Giuseppe Sermonti, scienziato e filosofo della fiaba

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Ci manca la voce di Giuseppe Sermonti (1925-2018), a fronte del delirio di onnipotenza e insieme d’impotenza dell’apparato tecno-scientifico sanitario a cui assistiamo da due anni. Tutta la sua opera è stata volta a promuovere la vera scienza, libera dall’ideologia scientista, prima come ricercatore, poi come storico della scienza e filosofo.

 

 

Rimandiamo per ripercorrere il suo percorso intellettuale al testo di Stefano Serafini «Contadino di stelle»[1]. Nel maggio 2002 egli ebbe ad incontrarsi con Ivan Illich, e si parlò in quell’occasione di «cospirazione cristiana»[2], proprio per la carica di originalità e di rigore intellettuale che caratterizzava i due pensatori, al di fuori e contro gli apparati ideologici e di potere al servizio del “pensiero unico”. Si tratta qui di chiedersi perché, nell’opera di Giuseppe Sermonti, intransigente nell’esporre la verità scientifica quanto la profondità del mistero di cui essa ci dà conto, un filone di ricerca sia stato indirizzato al mondo delle fiabe, apportando anche in questo campo un contributo straordinario su piano del metodo e dei contenuti.

 

L’uomo nel cosmo

L’interesse di Sermonti per il patrimonio narrativo, che ci proviene da tradizioni antichissime e ovunque diffuse, è in effetti connesso alla sua visione scientifica, secondo la quale non il caso, ma un cosmico ordine sottende alla realtà, in un unico incommensurabile disegno, di cui ogni parte all’altra corrisponde. Così le storie ancestrali, le più antiche di cui ci sia giunta traccia attraverso le tradizioni orali e i reperti archeologici, tramandano l’originario complesso fantastico ed immaginativo della specie umana, formatosi in sintonia col resto della natura. Sintonia perduta, via via che la tecnologia ha prevalso su tutte le altre forme di rapporto con la realtà, prima naturale, ora anche psichica. Quando la comunità umana viveva in continuità con la natura, la sua attività conoscitiva e creativa era conformata ad essa, né vi erano fratture tra i vari ambiti della vita: le stesse forme semplici, primarie, sottostavano alla materia e alla vitalità delle specie vegetali ed animali, ed anche all’uomo, dotato altresì di riflessione e creatività. Così le concezioni fantastiche ed estetiche dell’uomo erano radicate nel mondo che lo circondava, e nello stesso tempo nei sentimenti comunitari e familiari grazie ai quali la specie sopravviveva e prosperava. Ciò in contrasto con le storie banalizzate che vedono nella costruzione di utensili la molla evoluzionistica della specie umana, in una concorrenza tra specie animali.

Questa fusione intelligente col cosmo portava con sé la capacità da parte dell’uomo di comprendere i fenomeni in forma intuitiva, empatica ed analogica. Così anche la narrazione, facoltà umana comunitaria sviluppatasi col linguaggio e l’immaginazione, può evocare, svelare, farsi figura di storie primarie di minerali, vegetali, animali.

 

Antropologia della fiaba

Questa lettura della realtà naturale, incontrandosi coi dati affettivi, psichici, intellettuali dell’uomo, con la sua attività onirica e fantastica, con le forme del sociale, ha creato in epoche antichissime un complesso di narrazioni da cui derivano fiabe, favole e leggende. I collegamenti tra tale complesso e quelli rituali, mitologici ed epici possono essere variamente interpretati, anche se sono evidenti scambi e sovrapposizioni. Il mondo della narrazione popolare ha vissuto una rigenerazione con il cristianesimo, evento storico e di rinnovamento morale ed intellettuale, che ha immesso nella tradizione le storie e le sensibilità della leggenda sacra.

Il nuovo interesse volto in epoca romantica alle tradizioni popolari, con le raccolte delle fiabe e leggende nelle diverse lingue e dialetti, mostrò l’estensione e la varietà del patrimonio, nonché la costanza di un certo numero di schemi e di elementi strutturali (da cui la ricerca –vana- di risalire alle versioni originarie); gli studi successivi sulla morfologia della fiaba e sui “motivi” narrativi ricorrenti, hanno appassionato gli studiosi e fornito nuovi materiali sulle tradizioni extraeuropee, ma senza svelare il mistero, anzi confermando l’inesauribile ricchezza e l’irriducibilità della narrazione fiabesca agli stereotipi ideologici.[3]

 

La lettura di Sermonti

Si pone qui l’opera di Sermonti, che non è una “interpretazione” della fiaba, cioè voler far dire alla fiaba qualcosa di diverso da quello che effettivamente dice, ma una lettura che annota le stupefacenti analogie tra il narrato –intreccio, protagonisti, caratteri, ritmi- e i fenomeni più segreti della natura. L’inventore (collettivo) della fiaba avrebbe preso a modello le “magie” della natura, le sue forme, le sue combinazioni, le sue metamorfosi, le sue fasi, per raccontare le storie dell’uomo: un uomo parte della creazione e del cosmo, e ancora vicino ad esso e ai suoi arcani, dal moto degli astri fino ai pollini.

Sermonti esamina quindi le fiabe in chiave astronomica in Fiabe di luna, poi in chiave chimico-mineralogica in Fiabe del sottosuolo, poi in chiave botanica in Fiabe dei fiori.[4] Il regno del meraviglioso non è allegoria del cosmo, bensì è il cosmo che contiene in sé tutte le meraviglie, e qualcosa –polveri di stelle,  di minerali, di stami- ha incantato gli uomini, e ha spinto la loro fantasia ad “inventare” storie, che però conservavano, nel loro nucleo interno generatore, quelle segrete, forse inconsce sorgenti d’ispirazione. Si dà qui solo qualche spunto, perché i libri di Sermonti sono assolutamente da leggere, non solo per capire qualcosa sulle fiabe, ma perché comunicano il sereno stupore della vera scienza.

Ecco che la fiaba di Biancaneve (ovvero l’infinito complesso di varianti che sta intorno alla sua versione più nota, quella dei F.lli Grimm) è una metallurgia trasfigurata, che ripercorre i procedimenti dell’estrazione e purificazione dell’argento dalla galena: una lettura che non interpreta la fiaba, ma ci dona una specie di seconda vista, una doppia meraviglia.

Considerando poi la botanica, la corrispondenza delle fiabe coi suoi fenomeni appare ampia, generalizzata, come se la minuta conoscenza di essi, un tempo patrimonio dell’uomo, e fornisse gli archetipi alla fantasia del narratore. Perché la «prima storia» -dice Sermonti- è proprio quella del Paradiso terrestre, ove è il rigoglio delle piante a dare l’immagine di quanto la mente umana non può concepire: l’assoluta bellezza e beatitudine della visione divina. Troviamo all’inizio di Fiabe dei fiori:

In questo libro ci siamo proposti di riferire la morfologia delle fiabe alla fisionomia delle piante, perché ci è parso che le fiabe non solo presentassero una generale organizzazione tassonomica simile a quella dei vegetali, ma in molti casi la ricalcassero con precisione, nel tipo o nella singola specie, al punto tale che le fiabe ci apparvero come una specie di gemmazione della vita vegetale.

Ed ecco un esempio:

Il personaggio canonico della fiaba barocco-caducifoglia è Cenerentola, la reclusa […] Risale alla luce […], ma la sua stagione è misurata e a mezzanotte (il solstizio invernale) deve ridiscendere nel suo recesso. […] La sua è una fiaba circolare con un passaggio a ripetizione dalla cinerea cupezza della cucina e della palandrana grigia alla bellezza dorata della veste e delle scarpette […] Cenerentola è la pianta stagionale, la caducifoglia, e, per la bellezza dei suoi abiti, l’angiosperma (seme rivestito). Come fiore primaverile è aspersa di polvere e condotta a nozze e lo sposo regale la riconosce per le sue misure, come insetto sulla coppa del fiore.

Non fiabe che parlano di piante, ma che sono piante.

 

La luna nel bosco

La visione cosmica di Giuseppe Sermonti avvolge in un alone aurorale il testo del 1985, La luna nel bosco[5], col quale con equanime quanto recisa analisi, spazza via i cascami dei luoghi comuni evoluzionistici per cui l’uomo discenderebbe dalle scimmie. Gli studi genetici dimostrano che l’uomo è più antico di esse, e che rispetto ad un capostipite primate le scimmie ne rappresentano casomai una derivazione più recente. Inoltre le analisi molecolari e cromosomiche indicano l’antichità dei caratteri umani, per cui gli scarsi reperti fossili di ominidi diversi si riferirebbero a varianti estinte, contemporanee o successive. La classica sequenza, spacciata anche nelle scuole elementari, per cui dallo scimmione attraverso figure ciondolanti e abbrutite si giunge a Homo sapiens è pertanto un assurdo scientifico. Sermonti, per immaginare lo scenario primigenio, fa riferimento alla Genesi, alla memoria mitica della specie, al dispiegarsi dell’infinita ricchezza della vita, non comprimibile nei marchingegni del darwinismo. Per cui la narrazione mitica che evoca gli albori del mondo non è una metafora, ma una manifestazione dell’“anima scientifica”, che non sia serva delle ideologie e abbia il coraggio di confrontarsi col mistero. D’altronde in riferimento al “cespuglio” delle varianti della specie umana lo stesso Sermonti ebbe a citare una narrazione fiabesca: Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien, con Hobbit, Nani, Orchi, e le stirpi degli Uomini e degli Elfi, tra cui circola la sapienza e la bellezza, ma anche la violenza, il male, i poteri oscuri. Immagini e narrazioni che oggi sembrano anticipare gli orrori della tecno-biologia, del transumanesimo e dell’“uomo aumentato”.

 

 

[1] europacristiana.com/giuseppe-sermonti-il-genetista-noto-per-le-sue-critiche-al-darwinismo-e-al-totalitarismo-della-scienza-ideologizzata

[2] La cospirazione cristiana, ed.LEF 2015.

[3] Nonostante i continui attacchi destrutturanti e le “interpretazioni” psicanalitiche e sociologiche, fino alle attuali banalizzazioni politicamente corrette.

[4] Fiabe di Luna, ed.Rusconi 1986; Fiabe del sottosuolo, ed.Rusconi 1989; Fiabe dei fiori, ed.Rusconi 1992, ripubblicati recentemente dalle edizioni Lindau con i titoli Misteri lunari, Alchimia della fiaba e Fior da fiore.

[5] La luna nel bosco, ed.Rusconi 1985

 

 

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