Si può affermare, senza tema di smentita, che l’Europa nasca, nella sua compiutezza, dall’incontro tra il monoteismo ebraico, nella sua “interpretazione autentica”[1] portataci da Nostro Signore Gesù Cristo, la filosofia greca (aristotelica, in modo particolare) ed il diritto romano.
Il termine Europa viene utilizzato in senso geografico e politico, per la prima volta, per indicare l’Ellade, identificata come patria della libertà, in antitesi alla Persia ed al suo Impero, visti come la quintessenza dell’oppressione e di quello che, oggi, chiameremmo «regime totalitario». Più che l’idea di una civiltà distinta e più ampia, di cui quella ellenica è unicamente parte, si usa questo termine quasi come una restrizione enfatica[2] di quello di Grecia, intesa unicamente sotto il profilo della libertà politica.
Questa idea di libertà, di superiore libertà, rispetto a quella goduta in tutto il resto del mondo, non è legata al concetto di democrazia e, quindi, ristretta alle città-Stato che adottano tale regime, ma è caratteristica dei Greci e di tutte le loro organizzazioni politiche, comprese quelle aristocratiche e quelle tiranniche. La maggiore libertà greca, quindi, non è assicurata da uno specifico regime politico, ma dalla cultura e dall’etica elleniche, che non tollerano che il detentore del potere politico, comunque selezionato, varchi alcuni limiti. Questo concetto è ancora informe, fluido, privo di tutta la dimensione giuridica e dotato di una dimensione filosofica poco più che accennata, si pensi, ad esempio, all’Antigone (442 a.C.) di Sofocle (496-406 a.C.). Sarà, come vedremo, con l’avvento del Cristianesimo che questi limiti assumeranno contorni precisi.
L’avvento del Messia comporta, inevitabilmente, la fine del privilegio razziale ebraico («E saranno benedette per te e per la tua discendenza tutte le nazioni della terra»[3]), strumento che la divina Provvidenza ha individuato per preservare la Fede del Popolo eletto, fino alla nascita della Chiesa. Essa è il nuovo ed eterno Israele, cui non si accede più per la nascita, come nell’antico (Israele della carne), ma attraverso il battesimo, senza più distinzione di stirpe (Israele dello spirito). Questo ha comportato la necessità di addivenire a strumenti filosofici e giuridici, che non si erano rivelati indispensabili fin tanto che la Storia della Salvezza era rimasta racchiusa all’interno del popolo ebraico. E questi apporti filosofici vengono dal mondo greco, mentre quelli giuridici da quello romano. La Rivelazione, in senso stretto, è, ovviamente, di provenienza integralmente ebraica, in quanto è compimento e perfezionamento di quella che, attraverso i patriarchi ed i profeti, ha costituito la storia del popolo di Israele. Tutto ciò, cui la ragione umana non sarebbe mai potuta giungere con le proprie forze, Dio lo rivela attraverso il popolo ebraico.
Quello cui la ragione umana sarebbe potuta giungere, come infatti è giunta, da sola, a comprendere, è stato compreso, sul piano filosofico, dal mondo greco e, sul piano giuridico, dal mondo romano. Non per nulla, i Padri della Chiesa, soprattutto per quanto concerne la filosofia greca, parlano di una quasi rivelazione, proprio per sottolineare l’importanza e l’indispensabilità della philosophia perennis, nel campo dei cosiddetti preambula Fidei[4].
Il Cristianesimo, quindi, abbracciando e coinvolgendo tutta la persona, viene ad assumere una grande rilevanza anche sul piano politico e, più in generale, della vita associata, pur non essendo portatore di alcuna dottrina politica specifica, proprio perché i suoi principi si collocano sul piano della perennità e non possono, dunque, essere legati ad una specifica struttura e/o organizzazione politica, che, per definizione, sono contingenti e destinati ad essere soppiantati da altre nel corso della Storia. La rilevanza della Fede in Gesù Cristo si pone, quindi, sul piano dei principi perenni, sia di filosofia che di diritto; non si tratta tanto di novità contenutistiche, quanto dell’averle assemblate alla luce della Fede, rendendole stella polare al vivere civile, imprescindibili, se non a patto di una regressione nella barbarie di una politica priva di ogni orizzonte etico, come la storia seguita alla cosiddetta Riforma protestante e, in modo particolare, all’Illuminismo sta tragicamente a dimostrare.
Accanto alla filosofia greca, grande importanza riveste la concezione romana del diritto. I romani possono e debbono essere consideratigli inventori del diritto. Ad un’affermazione tanto perentoria, qualcuno potrebbe obiettare che leggi ed ordinamenti giuridici esistevano già prima della fondazione dell’Urbe (21 aprile 753 a.C.). L’obiezione riporta un fatto vero, ma assolutamente irrilevante: per tutti i popoli dell’antichità, ad eccezione degli eredi di Romolo, il diritto non aveva una sua rilevanza autonoma, ma era unicamente uno strumento nelle mani del detentore del potere politico per imporre la propria volontà all’interno dello Stato.
Discorso a parte deve essere fatto per gli ebrei, presso i quali la derivazione divina della base dell’ordinamento giuridico rendeva l’arbitrio del capo politico molto più limitato, anche se crescente, soprattutto dopo l’instaurazione della Monarchia. Ma solo i romani hanno una concezione del diritto come scienza e non come atto di volontà.
Per i romani tutta la natura è regolata dal diritto naturale, di cui le norme umane debbono essere applicazione concreta alla singola fattispecie storica; il diritto non è, quindi, in questa concezione, un atto di volontà del detentore del potere legislativo, ma un atto di scienza, vale a dire un atto della ragione, che, interpretando il diritto naturale, elabora la norma che meglio può ricondurvi la situazione che deve essere regolamentata. Presso tutti gli altri popoli, il legislatore può emanare la norma che vuole, mentre, presso i romani, è tenuto ad applicare il diritto naturale e, quando non lo fa, compie un atto contra jus.
Questo principio ha guidato i legislatori europei fino all’avvento della Riforma protestante e, a maggior ragione, fino all’avvento dell’Illuminismo e del conseguente Positivismo giuridico, che ci ha riportati alla barbarie dell’arbitrio volontarista pre-romano.
[1] Per l’interpretazione autentica, si intende, nel linguaggio giuridico,l’interpretazione di una norma data dallo stesso ente che l’ha emessa.
[2] Per restrizione enfatica, deve intendersi la figura retorica che utilizza un termine generico per indicare un significato più specifico, restringendo,quindi, il concetto in maniera assolutamente arbitraria, con esclusione dalla qualifica più generica di tutti coloro che non posseggono quella più specifica. Esempio classico è l’affermazione «chi si comporta in questo modo non è un uomo», che richiede, quindi, per far parte dell’umanità, caratteristiche etiche evidentemente non essenziali ad essere parte integrante del genere umano. La restrizione enfatica, normalmente, pone il concetto più ristretto ad un livello, intellettuale, etico o spirituale, più elevato rispetto a quello generico.
[3] Gen 28,14
[4] Così San Tommaso d’Aquino definiva quelle verità, cui è possibile aggiungere con la ragione umana e che, quindi, non necessitano del dono della Fede per essere conosciute, che sono, però, indispensabili per poter accogliere i contenuti della Fede stessa.
4 commenti su “L’Europa nasce dal Monoteismo ebraico, dalla filosofia greca e dal diritto romano”
Perché chiamare “monoteismo ebraico” il cristianesimo?
Parlo di monoteismo ebraico, nella sua “interpretazione autentica” portataci da Nostro Signore Gesù Cristo. Affermo, quindi, sulla scorta dei Padri della Chiesa, che il Cristianesimo è il compimento della Rivelazione iniziata con Abramo. Affermo, dunque, che il Cristianesimo è il vero Ebraismo e che il Giudaismo è una devianza anche nell’interpretazione dell’Antico Testamento. La Chiesa è il vero Israele, quello dello Spirito. Non esiste contraddizione tra l’Ebraismo ed il Cristianesimo, mentre esiste contraddizione tra l’Ebraismo ed il Giudaismo. Affermare il contrario è fare l’errore di Giovanni Paolo II, che ha definito gli ebrei, ma, di fatto, i seguaci del Giudaismo, «nostri fratelli maggiori», quasi a riconoscere l’inesistente continuità tra l’Ebraismo veterotestamentale ed il Giudaismo; ripeto, tale continuità esiste solo con il Cristianesimo.
Detto questo esiste anche l’innegabile fatto che tutta la Rivelazione, in senso stretto, avvenga in ambiente ebraico: Antico Testamento, Nostro Signore Gesù Cristo e gli Apostoli. Questo non fa che confermare, anche sul piano storico, la perfetta continuità tra l’Antico ed il Nuovo Testamento. L’affermazione, di per sé corretta, «Dio non si rimangia le Sue promesse» non significa che il Giudaismo sia una via parallela di Salvezza, ma che il Giudaismo è il tradimento dell’Ebraismo e delle promesse di Dio.
La rivelazione è proseguita fuori dall’ambiente ebraico, basti ricordare la dichiarazione dell’Immacolata Concezione fatta da Maria stessa a Lourdes, dove gli arei sono presenti con il “monopolio” delle bancarelle che vendono oggetti sacri ai pellegrini.
La Rivelazione si conclude con la morte di San Giovanni Evangelista, l’ultimo degli Apostoli. Dopo tale data nulla può più essere aggiunto. Lo stesso esempio che Ella cita, vale a dire la «dichiarazione dell’Immacolata Concezione fatta da Maria stessa a Lourdes», conferma quanto detto. L’apparizione mariana, infatti, viene a confermare una verità già creduta dalla Chiesa e, quindi, già parte della Rivelazione; nel caso di specie, poi, l’apparizione avviene, addirittura, dopo la proclamazione stessa del dogma, quasi a ribadire la verità de Fide, secondo la quale le rivelazioni private (e tutte le apparizioni sono rivelazioni private) nulla possono aggiungere o togliere alla Rivelazione pubblica, che è già completa.
In principio sopra esposto, secondo il quale le apparizioni non possono contraddire o aggiungere nulla alla Rivelazione, è tanto pacifico nella bimillenaria dottrina della Chiesa che è posto come primo criterio di veridicità di un’apparizione: se l’apparizione contiene solo conferme della Rivelazione, l’esame della sua veridicità può proseguire; se, invece, vi sono contenuti estranei alla Rivelazione, l’apparizione è certissimamente falsa.