Lunedì 10 ottobre scorso, nella sede del Centro Studi Piemontesi, si è svolta la presentazione del libro Preamboli di Giovanni Tesio. Si tratta di una raccolta di inviti e riflessioni dell’autore sulle tematiche scelte, di anno in anno, per il premio letterario Enrico Trione Una fiaba per la montagna, indetto e organizzato dall’Associazione ‘L Péilacan, presieduta da Michele Nastro.
La raccolta parte dal 2008 per arrivare fino all’anno in corso; infatti, la premiazione per la ventunesima edizione si è tenuta a Ceresole Reale il 15 ottobre scorso. I temi trattati sono:
- 2008: Il Cibo
- 2009: Le Torri e i Castelli
- 2010: Il Bosco
- 2011: Fratelli d’Italia
- 2012: L’Aiutante Magico
- 2013: Gli Animali
- 2014: Lo specchio
- 2015: Il Tre
- 2016: Orti e giardini
- 2017: Il Viaggio
- 2018: La riscrittura
- 2019: Il Doppio
- 2020: Le Piante del Paradiso
- 2021: Il Virus Selvaggio
- 2022: L’Orso e lo Stambecco
«Che altro è la fiaba se non – come il mito – una ristrutturazione simbolica della realtà?»[1]
È con questa domanda retorica che Giovanni Tesio inizia il suo libro. Una domanda apparentemente semplice, ma estremamente pertinente e vera. La fiaba accompagna l’uomo durante il percorso della sua vita, a incominciare dalla sua infanzia. Quello che ai tempi d’oggi si tende a dimenticare è che, con un’infanzia vissuta in maniera sana e felice, è molto più facile riuscire ad affrontare al meglio il resto della propria vita, con tutte le difficoltà che si possono incontrare.
Perché la fiaba dovrebbe essere un aiuto per vivere bene la propria infanzia? Perché ogni storia narrata può essere un insegnamento prezioso per la nostra esistenza. Gli insegnamenti non sono sempre piacevoli, dal momento che possono mostrarci i nostri difetti, facendoci così provare vergogna, o peggio rancore causato dallo spasmodico bisogno di proteggere il proprio orgoglio.
Per questo è importante non dimenticare mai la propria infanzia e, di conseguenza, il proprio passato. Nonostante le fiabe, le favole e le leggende siano nate in diverse epoche, la maggior parte degli ambienti in cui si svolgono gli eventi di ciascun racconto appartiene all’epoca medioevale, con i suoi grandi regni, imponenti castelli, piccoli orti, pacifici boschi, oscure foreste… Questa è una chiara dimostrazione di come l’uomo prenda, quasi sempre, come riferimento il passato, perché è da lì che possiamo apprendere ciò che ci serve per costruire il nostro futuro. Probabilmente è questo sentimento, oltre a quelli suscitati dai racconti stessi, a darci la sensazione di magia e di meraviglia che continuano a trasmettere quei tempi e quei luoghi.
Oltre a sensazioni meravigliose, questi luoghi, in particolare i boschi e le foreste, possono trasmettere anche sentimenti di altro tipo, come la paura, dovuti principalmente a situazioni non prevedibili e non invidiabili. Un esempio classico è la fiaba di Hänsel e Gretel: due bambini che sono stati abbandonati nel bosco e costretti a passarvi la notte, tra il buio e gli animali selvatici nascosti, per poi ritrovarsi in balia di una strega intenzionata a mangiarli.
Il bosco è senza dubbio un ambiente ideale per una fiaba, dal momento che raffigura non solo la bellezza della natura, ma anche il mistero e il potenziale pericolo che si nasconde dietro. In effetti, la fiaba tocca argomenti che comprendono sia il bene che il male. Anche questo fa parte dei suoi insegnamenti; come sappiamo, non sempre nelle favole c’è un lieto fine, ma questo dipende dallo svolgersi della storia, dalle scelte dei protagonisti, dalla morale che essa contiene. Questo ci porta a comprendere la durezza della realtà. Una realtà che fa male, ma che senza di essa non potremmo mai migliorare, andando avanti nel corso del nostro viaggio.
Spesso vorremmo che il nostro viaggio, fantastico o reale, sia infinito, in modo da potercelo godere sempre. Ma se esso non avesse una fine, quindi un obbiettivo, uno scopo, allora che senso avrebbe intraprenderlo? Per le emozioni e i sentimenti che fa nascere dentro di me? Forse mi farebbero sentir bene, ma non potranno mai realizzarmi fino in fondo.
Prendiamo, per esempio l’Odissea: Odisseo (Ulisse), dopo dieci lunghi anni di guerra sotto e dentro le mura di Troia, parte per ritornare nella sua patria (Itaca) e, nonostante abbia patito, sofferto e perso tutti i suoi uomini e abbia impiegato altri dieci anni per arrivarci, alla fine riesce a tornare. Non è stata l’esperienza del viaggio a mantenerlo in vita, ma la nostalgia della sua terra, l’amore per la moglie e il figlio, il richiamo della sua responsabilità di Re a raggiungere la sua agognata isola. È stato il suo obbiettivo (oltre all’intervento divino) a dargli la forza di riuscire nel suo tanto desiderato intento. Di certo, nessuno più di lui ha desiderato che il suo viaggio si concludesse con il ritorno nella sua tanto amata patria. I sogni sono vitalità e forza per le persone, ma dipende unicamente da esse se essi potranno mai diventare realtà.
Le fiabe ci insegnano questo: quali sono i nostri limiti, qual è il bene, qual è il male. C’è sempre da imparare, specie da una storia che, sia allegra e divertente che triste e paurosa, alla fine, racchiuda una morale che aiuti, grandi e piccini, ad affrontare la vita, secondo le virtù e la giustizia.
«E tutto finisce in scrittura, nella scrittura – qui – di una fiaba che inanella congiunzioni. Perché è poi questo il senso profondo della fiaba e – tuttavia, non solo della fiaba –, ossia avere cura dei dettagli, e da un dettaglio costruire un mondo, e sia pure piccolo mondo. Ma un mondo che si contiene nella ruvida lingua di un gatto, un mondo-luogo dove le cose importanti si incontrano, e fanno catena, e fanno racconto, e nuotano nell’acqua del destino»[2].
[1] Giovanni Tesio, Preamboli, Edizioni di SMENS Gaglianico (BI), 2022, p.13
[2] Giovanni Tesio, Preamboli, Edizioni di SMENS Gaglianico (BI), 2022, pp.84-86