Nell’articolo di giugno (qui) che avevamo dedicato a Heinz Alfred Kissinger era stata presa in esame la storia della sua vita e la sua politica. Oggi, dopo la sua morte, avvenuta a Kent il 29 novembre scorso, occorre riflettere sull’eredità lasciata dal suo pensiero rigidamente realista e distaccato dalla morale. Henry (nome ottenuto dopo la sua emigrazione negli Stati Uniti dalla Germania nazionalsocialista) Alfred Kissinger ha incarnato la volontà di potenza statunitense e ha sempre ritenuto necessario per gli Stati Uniti mostrarsi come potenza egemone, ma non come unica potenza a livello mondiale; il disegno era, anzi, quello di riproporre un bilanciamento tra le potenze, così da scongiurare un nuovo conflitto mondiale.
Il punto di riferimento per Kissinger è stato il congresso di Vienna, dove un bilanciamento tra le varie potenze europee ha garantito una pace duratura, in cui l’impero britannico è rimasto potenza egemone, ma non assoluta a livello globale.
Occorre ricordare, però, che tale visione di pace stabile non aveva lo scopo di promuovere un pacifismo ideologico tra le nazioni, bensì quello di permettere un equilibrio tra le potenze più importanti a livello mondiale. L’idea si concentrava sul mantenere la potenza americana egemone, ma non in diretto conflitto con i suoi antagonisti. Dal 1945 al 1989 le frizioni si stabilirono tra Stati Uniti e Unione Sovietica, dopo la caduta del muro di Berlino, invece, tra gli USA e la Repubblica Popolare Cinese.
Gli Stati Uniti, infatti, per Kissinger avrebbero dovuto e continuato a dover intervenire nel contesto internazionale al fine di limitare l’espansionismo di nuove potenze tramite tutti i mezzi necessari: guerre, propaganda, colpi di Stato, ma soprattutto con la diplomazia.
Per diplomazia non ci si riferisce ad accordi pacifici tra leader di diversi Stati, ma si deve intendere la collaborazione tra potenze, anche ostili tra loro, per stabilire le proprie aree di influenza, cercando di evitare lo scontro diretto oppure, cosa più grave, mirare alla reciproca distruzione.
Qualora la vittoria venga ottenuta negando una stabilità duratura, per Henry Kissinger ciò è male, perché l’incertezza data dalla scomparsa di un nemico può generare nuove guerre e crisi internazionali non prevedibili.
Può sembrare un controsenso, ma, per il consigliere di Nixon, il crollo dell’URSS è stato un momento critico e traumatico, non un giorno di vittoria e festa, in quanto la perdita di un nemico certo, di cui si conoscono gli intenti, rende più difficile la pianificazione e la possibile stabilizzazione dei rapporti. Tuttavia, in un mondo variegato, dove nemici e amici si confondono e, a volte, sono contemporaneamente la stessa cosa, risulta molto più difficile evitare situazioni di scontro o frizione, anche tra grandi potenze.
Il ruolo di Henry Kissinger è stato fondamentale per le Amministrazioni statunitensi, sia democratiche che repubblicane, nelle relazioni con la Cina comunista prima e socialcapitalista dopo. Oggi tale eredità di equilibrio tra potenze, promossa dal grande consigliere statunitense, sembra venir meno a causa della volontà cinese di espandere il suo dominio fino all’isola di Formosa entro il 2050, una volontà cui fa da volano la sua esponenziale crescita economica.
Anzi, in ambiente politico americano liberal e repubblicano neocon, la posizione di Kissinger viene direttamente criticata, perché, a loro dire, avrebbe aperto troppo dal punto di vista politico ed economico alla dittatura di Pechino.
In realtà le idee dello statista tedesco naturalizzato statunitense dovrebbero essere a maggior ragione tenute in considerazione proprio al fine di scongiurare nuovi scontri su vasta scala tra potenze mondiali. A conferma di questo è bene rammentare la sua posizione a riguardo del conflitto in Ucraina, in cui ha sempre visto un grave pericolo la marginalizzazione eccessiva della Russia dal contesto internazionale e, soprattutto, come un male incommensurabile la volontà di distruggere la Federazione Russa o, anche solo di danneggiarla in modo irreversibile nel breve-medio periodo.
Nonostante la grande eco mediatica e politica riservata all’operato e al pensiero di Kissinger durante la sua vita, egli non fu mai pienamente statunitense nella specifica visione provvidenziale di uomo a difesa del bene democratico e dedito all’espansione di tale concezione a livello globale.
Henry Kissinger, al contrario, con il suo operato e i suoi consigli ha sempre mirato al mantenimento dell’equilibrio, cercando, per quanto possibile, di limitare lo strapotere americano rispetto alle altre potenze, spingendo allo sfruttamento di crisi internazionali o guerre a tale scopo, anche con Stati dichiaratamente avversi dal punto di vista politico, ideologico, culturale. Il massimo esempio di ciò è stata proprio l’apertura alla Cina con il Presidente americano Richard Nixon (1913-1994), volta sicuramente al contenimento dell’URSS, ma con uno sguardo proiettato al futuro, nella prospettiva di evitare che la superpotenza egemone cinese potesse arrivare ad uno scontro diretto con gli Stati Uniti.
Nelle più rosee aspettative di Henry Kissinger la Cina, in un lontano futuro, potrebbe divenire un cogestore del globo insieme agli Stati Uniti in un mondo nuovamente diviso in due blocchi distinti.
Oggi la guerra in Ucraina, la guerra a Gaza e, soprattutto, le crescenti pressioni cinesi su Taiwan sembrano ridurre sempre di più la possibilità che si realizzi una duratura pace tra potenze; ecco che occorre ricordare ciò che questo politico e grande statista, rimasto molto lucido nonostante i suoi cento anni di vita, ha insegnato su come usare il potere e come una potenza, se vuole rimanere tale, deve comportarsi. «Il giudizio della storia non è ciò che si vedrà domattina in televisione, ma quello che si troverà sui libri di storia tra 50 o 100 o più anni da ora».
Jean Godefroy (1771-1839), su disegno di Jean-Baptiste Isabey (1767-1855), incisione Congresso di Vienna