Occhi buoni e… occhio a quello che si guarda

Home » Occhi buoni e… occhio a quello che si guarda

 

Tra i detti del Signore Gesù, riportati dall’evangelista Matteo e da Luca, ve n’è uno che riguarda il senso della vista. Può sembrare una cosa di poco conto, ma se il Signore ne parla, non lo è. Leggiamo la versione di Luca: «La lucerna del tuo corpo è l’occhio. Se il tuo occhio è sano, anche il tuo corpo è tutto nella luce; ma se è malato, anche il tuo corpo è nelle tenebre. Bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra. Se il tuo corpo è tutto luminoso senza avere alcuna parte nelle tenebre, tutto sarà luminoso, come quando la lucerna ti illumina col suo bagliore» (Lc 11,34-36).

A prima vista (scusate il gioco di parole) sembra che non vi sia alcuna connotazione etica nel detto appena letto: l’essere nelle tenebre o nella luce dipende automaticamente da quello che guardi. Non si parla qui di fede in Cristo, di opere meritorie, di sforzi, di buoni samaritani. No, come un automatismo: se guardi cose pure e buone dentro di te ci sarà lo splendore, se invece l’occhio è malato, in te ci sarà l’oscurità totale.

Ci sono qui due livelli di lettura, a mio parere. Il primo, materiale, riguarda la visione delle cose buone che ci sono nella creazione, il riempirsi cioè il più possibile gli occhi di figure positive, belle, che corrispondono all’ordine della natura e alla bellezza del creato. Tutti proviamo infatti un senso di benessere se ci fermiamo a contemplare un tramonto mozzafiato sul mare, il cielo stellato di certe notti africane, se ammiriamo inviolate cime dolomitiche, o anche semplicemente un bel fiore nel campo, l’interno di una cattedrale romanica, la facciata di un palazzo antico… Allo stesso modo sentiremo un certo malessere se ci riempiamo gli occhi di spettacoli violenti, brutali, disarmonici, inquietanti. Un corollario etico di questo primo livello è l’indulgere in cose che ci sembrano belle all’inizio, ma che in realtà veicolano disordine e peccato, e questo può essere il caso della malizia con la quale possiamo guardare immagini oscene e il triste fenomeno della pornografia, che ai nostri giorni è devastante. Se cadiamo in questo vizio è perché all’inizio l’istinto della curiosità morbosa ci vince, ma poi il frutto che rimane è sempre intossicato e velenoso.

Dunque, possiamo sforzarci a guardare il più possibile, in questo primo livello “meccanico”, le cose buone del creato. Ecco perché i monaci costruiscono le loro case religiose in luoghi incantevoli, e ornano gli interni, le celle, le stanze e i corridoi, con immagini sacre, riposanti, luminose. Se poi hanno rinunciato agli schermi moderni (è possibile vivere senza, non c’è dubbio) quali televisione, computer e smartphone, allora non hanno occasione di incamerare immagini negative. Il loro occhio è quindi sempre squisitamente puro: va da sé che l’interno sarà tutto luminoso. Non bisogna essere monaci per vivere questa purezza interiore: basta volerlo. Le scelte di vita sono sempre nostre, e dipende da noi che uso vogliamo fare della nostra lucerna che è l’occhio.

Il secondo livello di lettura ci viene dalla considerazione lapidaria che san Giovanni fa nella sua prima Lettera: «Dio è luce» (1 Gv 1,5). Dunque, se Dio è luce, la matematica ci dice che luce è Dio. Non intendiamo qui il fenomeno fisico dei fotoni e dell’energia elettrica, ma quel qualcosa che ti permette di vedere. Se Dio è quel “qualcosa”, dobbiamo allora dedurne che se Egli è presente, noi vediamo la realtà per quello che è, mentre se Egli è assente, noi non vediamo un fico secco perché siamo immersi nelle tenebre. Dunque, è Dio che ci fa conoscere le cose nella loro vera essenza, ed ecco perché senza la fede è difficile capire come funzionano le cose del mondo, e lo è perché non le vediamo! Le vediamo, sì, nella loro esteriorità, e possiamo anche descriverle, ma non le “vediamo” nella loro verità ultima, che può dare solo laddove è presente la Verità che illumina tutto.

Davvero impressionante questa definizione, che san Giovanni mette addirittura prima dell’espressione «Dio è amore», che si trova tre capitoli più avanti (1 Gv 4,8). Già, perché se Dio è luce, egli mi permette di vedere prima di tutto Lui stesso! Non lo vedrò con gli occhi, naturalmente, ma con l’anima, con i sensi interiori, e precisamente con la fede. Quindi se ad un cristiano vero noi domandiamo: “Tu hai mai visto Dio?” egli vi risponderà: “Certo! Ho fede! La mia anima lo vede sempre!”.

La grande rivelazione cristiana ci porta poi a specificare e a salire di un gradino. Ad un certo momento Gesù, davanti a tutti, esclama: «Io sono la luce!» (Gv 8,12). Dunque, tutta la luce si concentra in Dio che è Gesù, nella sua persona fisica. Qui tanto meno possiamo confondere il concetto di luce di Dio con fotoni e quanti energetici: abbiamo davanti la persona di Gesù, vero uomo e vero Dio, e dobbiamo credere che senza di Lui non possiamo né capire né vedere le cose nella loro essenza. E come è possibile allora rifiutare il Cristo senza condannarsi all’incomprensibilità del mondo e alla confusione interiore più totale?

Lo possiamo constatare facilmente. Ci sono dei saggi, degli studiosi, dei professori universitari atei e avversi alla Chiesa, che sanno tante cose imparate sui libri, ma non sanno capire perché il bene porti benessere e la cattiveria malessere, non sanno spiegare come mai san Massimiliano Maria Kolbe muoia pregando e salmodiando con occhi splendenti nella buia cella di Auschwitz. Una vecchietta di terza elementare, ma di sicura fede, invece lo saprebbe spiegare, perché ella è piena di luce interiore, dal momento che va a Messa tutti i giorni e si nutre letteralmente di Colui che ha detto di essere la luce.

Ma, udite udite, si arriva alfine al paradosso, al vero colpo di fulmine. Parlando alle folle, a dei semplici fedeli, Gesù afferma: «Voi siete la luce!» (Mt 5,14). Come, noi poveri uomini siamo i portatori di quella luce che permettere di conoscere le cose nella loro essenza e verità ultima? Sì, siamo noi, discepoli, credenti, anche se deboli e fragili creature inclini al peccato. Ma il processo è semplice: Dio ci vuole fare partecipi della sua vita e della sua natura, quindi ci riempie di sé e noi, senza nemmeno accorgercene, illuminiamo la scena del luogo nel quale viviamo.

Ma, appunto perché siamo peccatori, dobbiamo tornare all’inizio del discorso e prendere sul serio, alla lettera, il problema di quello che guardiamo con gli occhi. Se ci riempiamo di sozzerie, non illudiamoci di essere luminosi, efficaci, veritieri: piomberemo nelle tenebre e oscureremo il mondo intero.

Occhio (è il caso di dirlo), dunque, a quello che guardate.

Il massimo allora è il credente che riempie gli occhi di cose pure e belle, e in più si nutre di Cristo che è luce. Questo è il santo. E infatti, come si raffigura il santo nell’iconografia comune? Con un’aureola attorno al capo. Mentre erano in vita, nessuno Francesco d’Assisi o Caterina da Siena con l’aureola, ma ora da morti, per ricordarli, li dipingiamo con questo alone di luce attorno al capo per riconoscere che quegli uomini e quelle donne erano veramente di teofori, dei “portatori di Dio”.

La santità dunque viene da Dio, ma si mantiene attraverso la vista.

Allora… hasta la vista!

 

 

Facebook
WhatsApp
Twitter
LinkedIn
Stampa
Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Mettiti in contatto con noi!

Hai delle domande o delle osservazioni da comunicarci?
Ti risponderemo il più rapidamente possibile!

Europa Cristiana

Direttore Carlo Manetti

Iscriviti alla nostra newsletter

Se ci comunichi il tuo indirizzo e-mail, riceverai la newsletter periodica che ti aggiorna sulla nostre attività!

Ogni settimana riceverai i nostri aggiornamenti e non di più.

Torna in alto