San Gengolfo, patrono dei mal maritati

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San Gengolfo nacque da una delle più illustri famiglie della Borgogna. I suoi genitori furono i principali fautori della sua educazione cristiana, consistendo la loro ricchezza non solo in beni terreni, ma anche in preziose virtù. Passò la sua infanzia e la sua prima giovinezza in una perfetta innocenza, tutto assorto negli studi di lettere e nell’esercizio della pietà cristiana. La sua giovinezza fu inoltre caratterizzata dalla sua grande onestà e dal suo estremo pudore: Gengolfo era infatti solito fuggire la compagnia dei libertini e tutti quegli oggetti che avrebbero potuto ledere il fiore della sua castità. Egli preferiva piuttosto visitare le chiese, apprendere la Parola di Dio, meditarla nel segreto del suo cuore e dedicarsi alla lettura di libri spirituali che gli potessero essere di aiuto nel far proprio l’insegnamento evangelico. Era praticamente impossibile udire dalla sua bocca parole indiscrete od inutili. Grazie alla sua innata modestia, il suo viso lasciava trapelare la profonda devozione che lo animava.

Morti i suoi genitori, il santo dovette iniziare ad occuparsi delle terre ereditate che, ben lontano da spese superflue di alcun genere, seppe amministrare con prudenza e saggezza, rivelando così capacità inaudite nell’arte dell’economia e nel governo domestico. Le chiese ed i poveri furono poste assolutamente al centro delle sue attenzioni. Egli pensava infatti che questo potesse essere il modo migliore per testimoniare il senso di riconoscenza che provava verso Dio per tutto ciò che gli aveva donato.
Giunto all’età di sposarsi, Gengolfo prese in sposa una ragazza appartenente anch’ella ad un casato nobile e ricco. Questa donna, però, dimostrò presto di non possedere tutte le virtù del suo santo marito, rivelandosi vanitosa, mondana e contraddistinta da una certa leggerezza di costumi. Ma Dio permette queste disuguaglianze proprio per mettere alla prova i suoi servi più fedeli e purificarli con la croce delle afflizioni.
Essendo uno dei principali signori di Borgogna, noto per la sua bravura, Gengolfo prese parte come cavaliere alle numerose guerre intraprese da Pipino il Breve, maggiordomo di palazzo dei re merovingi ed effettivo detentore del potere regio. In seguito a questo accostamento al potere secolare, il santo preferì dedicarsi alla predicazione del Vangelo in Frisia, fatto che giustifica la devozione nei suoi confronti presente ancora al giorno d’oggi in Olanda. Pipino nutriva una singolare stima nei suoi confronti, in particolare per la sua destrezza nell’arte delle armi e per la sua santità e proprio la fama della sua santità stava sempre più accrescendo grazie a dei prodigi da lui operati. Una tradizione narra che Pipino lasciasse dormire il santo cavaliere nella propria tenda ed una volta, quando furono tutti e due a letto, si riaccese miracolosamente per ben tre volte la torcia adibita all’illuminazione dell’interno della tenda. Ciò bastò per convincere Pipino che fosse veramente un santo. Ma su Gengolfo si narrano degli episodi ancora più straordinari. Un esempio eloquente si verificò durante il suo viaggio di ritorno in Borgogna, per riposarsi dalle fatiche della guerra. Passando da Bassigny, sostò in un posto delizioso per rifocillarsi. Qui vi era una splendida fontana, dall’acqua fresca e buona, che decise di acquistare pagando il proprietario. Ma Dio volle punire l’avarizia di quest’ultimo, che si era illuso di ottenere in tal modo sia la fontana che il ricavato della vendita, evidenziando l’evidente impossibilità materiale per il viandante, Gengolfo, di trasportare con sè la fontana acquistata. Ma il santo, giunto a Varennes, sua abituale residenza, piantò il suo bastone nella terra facendo sgorgare una magnifica fontana, proprio quella che egli aveva acquistato a Bassigny, che infatti istantaneamente scomparve da tale luogo.
Ma è ciò che lo aspettava al suo ritorno a casa che porta a paragonare Gengolfo agli eroici modelli biblici di pazienza, quali Giobbe e Tobia. Sua moglie, infatti, così diversa da lui sotto parecchi punti di vista, durante la sua assenza era stata infedele al loro legame matrimoniale. Il santo piombò in un vivo dolore ed in una grande perplessità, trovando ugualmente penoso e funesto sia il punire il crimine che il lasciarlo impunito. Trovandosi ormai costantemente in questo imbarazzo, un giorno, quando si trovò a passeggiare solo con la consorte, le disse: «È ormai parecchio che corrono delle dicerie contro il tuo onore. Io non ho mai voluto parlartene senza sapere se fossero fondate, ma oggi non posso più stare ad osservare in silenzio. Ti ricordo dunque che una donna non ha niente di più caro al mondo che il suo onore e deve fare tutto il possibile per conservarlo o per recuperarlo”. Ma la moglie gli rispose miserabilmente: “Non vi è niente di più ingiusto delle dicerie che circolano su di me”. Ma il santo la sfidò per verificare la sua innocenza: “Ecco qui una fontana con un’acqua limpida che non è né calda né fredda. Infilavi il tuo braccio: se non proverai alcun male sarai innocente ai miei occhi”. Ma ella, considerando tale prova un frutto della semplicità del marito, non esitò ad eseguire il suo ordine. Ma l’acqua, che si era nel frattempo surriscaldata, le ustionò la pelle e lei non osò più alzare gli occhi verso il marito. Quest’ultimo preferì comunque non sottoporla al severo giudizio della legge, ma preferì separarsi da lei, cosicché il protrarsi della convivenza non rischiasse per lui di trasformarsi in un’indiretta accettazione dell’adulterio di cui era vittima. Provveduto dunque alla sistemazione della moglie ed al suo sostentamento, Gengolfo si ritirò nel suo castello presso Avallon, vicino a Vézelay, prodigandosi in opere di penitenza e carità. Non demorse comunque mai dall’intento di convertire la moglie, la quale reagì per vendetta incaricando un suo amante di assassinarlo. Questi, scoperta la residenza di Gengolfo, lo sorprese nel riposo e cercò di colpirne la testa con una spada. Risvegliatosi di colpo, ricevette il colpo solamente su una coscia, ma la ferita derivatane si rivelò comunque mortale. Questo martire della giustizia e della castità ebbe giusto il tempo di ricevere gli ultimi sacramenti, prima di addormentarsi nel Signore l’11 maggio 760.

 

Chiesa di San Gengolfo, sulla frontiera franco-svizzera

 

In seguito ad eventi miracolosi le sue reliquie furono traslate a Varennes ed una parte fu poi distribuita in diversi luoghi, tanto che ancora oggi il suo culto è vivo in Francia, in Germania, nei Paesi Bassi ed in Svizzera. A quest’ultimo paese è legata una particolare tradizione, che vuole che san Gengolfo abbia trascorso un periodo della sua vita nella attuale cittadina di Saint-Gingolph, divisa dalla frontiera franco-svizzera, sulla sponda meridionale del lago di Ginevra, dedicandosi come un autentico anacoreta alla contemplazione, alla preghiera ed alla penitenza. Ma proprio in tale località le leggende popolari hanno confuso questo personaggio storico con un ipotetico soldato della Legione Tebea che, fuggito dalla vicina Agaunum, avrebbe qui affrontato il martirio.
San Gengolfo è solitamente rappresentato in abiti baronali o, se armato, con una croce raffigurata sul suo scudo ed impugnante la spada con cui fa sgorgare una sorgente dal terreno. Non mancano comunque anche sue raffigurazioni equestri. È venerato come patrono, oltre che delle città in cui ha vissuto o che ne custodiscono le reliquie, in particolare degli uomini mal maritati. Il nome del santo ha assunto parecchie varianti, a seconda delle lingue e dei dialetti parlati nelle località in cui è venerato: Gengoul, Gangulfe, Gengou, Gengoux, Gigou, Genf, Gandoul, Gingolph, Gangulfus e, in Germania, Golf.

Oggi più che mai l’Europa ha bisogno di cavalieri pronti a difendere la loro fede ed a vivere con coerenza il loro essere cristiani, modello ben incarnato da Gengolfo.

 

 

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