Thomas Pormort appartiene alla folta schiera di martiri cattolici inglesi, uccisi al tempo dell’affermazione, nell’isola della Chiesa nazionale anglicana, dello strappo fra il re Enrico VIII ed il Romano Pontefice. Il ricordo di questi numerosi eroici testimoni della fede non andò perduto e parecchi di essi sono stati elevati agli onori degli altari dai papi tra l’Ottocento ed il Novecento. Tra essi proprio Thomas Pormort, che fu beatificato da Giovanni Paolo II il 22 novembre 1987 insieme ad altri 84 compagni di martirio.
Con l’ascesa al trono di Elisabetta I, nel 1559, con l’Atto di Uniformità, fu proibita la Messa cattolica (detta «la Messa papista!») e furono imposte agli Inglesi le eresie luterane e calviniste e venne proclamato che il Cattolicesimo era stato solo un coacervo di superstizioni e di invenzioni idolatriche. Con implacabile odio anticattolico, Elisabetta rese obbligatorio, sotto gravissime pene, la partecipazione al nuovo culto anglicano stabilito da Cranmer. Ciò significava la più grande disgrazia per i Cattolici: non poter più partecipare al Sacrificio del Signore e alimentarsi di Lui, vittima immolata al Padre per la salvezza del mondo.
I vescovi «recusanti», ancora fedeli a Roma, furono sostituiti con altri più docili alla Regina, mentre sempre più numerosi sacerdoti e fedeli finirono in carcere, presto destinati al patibolo. Iniziava così l’era dei martiri d’Inghilterra e il sangue dei cattolici prese a bagnare il suolo britannico. Nel 1568, il futuro Cardinale Guglielmo Allen (1532-1594) aveva fondato a Douai, poi Reims, in Francia, un Seminario per la formazione di giovani sacerdoti da inviare nella loro patria, l’Inghilterra, a convertire gli Anglicani. Allo stesso modo, nel 1578, il Collegio Inglese di Roma, auspice sempre l’Allen, fu trasformato in Seminario per il medesimo fine.
I sacerdoti formati in questi seminari, nelle congregazioni e negli ordini religiosi, in primo luogo nella giovane Compagnia di Gesù, fondata da Sant’Ignazio di Loyola, imbarcandosi per l’Inghilterra, già sapevano che cosa li aspettava, a volte allo stesso loro approdo e dopo pochi mesi di apostolato clandestino: il martirio nel modo più atroce. Il Collegio Inglese di Roma si meritò presto il titolo glorioso di Seminarium Martyrum, Seminario dei martiri. La strada che portava da Roma a Reims e alla terra inglese, diventò «la strada del martirio».
Elisabetta I odiava soprattutto questi Seminary priests, rotti a tutte le fatiche, pronti a immolare le loro giovinezza per assicurare ai cattolici inglesi il tesoro più sublime che è il Santo Sacrificio della Messa.
Primo martire fra loro, fu padre Cutberto Mayne, scoperto nel 1577 e impiccato il 30 novembre dello stesso anno. Impossibile scrivere tutti i nomi santi di costoro: viaggiavano in tutte le parti del Regno, predicando, confessando, celebrando la Messa nelle case dei cattolici dove si davano appuntamento gruppi di fedeli altrettanto eroici.
Quando la Messa veniva celebrata, i fedeli trovavano la forza di affrontare qualsiasi difficoltà, anche le torture più atroci, se erano scoperti insieme ai loro sacerdoti. Intanto, Elisabetta I mobilitava spie e sgherri a caccia dei “papisti”, colpevoli di un solo grande delitto: di essere sacerdoti e di offrire il Santo Sacrificio della Messa; oppure, se laici, di rimanere cattolici e di partecipare al medesimo Sacrificio.
Thomas Pormort nacque verso il 1560 a Little Limber nel Lincolnshire dai genitori Gregorio ed Anna. Dopo aver frequentato il Trinity College di Cambridge, si trasferì all’estero per intraprendere gli studi ecclesiastici: il 15 gennaio 1581 giunse a Reims in Francia, ma dal maggio seguente fu inviato al Collegio inglese di Roma, ove ricevette l’ordinazione presbiterale sei anni dopo in Laterano.
Nel marzo 1588 lasciò il collegio e per un certo periodo servì Owen Lewis, vescovo di Cassano, nel regno di Napoli. Questi lo mandò prima a Milano e poi in Inghilterra, qui a Londra Thomas conobbe e strinse amicizia con san Robert Southwell, nonostante a Roma non avesse mai legato particolarmente con i Gesuiti. Trovò rifugio nella parrocchia di San Gregorio presso il merciaio John Barwys, che riuscì a riconciliarsi con la Chiesa. Il Pormort utilizzò per mascherare la sua identità tre diversi pseudomini: Whitgift, Meres e Price.
Nonostante tanti accorgimenti, fu comunque arrestato nel mese di luglio del 1591 in seguito alla testimonianza contro di lui da parte del sacerdote apostata William Tedder, già suo compagno di studi al Collegio inglese di Roma. Thomas riuscì ad evadere, ma fu nuovamente catturato in settembre ed imprigionato. Fu inoltre torturato nell’abitazione del famigerato Topcliffe, «cacciatore di preti», ove era stata allestita un’illegale camera di tortura.
L’8 febbraio 1592 Thomas Pormort venne processato insieme con John Barwys e per entrambi fu emessa la sentenza di condanna a morte. Il Barwys venne infine graziato, mentre il sacerdote fu giustiziato sul sagrato della St. Paul’s Churchyard il 20 febbraio.
1 commento su “L’odio di Elisabetta I per i Seminary priests”
… e quindi, questi ‘seminary priests’, martiri, si sono fatti ammazzare per una causa che oggi non ha più senso, per la stessa chiesa che quella causa chiedeva di difendere fino al martirio del sangue: in compenso – per scusarsi?- questa stessa chiesa li eleva agli onori degli altari, che in realtà non esistono più – e quindi che senso hanno quegli onori? – per essere stati, anche da questa chiesa, aboliti in conformità agli stessi principi che quella causa hanno privato di senso!