Compianto del Cristo morto in Sant’Anna dei Lombardi

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Nel XV secolo il genere artistico del “Compianto” ebbe una grande popolarità nell’Italia del nord, si tratta di una composizione di più statue policrome a grandezza naturale di grande immediatezza espressiva, dalle espressioni di dolore marcate e dalla gestualità energica che si collocano intorno alla statua del corpo morto di Cristo deposto dalla croce. I personaggi rappresentati sono quelli che, secondo i racconti evangelici, hanno assistito alla passione e alla crocifissione: Maria, Giovanni evangelista, Maria Maddalena, Maria Salomè, Maria di Cleofa, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea.

Il corpo di Cristo, a volte disteso a terra, altre in braccio alla madre, è il fulcro intorno al quale ruota tutta la composizione e al quale i personaggi si rivolgono straziati dal dolore e dalla disperazione.

Molti artisti si sono cimentati in questo genere che per la sua connotazione spiccatamente popolare si diffuse sin dal medioevo, l‘artista Guido Mazzoni, detto il Modanino (dalla sua città di origine) ne realizzò sei tra il 1475 e il 1490 nell’Italia del nord, fino a che, grazie alla sua fama di straordinario ritrattista e scultore fu chiamato presso la corte aragonese a Napoli, e in questa città nel 1492 realizzò il suo ultimo e magnifico Compianto custodito oggi presso la chiesa di Sant’Anna dei Lombardi (detta anche di Monteoliveto), in cui ritrasse i suoi mecenati della casa regnante Alfonso II, committente dell’opera, nelle vesti di Giuseppe di Arimatea e il padre Ferrante in quelle di Nicodemo.

Il gruppo scultoreo in terracotta, originariamente completamente smaltato, conserva purtroppo pochissime tracce della pittura originaria rimossa in vari interventi di restauro che ha lasciato visibili (lontano dalle intenzioni dell’autore) le inevitabili disuguaglianze di cottura della terracotta e i punti di raccordo delle varie porzioni delle statue, ma,  per quanto mancanti dell’accento che le avrebbe conferito il colore, sono straordinarie per il realismo  dei dettagli e l’espressività dei volti.

In questo Compianto Mazzoni pone la scultura del Cristo al centro in modo perpendicolare alla linea dell’osservatore, anziché orizzontalmente come aveva fatto nei precedenti compianti, così che il devoto non solo avrebbe assistito alla sofferenza che la scena nel suo marcato realismo gli presentava dinnanzi, ma sarebbe entrato a farne materialmente parte chiudendo il cerchio degli astanti, compenetrandosi quindi non solo dal punto di vista emotivo ma anche fisico, trovandosi di fronte ai piedi di Cristo con le piante trafitte e alla suggestiva prospettiva del suo corpo esangue composto nell’immobilità della morte, mentre tutto intorno si agitava un vento di slanci, grida, mancamenti.

 

 

Il grande pathos però sembra oggi quasi diluirsi nella luce della grande cappella che lo ospita e lo spettatore che dovrebbe entrare a farne parte, si trova a contemplarlo come in un museo al di là di un cordolo, più con curiosità che con devozione. Solo un capolavoro di tale grandezza però, può resistere ed esistere nella sua intrinseca sacralità anche alla sua decontestualizzazione, al suo scolorimento e ai mutati tempi.

 

 

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