Egualitarismo: un falso mito cattolico di matrice rivoluzionaria

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«La Legge è uguale per tutti», «Liberté, Egualité, Fraternité», «Feminism means equality»… quanto l’uomo è stato nauseato da slogan come questi negli ultimi secoli, progressivamente, sino a raggiungere il parossismo contemporaneo ove le contraddizioni fra l’impossibilità, anzi il divieto, di esprimersi sulla necessità di strutture gerarchiche definite, con uomini seri al timone e la corruzione ovunque serpeggiante mostrano l’ipocrisia di ideali traviati, specchietti per le allodole. Laddove si palesino anche solo degli ovvi distinguo di qualsivoglia natura è un attimo essere immediatamente posti sulla pubblica gogna e bollati come reazionari, antidemocratici, fascisti, assolutisti, sessisti, razzisti, sostanzialmente una buona fetta di tutte le parole terminanti con il suffisso «-isti».

Si badi bene, è un problema che non concerne solo il concetto di libertà o di libertà di espressione, va oltre in quanto impone un riconoscimento trasversale di una ideologia alla quale è assolutamente inammissibile non chinarsi: quella dell’egualitarismo.

Secondo tale concetto, blasfemo parto della Rivoluzione Francese prima e quella bolscevica poi, tutti sono uguali a tutti, le gerarchie vanno appianate quanto più possibile e dovrebbero esistere solo per merito, la disuguaglianza va combattuta senza pietà. Si, ma quale disuguaglianza? E soprattutto, quale merito?

Il concetto di meritocrazia, ovvero quell’idea secondo cui i “migliori” dovrebbero trionfare grazie alle loro capacità, sembrava essere la chiave di volta nella sostituzione del privilegio. Ciò che prima era in mano a poteri ereditari, ora dovrebbe essere appannaggio dei più meritevoli. Se così fosse, il ghigliottinamento di Luigi XVI e l’avvento degli ideali rivoluzionari avrebbero dovuto condurre le società verso l’optimus, verso la perfezione. Eppure, anziché una progressione si è avuta una significativa regressione. E non si parla dello sviluppo che si è avuto in campo tecnologico, sanitario, alimentare, bensì in quello dei valori. Il progresso nei precitati campi si è sempre manifestato prima, durante e dopo qualsiasi epoca di crisi, poiché la genialità di coloro che scoprono o migliorano il mondo è a-politica e la portata delle loro scoperte supera qualsiasi barriera o agevolazione istituzionale (in un certo senso si pensi a Giordano Bruno, che pur avendo mesciuto scienza ed eresia in un guazzabuglio che lo portò sul rogo, riuscì comunque a diffondere le proprie idee). La regressione è dunque quella del mondo sociopolitico, a qualsiasi piano. Ministri incapaci, banchieri corrotti, capi di stato inetti, professori prezzolati… se fosse l’egualitarismo meritocratico a condurre la società frutto delle rivoluzioni costoro non dovrebbero esistere, oppure essere una sparutissima minoranza, non la regola. Dunque quale differenza fra il mondo pre-rivoluzione egualitarista ed oggi? Soltanto una: l’illusione di essere diversi e addirittura migliori di chi ha vissuto prima di noi, come fossimo sganciati rispetto alla Storia (quello che viene definito post-modernità, uno dei pilastri della Globalizzazione).

A questo atto di superbia nei riguardi del passato si aggiunge poi un aspetto ben più grave della società contemporanea: l’aver sostituito Dio con Mammona. E quando Dio manca, i risultati non possono che essere ineluttabilmente disastrosi. Mammona, ovvero il Denaro, diviene l’unica discriminante nella contemporaneità, in un mondo dove si viene considerati tutti uguali (e si badi bene, nel senso più orribile del termine, quello dell’assenza della diversità: che orrore!). Ideologie come multiculturalismo, transumanesimo, socialismo, femminismo, ecumenismo, che cosa propongono? Non già la bellezza della diversità, bensì diverse declinazioni di una “flat society” in cui è l’omologazione a farla da padrona, una parità nell’annullamento progressivo dell’identità. Tutte queste manifestazioni di pensiero propongono infatti l’eliminazione della gerarchia di valori: per i socialisti non vi sono più nobili e plebei, per i multiculturalisti le diverse identità razziali (con bagagli culturali annessi) vanno mescolate quanto più possibile sino a renderle un “minestrone” (Melting Pot significa proprio questo: calderone), per gli ecumenisti la Chiesa Cattolica non ha più il primato della Verità, e così via.

Il valore del Sangue, ovvero della Famiglia, e il valore della Fede non contano più nulla! Figuriamoci il concetto di Patria. Tuttavia, questa ideologia genera profonde contraddizioni: da un lato si cerca di annullare ogni differenza mantenendo come unica discriminante il merito, dall’altra si associa più o meno consciamente il merito al denaro e al successo.

Qualcuno dirà che sono due pensieri differenti quelli esplicitati, ovvero da un lato il socialismo che premia il merito e dall’altra il capitalismo che enfatizza la ricchezza, ma è totalmente falso. Non sono altro che due facce opposte della medesima moneta, ovvero quella dell’individualismo, del passaggio da un orientamento di vita teocentrico ad uno egocentrico. Nel socialismo l’uomo si annulla in una società atea per dare ad essa valore economico, nel capitalismo l’uomo è tale in quanto membro di una massa di consumatori emancipata dal capitale, in entrambi i casi l’obiettivo non è la promozione dell’uomo, ma la crescita economica: denaro. Dunque quale differenza? I ceti sociali sono stati in entrambi i casi semplicemente sostituiti con gli scaglioni di reddito. Che indecorosa decaduta essere passati dal governo di Famiglie che per secoli si dedicavano alla cura del proprio “feudo”, della propria terra, al governo di ometti che aprono al mattino Il Sole 24 Ore per vedere se la Borsa (e non il popolo) si compiace delle loro azioni. Questo è l’egualitarismo signori, aver barattato una società teocentrica per una timocrazia con l’illusione di essere ora “più uguali”.

La narrazione storica contemporanea conduce il cittadino a pensare al passato come a un mondo in cui la gerarchia sociale proponeva alla base della piramide una vita di stenti, retriva, incollata al terreno del proprio feudatario a cui si dovevano le tasse e al vescovo che si mangiava le decime, in contrasto con il mondo moderno dove ciascuno può essere promotore e imprenditore di se stesso, avere accesso a qualsiasi carica, non sentirsi schiavo di precetti religiosi e poter godere pienamente dei frutti del proprio lavoro. Eppure, ad una riflessione anche solo superficiale si noterà dapprima come i livelli di tassazione siano anche superiori rispetto a qualsiasi epoca storica passata (raggiungendo picchi del 47,5% nel 2024 secondo studi CGIA Mestre) senza un valido corrispettivo di servizi pubblici dignitosi, e poi come le figure apicali del mondo contemporaneo difficilmente provengono dalla tanto osannata volontà popolare (Ursula Von der Leyen incarna particolarmente tale aspetto), e quando lo sono, mai gli obbediscono. Laddove poi esse devono rappresentare uno Stato addirittura sono private pressoché di qualsiasi potere (al Quirinale se ne sa qualcosa). Quanto poi alle libertà di pensiero o di credo basti pensare alle persecuzioni nei riguardi di chi non è allineato. Il cattolicesimo, ad esempio, è ammissibile per il momento, sebbene considerato inutile e retrogrado, purché sciapo, imbevuto di concetti che lo rendono poco differente da altre professioni come il buddismo o i deliri New Age. Guai a una visione tradizionale della Chiesa da cui poter manifestare la propria posizione su un tema, i primi a provvedere alla censura siedono proprio nei Palazzi Apostolici.

Ciò che qui è importante definire è come il merito, la bravura e la possibilità di valorizzare tali capacità prescindano dall’egualitarismo e possano essere correttamente enfatizzati, sganciandoli dalla pariteticità o dal culto di Mammona (la famosa osanna del Self Made Man). E tralasciando alcuni discutibili tentativi dei vertici attuali della Chiesa nel condannare il merito proprio in quanto contrastante l’uguaglianza (si passa ora forse dall’utopia del governo dei migliori ad un orientamento verso il governo dei mediocri purché di “lodevole spirito di iniziativa”?) e avallante l’agevolazione di privilegiati (cfr. Laudate Deum, 4 ottobre 2023), i santi vengono in soccorso della civiltà cattolica, proponendoci il sano modello con cui rapportarci e confrontarci con noi stessi e con la società. In particolare è il Doctor Angelicus, citando a sua volta Sant’Agostino, ad essere particolarmente esplicito sull’importanza di una sana e corretta gerarchia in cui ciascuno sia pienamente inserito conformemente al suo merito, alle sue attitudini e al suo impegno. Dice egli:

Sembra che nello stato di innocenza gli uomini sarebbero stati tutti uguali. […] In contrario sta scritto: «Le cose che sono da Dio, sono bene ordinate». Ora, sembra che l’ordine debba consistere soprattutto nella disuguaglianza; infatti S. Agostino scrive: «L’ordine è una disposizione di cose uguali e diverse, che assegna il suo posto a ciascuna». Dunque, nello stato primitivo, che doveva essere ordinatissimo, non sarebbe mancata la disuguaglianza. […] Da parte di Dio poteva sussistere una causa di disuguaglianza, non in virtù di una punizione e di un premio, ma in vista di un’elevazione più o meno sublime, affinché nel mondo umano risplendesse maggiormente la bellezza dell’ordine. Anche da parte della natura poteva risultare una disuguaglianza, […] senza alcun difetto.

Summa [I q. 96 a. 3]

San Tommaso d’Aquino (1224-1274), parlando della perfezione dell’ordine nella disuguaglianza, suggerisce un elemento fondamentale da comprendere in questa contemporaneità imbevuta del diritto egualitarista, ovvero quello della perfetta elevazione dell’uomo, in accordo con le sue particolarissime capacità, ma non solo, anche e soprattutto in perfetta unione con la Volontà di Dio che propone l’armonia integrale dell’universo. Egli altresì dice infatti:

È proprio dell’ottimo [Dio] produrre cose ottime. Ma tra cose buone al sommo l’una non è maggiore dell’altra. […] Appartiene all’ottima causa produrre ottimo l’intero suo effetto: non già fare ottima per sé stessa ogni parte, ma ottima relativamente al tutto.

Summa [I q. 47 a. 2]

Ciascuno è dunque pienamente realizzato in quanto inserito in una scala gerarchica ove può al meglio offrire sé stesso alla società e soprattutto a Dio. Questo è il vero e unico merito, questa è la società ideale. La pienezza della vita proviene dall’essere perfettamente dove si è giusto che si sia. E chi, se non il Sommo Poeta, poteva meglio esplicitare la perfezione di tale concetto? Dante (1265-1321) nel Canto III del Paradiso, interroga Piccarda Donati (cugina di terzo grado di sua moglie Gemma), curioso di comprendere come accettassero in Cielo di essere taluni più vicini a Dio di altri, ed ella così descrive l’ordine celeste:

Ma dimmi: voi che siete qui felici,

disiderate voi più alto loco

per più vedere e per più farvi amici?»

 […]

«Frate, la nostra volontà quieta

virtù di carità, che fa volerne

sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.

Se disiassimo esser più superne,

foran discordi li nostri disiri

dal voler di colui che qui ne cerne;

[…]

E ‘n la sua volontade è nostra pace:

ell’è quel mare al qual tutto si move

ciò ch’ella cria o che natura face».

Paradiso, Canto III

Con un sorriso e dolci parole Piccarda descrive sublimemente l’ordine perfetto del Paradiso, dove ciascuno è assetato solo di ciò che ha secondo Dio. Che perfetta condanna agli arrampicatori sociali, alla volontà di primeggiare a discapito degli altri, alla superbia, che tanti mali ha generato, fra i quali proprio il principio stesso del Male ovvero Lucifero, colui che incapace di accettare le gerarchie divine è divenuto signore del caos, dell’anti-ordine per eccellenza.

E se dunque nella società celeste verso cui protendiamo vi è un orientamento gerarchico delle anime ove ciascuno è posizionato secondo il suo personale grado di elevazione (ergo la propria identità più profonda), tanto meglio non sarebbe forse tentare di emularlo anche in terra? Non sta forse nell’ordine naturale dell’umanità?

A corroborazione di tali tesi interviene inoltre papa Leone XIII descrivendo come:

La più grande varietà esiste nella natura degli uomini; non tutti posseggono lo stesso ingegno, la stessa solerzia; non la sanità, non le forze in pari grado: e da queste inevitabili conseguenze nasce di necessità la differenza delle condizioni sociali

Leone XIII, Rerum Novarum (15 maggio 1891)

Al papa di San Michele Arcangelo fa eco poi San Pio X, il santo pontefice della Tradizione, il quale esplicita perfettamente come:

La Società umana, quale Dio l’ha stabilita, è composta di elementi ineguali, come ineguali sono i membri del corpo umano: renderli tutti eguali è impossibile, e ne verrebbe la distruzione della medesima Società. […] Di qui viene che, nella umana Società, è secondo la ordinazione di Dio che vi siano principi e sudditi, padroni e proletari, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, nobili e plebei, i quali, uniti tutti in vincolo di amore, si aiutino a vicenda a conseguire il loro ultimo fine in Cielo; e qui, sulla terra, il loro benessere materiale e morale.

San Pio X, Fin dalla Prima (18 dicembre 1903)

Galvanizzando attorno a traviamenti concettuali le masse, i figli dell’Illuminismo (alias figli della Rivoluzione, e non solo quella francese) hanno spostato il culto del merito in accordo con Dio, ovvero la ricerca del benessere materiale e morale in accordo con la finezza della propria anima e del proprio posto nel mondo, al culto del merito in relazione alla propria autocelebrazione in una società di uguali ove l’insoddisfazione diviene motore di scardinamenti per ottenere sempre di più in termini di potere, visibilità, ricchezza. Ed è in ossequio all’egualitarismo che si sono partorite le versioni più perverse di quel concetto che oggi falsamente chiamiamo «Democrazia», etimologicamente il «potere del popolo». Ma quale potere? E soprattutto, quale popolo? Con la distruzione delle istituzioni monarchiche pre-illuministe, ove i sovrani erano tali per Volontà di Dio, e ancor più con il tramonto del concetto stesso di monarchia, in corso d’opera, ma manifestatosi chiaramente dopo le due guerre mondiali, il concetto di democrazia è sempre di più stato associato a quello di «repubblica», elemento che pare ben sposarsi con l’egualitarismo condannante qualsivoglia accezione di privilegio e di aristocrazia. Probabilmente si ignora che etimologicamente tale termine significa esattamente «governo dei migliori», dal greco άριστος, àristos, «migliore» e κράτος, kratos, «comando» e che persino il figlio prediletto della Rivoluzione, Napoleone, sosteneva come fosse più facile trovare un buon sovrano per nascita, piuttosto che per elezione.

La disuguaglianza che le rivoluzioni e il pensiero illuminista credevano di combattere erano quelle dei privilegi dei nobili, del clero, di quella sezione superiore della società piramidale che aveva retto le sorti del mondo da millenni (gli antichi Egizi già erano notoriamente strutturati a tal guisa) e che aveva sempre tentato un contatto con il Divino, anche fra politeisti. Oggi no, nessun tentativo di legame trascendente è contemplato, ma solo l’autoreferenzialità ed una serie di princìpi negoziati da trattati, dichiarazioni universali, accordi che durano quanto la stagionatura di un Parmigiano, l’orizzontalità è totale, così come l’umanità da essa derivante, il mistico si è infatti quasi estinto.

Ricapitolando, gli esiti della rivoluzione egualitarista sono stati presto evidenti, la Storia ha sollevato il Velo di Maya: attraverso la violenza si sono scardinati i vertici della piramide non per troncarla definitivamente, bensì per lasciar spazio a nuove figure e a nuovi valori: non vi sono più “unti del Signore” a reggere le sorti dei popoli, in accordo con la volontà di Dio, vi sono piuttosto mix deturpanti fra “ras” delle piazze pronti ad alzare la voce quanto più possibile e i “” a matrice lobbistico-massonica. In entrambi i casi il santo crisma è sostituito con il denaro, motore oggi più che mai della politica mistificatrice contemporanea di cui ben scrisse Orwell ne La Fattoria degli Animali (1945): «Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri». C’è da domandarsi quale società vogliamo per il nostro presente e per il nostro futuro, se l’ordine divinamente stabilito o la babele egualitarista, che, nella sua ipocrisia, dimostra giorno dopo giorno, di essere la più ineguale delle società possibili.

 

 

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