Siete mai stati in Valle di Gressoney? Poche delle nostre valli sono belle come questa valle magnifica, dominata dal massiccio del Monte Rosa e variata da stupende abetaie e da picchi giganteschi. Nel mezzo scorre un fiumicello, che, forse per la bianchezza delle sue acque, porta un delicato nome floreale. Si chiama Lys, il giglio.
Se voi guardate intorno, troverete che tutte le rupi sono qua e là rigate da rivoli d’argento: acque che scendono dai ghiacciai, meravigliose fontane che sgorgano dalle viscere della montagna; tutta la vallata canta, mormora, leva al cielo a cento a cento le sue liquide voci sinfoniali.
I villeggianti, che d’estate si spingono in su nelle loro escursioni, possono fermarsi da per tutto, su per le cime e in mezzo ai boschi, sicuri di trovare una fontana a cui dissetarsi.
E ognuna di quelle fontane ha una storia: è il dono di una fata.
Fontanachiara è una di queste sorgenti d’acqua freschissima, ed ecco la sua storia.
Un giorno due bambini della valle, che si erano inoltrati in una pineta per cercar fragole, si smarrirono. Avevano perduto il sentiero attraverso il quale erano saliti e, dovunque tentassero una via per ritornare a casa, se la trovavano sbarrata da profondi precipizi.
In alto, vedevano passare a coppie le aquile nere che andavano a caccia.
Spaventati da quella solitudine, i due bimbi si misero a piangere. Improvvisamente in mezzo ai pini videro balenare qualche cosa di luminoso: era una donna che si avanzava verso di loro in atteggiamento gentile. Era giovane, bella come l’astro della sera: i suoi capelli come l’oro svolazzavano leggiadramente sopra una tunica verde tempestata di fiori, i suoi occhi erano profondi come il cielo dietro le balze alpine.
Si avvicinò ai due bimbi smarriti e, prendendoli per mano, si mise ad interrogarli con affettuosa sollecitudine.
«Che avete, piccini? Come mai vi trovate soli qua nel bosco?»
I due bimbi, incantati da quella meravigliosa apparizione, non riuscirono a trovar parole per rispondere.
«Seguitemi.» disse la fata; e si mise a camminare davanti a loro.
Pareva che dinanzi ai suoi passi le rupi si aprissero e gli alberi s’inchinassero.
Li fece entrare in una grotta, e i bimbi improvvisamente si trovarono in una sala sfolgorante di luci. In mezzo era imbandita una tavola con piatti d’oro, nei quali facevano mostra appetitosa le più squisite vivande.
I bimbi mangiarono, perché avevano fame, ma rimanevano ancora, nell’aspetto, smarriti. Allora la fata li accompagnò davanti ad una fontanella che sgorgava tra il musco e il capelvenere e, immerse nell’acqua cristallina le sue belle mani, lavò il loro viso.
Effetto prodigioso! Al tocco di quell’acqua i bimbi si sentirono subito liberati da ogni paura. Sembrava che avessero bevuto un liquore inebriante.
Quando, ricondotti sul sentiero diritto, ritornarono al villaggio, i parenti, che già si accingevano ad andarli a rintracciare su per la montagna, rimasero stupiti. Il viso dei bimbi splendeva come circondato da un’aureola.
«Dove siete stati? Che cosa avete visto sulla montagna?»
I bimbi narrarono tutto:
«Una bella fata ci ha accompagnati nella sua grotta d’oro e poi ci ha lavato il viso in un’acqua meravigliosa.»
La notizia sia sparse in un attimo per tutto il villaggio. Tutti volevano sapere come e dove i bimbi avevano il visto la fata e dove si trovava la fontana, la cui acqua produceva quegli effetti prodigiosi.
Poiché dai bambini non si poté sapere di più, i valligiani pensarono di rimandare ancora una volta i piccoli verso la montagna.
«Se vedete ancora la fata» suggerivano loro «ditele che faccia dono anche a noi della bella acqua che ha lassù.»
I bimbi andarono e, giunti nel bosco dove avevano incontrato la fata la prima volta, si misero a chiamare.
La fata apparve più bella che mai.
«Che volete ancora da me, piccini?»
«Bella fata» dissero i bimbi «quelli del paese pregano di fare scendere fino a valle l’acqua di quella meravigliosa fontana con la quale l’altra volta ci hai lavato il viso.»
«Su, venite con me» rispose la fata «portiamo insieme l’acqua giù nella valle.»
Prese una verga di castagno, la immerse sulla terra, si mise a correre coi bimbi verso la valle come un nastro d’argento.
Giunta a valle, in un luogo dove sorgeva un grosso macigno, la fata si arrestò; piantò in terra la bacchetta, e un getto d’acqua luminosa sgorgò dal terreno. Poi lei, con le mani, plasmando il macinio come fosse creta, ne foggiò un sedile, vi si pose a sedere tutta felice e stette per qualche tempo a veder come il getto d’acqua, fatta una larga pozza, scendesse verso il Lys, e come i due bambini, con le mani immerse nella corrente, si divertissero a giocare. E intanto cantava in modo così melodioso, che i paesani corsero a vedere. Ma le fate non si fanno scorgere che dai bambini innocenti, e non appena gli uomini del paese giunsero, la bella creatura di Fontanachiara dileguò.
Però anche oggi le acque refrigeranti della sorgente fatata sgorgano dalla terra, e là vicino è ancora macigno forgiato a sedile, dove chi si siede sente dentro di sé una intensa felicità.
Ma non tutte le fontane della vallata sono dono della fata benefica. A Gressoney esiste un’altra fontana che i paesani chiamano Fontana della Carestia. Di solito questa fonte è scarsa d’acque, ma quando esse diventano copiose, i paesani corrono in chiesa a pregare. Alla copia delle acque di quella fontana risponde una triste annata di carestia.
Tra le montagne della Valle d’Aosta ci sono storie che sono sempre state raccontante lungo il corso del tempo. Le vecchie nonne, infatti, le narravano sedute sulle loro sedie a dondolo, prima ai loro figli e poi ai loro adorati nipotini, mentre stavano tutti accanto al fuoco del caldo caminetto. Una di queste storie è, appunto, «Fonatanachiara».
Il luogo in cui è ambientata questa leggenda è, dice il racconto stesso, la Valle di Gressoney (o Gressoney-Saint-Jean) e si trova nella Valle d’Aosta orientale, ai piedi del magnifico e possente Monte Rosa. Il comune possiede pochi abitanti (824), ma è anche un luogo di villeggiatura molto rinomato, sia per l’estate che per l’inverno. Questo è dovuto non solo per la possibilità di respirare aria fresca e pulita o di sciare o di fare scampagnate, ma anche per l’incredibile atmosfera che regna in questo angolo di pace e di ristoro fisico e spirituale.
È difficile trovare un significato unico e concreto per il nome «Gressoney», a causa dell’evoluzione dei diversi idiomi che si sono intrecciati e sviluppati nella sua valle. Tra i vari significati, troviamo:
Piana dei crescioni (Chreschen-eye)
Grande ghiacciaio (Grossen-eys)
Uovo depositato fra i crescioni (Chreschen-ey)
Come si può notare, in ciascuno di questi lemmi c’è un chiaro riferimento alla natura. La sua bellezza emette qualcosa di talmente potente e travolgente, da far sembrare che ci siano presenze sovrannaturali. Infatti, alla fine, tale bellezza viene messa sotto la protezione di San Giovanni, al quale viene affiancato il nome della valle nel 1939.
Sono i luoghi unici come questo, in mezzo alle montagne, ai torrenti e ai laghi, a farti apprezzare al meglio la natura. E sono anche, senza ombra di dubbio, grandi ispirazioni per narrare storie, per i piccini, affinché li aiuti a crescere, e per i grandi, affinché li aiuti a far crescere i propri figli.