Fiaccolata a Torino per il «Giorno del Ricordo»

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Nella sera del 12 febbraio si è svolta a Torino una fiaccolata in onore delle vittime delle foibe e della tragedia dell’esodo giuliano – dalmata. Il breve tragitto del corteo è partito da  via Luigi Ambrosini, per passare da via Pirano fino ad arrivare al giardino Vittime delle Foibe, davanti alla targa commemorativa. La fiaccolata sotto il nome di «Torino Ricorda», organizzata con il contributo dell’assessore della Regione Piemonte Maurizio Marrone, ha voluto esprimere pubblicamente  la vicinanza della cittadinanza torinese ad un tema che per troppi decenni è stato sminuito o addirittura negato.

La manifestazione ha visto un’ ampia partecipazione dei torinesi con l’adesione di alcune cariche politiche regionali e comunali a cui si sono unite molte persone, fra cui  giovani provenienti dall’ambiente universitario della città.

Figure istituzionali di rilievo sono state l’on. Augusta Montaruli, deputato di FDI, il consigliere comunale della città di Torino, Enzo Liardo e Davide D’agostino, consigliere comunale di Ciriè.

Terminata la marcia, il corteo si è disposto a semicerchio davanti alla targa per le vittime delle foibe,  alle bandiere di Fiume, della Dalmazia e dell’Istria e allo striscione «Torino Ricorda Onore ai martiri delle foibe».

L’assessore Marrone ha aperto gli interventi di fronte  proprio alla targa, spiegando l’importanza di celebrare il 10 febbraio in quanto risulta assolutamente necessario  agli  italiani ricordare cosa subirono i loro concittadini per mano delle  persecuzioni del comunismo titino, ponendo l’accento anche sul fatto che la politica deve farsi carico del raccontare e far ricordare tali tragedie anche con manifestazioni pubbliche, come previsto dalla legge n.92 del 30 marzo 2004.

Terminato il discorso, è stata ceduta la parola a Cristina Chenda e Giuliana Donorà, le quali hanno testimoniato le persecuzioni subite dalle loro famiglie e dai loro parenti infoibati dai titini, spiegando il clima di persecuzione e terrore vissuto dopo la fine della seconda guerra mondiale in quelle terre abitate da italiani. La crudeltà della persecuzione da loro esposta  manifesta come l’odio anti-italiano non fosse solo politico, ma  soprattutto culturale e nazionale; nelle foibe furono gettati senza distinzioni fascisti, cattolici, religiosi, uomini e donne e anche antifascisti con la sola colpa di essere italiani.

Giuliana Donorà è caporedattore del trimestrale «Notiziario Dignanese»,  organo d’informazione dell’Associazione culturale «Famiglia Dignanese», nonché figlia del presidente della stessa Associazione, sorta a Torino nel 1967, con l’obiettivo di salvaguardare il patrimonio storico e culturale degli esuli dal comune di Dignano d’Istria, ma anche quello formatosi nel corso di millenni, nell’ambito della civiltà romana – veneta – italiana, e di tutelarne i diritti e gli interessi nazionali, spirituali e materiali. Questa realtà è «famiglia aderente» dell’Unione degli Istriani con sede a Trieste. Si legge sul loro sito Internet: «Dopo l’infausto Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947, che costrinse l’Italia a cedere alla Jugoslavia (alla quale mai erano appartenute) l’Istria, Fiume e Zara, la stragrande maggioranza degli abitanti giuliani e dalmati seguirono la via dell’esilio. Molti di essi, dopo la vita nei Campi Profughi, grazie al lavoro offerto dalla Fiat si stabilirono a Torino. Proprio qui risiedeva la comunità più numerosa dei nativi di Dignano d’Istria (i dignanesi). Nel 1964, in occasione della festa di San Biagio patrono di Dignano d’Istria (e motivo d’incontro per tutti gli istriani di Torino), alcuni di questi esuli dignanesi ebbero l’idea di fondare un’associazione, la Famiglia Dignanese appunto, con lo scopo di riunire i concittadini, tramandare usi e costumi del paese natio, e diffondere in città la conoscenza delle loro vicissitudini e creare motivi di aggregazione ai fini ricreativi, tra i quali la costituzione di un coro», nacque così la “Corale istriana”, che nel corso del tempo ha riscosso molto successo, anche fuori Torino e che ha solennizzato molte Messe in onore dei Santi Patroni dei vari paesi istriani, eseguendo brani tratti dal repertorio di Lorenzo Perosi. La prima corale era diretta da Gianni Ferro ed ebbe, tra l’altro, un grande successo al primo Raduno degli Istriani di Roma.

Il primo Presidente della Famiglia Dignanese fu Guerrino Manzin, un grande patriota di Dignano, che tra l’altro sovvenzionò la realizzazione della pala di San Biagio, realizzata dal noto pittore polese Gigi Vidris (1897-1976) e collocata nella chiesa del Patrocinio di San Giuseppe di Torino, in via Biglieri. Ricordiamo anche che Vidris illustrò la tragedia dell’esodo, denunciando sia i crimini dei comunisti, slavi e italiani, sia le responsabilità della Democrazia Cristiana.

Periodicamente l’Associazione ha organizzato raduni fra gli esuli e i superstiti, così, lungo il corso del tempo, altre associazioni hanno seguito l’esempio della Famiglia Dignanese. Nel 2003, in collaborazione con la Comunità degli Italiani di Dignano, è stato istituito il Premio letterario intitolato «Favelà», dedicato all’antico dialetto della gente di Dignano d’Istria. Scopo del Premio annuale è quello di contribuire alla raccolta, alla conoscenza, alla conservazione e alla valorizzazione di questa parlata, proclamando così l’orgoglio della propria identità.

 

Vignetta del pittore istriano Gigi Vidris pubblicata su «Candido», settimanale umoristico, fondato nel 1945 a Milano da Giovanni Mosca e Giovannino Guareschi, edito da Angelo Rizzoli

 

L’ultima testimonianza della serata dedicata alla storica tragedia è stata quella di Daniele Malinarich, nipote di esuli, che ha testimoniato come la gente  giuliano-dalmata abbia dovuto patire la povertà, il disprezzo, la discriminazione e spesso anche la persecuzione sul suolo italiano. Per decenni la propaganda comunista  ha definito gli esuli fascisti e propagandisti contro il regime di Tito. Tuttavia, l’estrema indigenza dei campi profughi e le misere condizioni di vita a cui sono stati sottoposti  non ha comunque minato né la loro determinazione, né tanto meno la loro forza di riscatto. A Torino, infatti, il villaggio Santa Caterina è una prova diretta di tutto ciò, qui le famiglie di profughi con la loro  tenacia e il loro coraggio si riscattarono veramente, dando  testimonianza concreta  che, nonostante i patimenti e le difficoltà, è sempre possibile risorgere.

La manifestazione si è conclusa con il «silenzio fuori ordinanza», eseguito davanti alla targa commemorativa e con l’inno di Mameli, cantato da tutti i partecipanti.

 

 

 

 

 

 

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