Quest’anno ricorre il centenario della Scuola d’Arte, poi Istituto d’Arte, oggi Liceo Artistico Felice Faccio di Castellamonte e, per celebrarlo, dal 20 agosto all’11 settembre 2022 sarà possibile visitare la 61ª edizione della Mostra della Ceramica di Castellamonte. Al di là della sua evoluzione nella direzione da un taglio più professionalizzante ad uno più propriamente “liceale”, l’aspetto comune al trascorrere del tempo è l’attenzione all’arte, in specie all’arte ceramica, di cui Castellamonte è sede eminente. Il liceo offre anche altri indirizzi di studio (grafica, architettura, moda), ma la ceramica è l’elemento caratterizzante, tant’è vero che manca negli altri licei artistici dell’intera regione e di quelle confinanti: il più vicino liceo artistico per la ceramica si trova a Faenza. L’occasione si presta per fare emergere qualche pensiero sull’arte.
Una domanda si propone come preliminare: che cos’è l’arte? Un breve articolo non ha la pretesa di entrare nelle pieghe di una domanda fondamentale della filosofia, ma, quanto meno, si augura di fornire una pista di riflessione. Può essere ritenuto di senso comune che l’arte sia la realizzazione del bello. Questa, però, più che una risposta è una traslazione della domanda. L’uomo si interroga su cosa sia il bello da quando è apparso sulla terra e l’estetica, su cui sono stati spesi secoli di riflessioni, è appunto il tentativo di rispondere nel modo più completo e comprensibile alla domanda. Se proviamo a semplificare, ponendoci con onestà intellettuale al di là di eventuali condizionamenti e giustificazioni, possiamo convenire che il bello è la proiezione del vero metafisico sul sensibile; si pone, perciò, in posizione di ponte e le sue due estremità motivano la sua natura.
Il fatto che il bello derivi dal vero comporta che il giudizio di bellezza non è un arbitrio assoluto, ma deriva da un fatto intrinseco al giudicato. Questo è impossibile da darsi, se non si ammette, meglio non si riconosce, l’esistenza di un elemento che si autoimpone alla ragione e che è recepibile dal fruitore che disponga di una coscienza ben formata. Non possiamo avere la pretesa di definire il bello all’interno dei confini dell’estetica, in analogia all’impossibilità della pretesa di definire il giusto all’interno dei confini del diritto positivo, come anche un giuspositivista come Hans Kelsen (1881-1973) è costretto ad ammettere.
Da un lato, quindi, il bello è riproduzione del vero e si radica nel concetto, ma dall’altro si pone come realtà sensibile, percepibile dai sensi del fruitore. Nella sua dimensione metafisica è universale e nella sua dimensione sensibile è particolare. La proiezione sensibile, poi, si compone di un aspetto oggettivo, che è la materialità dell’opera d’arte, e di uno personale, che è la percezione che il fruitore ne trae.
Il fatto che il bello si proietti sul sensibile comporta che emergano le differenze tra i giudizi dei singoli fruitori. Questi sono persone, cioè esseri umani da prendersi nella loro completezza. L’aspetto individuale non è scindibile dall’immersione della persona nella sua storia, che è tempo, e nella sua geografia, che è spazio.
D’altra parte qualunque cosa venga percepita a livello sensibile ha un’estensione temporale ed una spaziale: anche la stessa opera d’arte. Uno degli elementi che concorrono a rendere un’opera bella è, appunto, la capacità di rendere presente la storia e la geografia nella quale è nata. Le ceramiche esposte alla mostra provengono da numerose parti del mondo e, conseguentemente, portano con sé (meglio in sé) il tempo e lo spazio in cui sono nate; qui sta la principale, se non l’unica, giustificazione dello sforzo, dell’investimento, anche economico e logistico, per garantire la comunicazione con gli artisti di tanta parte dell’orbe terracqueo.
Riepilogando, il rapporto bello/vero tutela l’arte dall’arbitrio, mentre il rapporto bello/sensibile tutela l’arte dall’uniformazione artificiosa. Mantenere ed esaltare nell’opera d’arte entrambi i rapporti contribuisce alla vera valorizzazione della diversità, al giorno d’oggi tanto invocata quanto disattesa.