L’affresco Il Trionfo del nome di Gesù, dipinto sulla volta della navata della Chiesa del Gesù a Roma, è un capolavoro celeberrimo e da sempre celebrato e riconosciuto come una delle opere monumentali più importanti del periodo tardo Barocco a Roma, impresa insuperata dell’artista genovese Giovan Battista Gaulli (Genova 1639 – Roma 1709), detto il Baciccia (o Baciccio).
Questa imponente opera fu commissionata dal Cardinal Francesco Negrone, anch’egli genovese, allora titolare di Santa Maria del Gesù. Per portarla a termine, ci vollero 5 anni (1674-79) di alacre lavoro dell’artista con la preziosa collaborazione di eccellenti personalità dell’arte scultorea di allora: Antonio Raggi e Leonardo Reti che realizzarono il complesso sistema di stucchi.
Di questa illusionistica meraviglia barocca si è detto tutto, le informazioni che si trovano sono complete e dettagliate, ma pochi conoscono il bozzetto dell’opera esposto alla Galleria Spada a poca distanza dalla chiesa del Gesù.
Conoscerlo è forse il tassello mancante per completarne la comprensione.
Questo enorme affresco, anche ammirandolo dal vivo, ha una struttura così potente e vorticosa che la meraviglia può prevaricare la lettura esatta dei vari elementi che lo compongono, la pittura e la scultura infatti, si intersecano con una tale continuità, che queste due forme d’arte a servizio di un unico progetto organico si fondono in una armonia così perfetta che non si percepisce dove finisca la pittura e inizi la scultura o viceversa.
Osservando il bozzetto, un dipinto a olio di grandi dimensioni (cm 179,5 x 120) si distingue perfettamente il confine dell’affresco vero e proprio che esce dal cornicione della volta in un effetto trompe l’oeil e si allarga sul soffitto a cassettoni, e si vede che anche le ombre sono dipinte e non prodotte da corpi solidi.
I Gesuiti richiesero, come di prassi per le opere monumentali, il progetto prima di approvare l’opera, che rispose appieno alle aspettative, con il trionfo al centro, come un sole, del monogramma di Cristo, emblema della compagnia di Sant’Ignazio. Da questa potente fonte di luce, secondo un preciso ordine morale, le allegorie del peccato, delle eresie, della vanità si allontanano e vengono dipinte in contrasto con toni lividi e in ombra. Dalla luce abbagliante del cielo e le figure traslucide immerse nel chiarore divino, ai corpi solidi e pesanti su nuvole scure con le loro ombre proiettate (ma in realtà dipinte).
Grazie al cardinal Fabrizio Spada questo capolavoro di ideazione si trova custodito in questa preziosa galleria. Vederlo e contemplarlo svela che la grandezza dell’opera monumentale non è solo nella sua dimensione, ma nella perfezione della fase progettuale che rimane il primo e più sincero pensiero dell’artista.