per un uomo severo, i grossi peccatori s’indirizzavano a lui per confessarsi piuttosto che a nessun altro dei missionari.

Fu forte, ma soprattutto nella dolcezza; la dolcezza è, infatti, suprema forza. Era questa dolcezza che gli faceva non temere, anzi vincere, inclemenza di stagioni, asprezze di continua penitenza, fatiche assidue, la vicinanza del il prossimo apertamente peccatore. Avvicinò i più perduti tra gli uomini, i più malati, i più cattivi, i più poveri. Mangiò con loro, meno di loro; dormì con loro, peggio di loro; vestì come loro, viaggiò come loro. Nessun povero fu più povero di lui; nessuno fu più solo, più sprovveduto, più sfiancato, malato. Gli attentarono la vita più volte, fu malato grave e sempre ricoverato coi poveri negli ospedali. Fu una volta condotto pubblicamente in carcere, per le strade. Ricevette in pubblico condanne e interdizioni da autorità civili ed ecclesiastiche. Fu scacciato come un cane, beffato come un ambizioso, compatito e tenuto lontano come un pazzo. Non piegò mai, d’innanzi a tanta avversità: sereno, obbediente, animoso, ridente. Ecco in che forza si era tramutata la sua forza di temperamento: forza di dolcezza.

Come teneva le missioni popolari? Aveva un talento organizzativo invidiabile, possedeva un’arte singolare in disporre le processioni più numerose. Gli ho visto (testimonia un padre cappuccino che collaborò con lui nelle missioni) mettere in pochissimo tempo un ordine ammirevole nella processione più numerosa dove si portava il Santissimo, distinguendo gli stati, le età e i sessi; li faceva camminare tutti in fila, per quattro, e lo faceva in poco tempo e con disinvoltura. Al termine della processione, ai piedi di Gesù Cristo posto in un trono campestre, in piena campagna, parlava con tanta grazia e unzione spirituale che si vedano tutti sciogliersi in lacrime. Si piangeva senza pensarci, senza accorgersene; gli occhi tradivano il cuore scoprendone i suoi segreti sentimenti. In una parola, credevo di vedere un angelo, ascoltando il Montfort. Il suo viso palesava i suoi raggi, il suo amore acceso. La sua lingua non era che l’eco di quel che lo Spirito Santo diceva al suo cuore; la sua voce, i suoi gesti, risentivano dell’unione che egli aveva con il suo Dio presente”.[3]

 

“In realtà – scrive Giuseppe de Luca – noi difficilmente potremmo renderci conto di quello che dovette essere la predicazione di san Luigi Maria Grignion de Montfort. Certamente non era una cosa comune: non aveva nulla della grande oratoria di quel secolo; e nulla della piccola oratoria sacra, tutta agghindata, tutta gelida, dei suoi contemporanei. Era qualcosa come un diluvio che ingrossa i torrenti, provoca frane, porta inondazioni, cambia la faccia d’una terra tutt’attorno. Nessun ceto cittadino restava tranquillo; amici o nemici, volenti o nolenti, dovevano subirlo.

Preparava con molto studio, con molta penitenza, con molta preghiera, i suoi discorsi. Mentre predicava, doveva ardere.

Sarebbe andato in capo al mondo pur di salvare un’anima. Aveva un talento ammirevole per convertire i peccatori e non si può negare che un gran numero di persone colpevoli di tutti i delitti più abominevoli, che avevano avuto la disgrazia di scandalizzare il pubblico, siano state vedute piangere a calde lacrime ai piedi suoi, ed emettere grida tanto violente, battendosi il petto, che tutti coloro che si trovavano nella chiesa, sentendoli, ne erano toccati.

Non bisogna meravigliarsi se operava tante conversioni; poiché, come detto, si preparava a fare le sue prediche facendo un’ora di orazione ai piedi del Crocifisso; faceva fare delle preghiere per la conversione dei peccatori da tutte le parti.

E’ noto che nel Vangelo Nostro Signore spesso andasse in casa dei pubblicani e lì beveva e mangiava con loro, per convertirli con questo mezzo; il Grignion si è comportato allo stesso modo con i peccatori. Pochi giorni dopo che si trovava in una parrocchia per la missione, s’informava se vi fossero persone scandalose e dove abitassero; andava da loro a trovarli, teneva loro delle prediche, li trattava con una dolcezza inimmaginabile. Sovente andava anche nei luoghi di dissolutezza [case di tolleranza, tanto per intenderci, ndr], e quando entrava in questi luoghi, prima si metteva in ginocchio in mezzo alla camera, con un piccolo crocifisso in mano, poi recitava un’Ave Maria; dopo aver baciato la terra si alzava e predicava con tanta forza e unzione di Spirito che quei signori e quelle disgraziate non sapevano cosa dire o fare, tanto erano costernati. La maggior parte, uscivano senza dir niente, e le disgraziate restavano; v’era chi piangeva amaramente, altre erano come statue immobili; il Montfort le faceva inginocchiare e si inginocchiava anche lui. Dopo aver ben predicato, si faceva promettere da loro di abbandonare quella vita e di fare una confessione generale; molte di queste disgraziate e anche coloro che le avevano visitate peccaminosamente, andavano poi a trovarlo al confessionale.

Capitò una volta che il, mentre il Montfort diceva la sua Ave Maria in mezzo a nove o dieci di queste donne, una si mise anch’essa in ginocchio per pregare Dio; tutti gli uomini uscirono tranne uno, che si gettò sul Montfort come un lupo affamato, lo afferrò per i capelli e tenendo nell’altra mano una spada gli disse, bestemmiando orribilmente, che se non fosse uscito all’istante lo avrebbe infilzato attraversandogli il corpo con la spada. Il Montfort, per nulla intimidito, rispose: “Acconsento, signore, che voi mi togliate la vita e vi perdonerò volentieri la mia morte, a patto che mi promettiate di convertirvi; poiché amo mille volte di più la salvezza della vostra anima che non diecimila vite come la mia”. Queste parole furono come un colpo di fulmine per quel disgraziato; ne fu tanto spaventato che tremava mani e piedi in maniera che faticò a rinfoderare la spada, e ancor più a ritrovare la porta d’uscita; noi restammo soli nella stanza con la povera disgraziata che era in ginocchio come noi, più morta che viva. Il Montfort la condusse con noi e la consegnò nelle mani di una donna pia della parrocchia perché l’aiutasse nel suo cammino di pentimento”.[4]

Occorre anche oggi questa predicazione, occorrono anche oggi questi preti.

Nel libro che il santo vandeano ci ha lasciato, Il trattato della vera devozione a Maria, viene detto che i santi sacerdoti degli ultimi tempi saranno così.

 

[1] De Luca Giuseppe, S.Luigi Grignion da Montfort, Postulazione Generale Montfortana, Roma 1943, pagg.67-68

[2] Giuseppe de Luca, op.cit, pagg. 202-204.

[3] Giuseppe de Luca, op. cit., pagg. 216-217; 225-227.

[4] Giuseppe de Luca, op.cit., pagg. 229-234.

 

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