Don Jerzy Popieluszko, potrebbe diventare il primo santo martire ucciso dai comunisti nell’Europa dell’Est

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Jerzy Popieluszko (Okopy, 14 settembre 1947 – Włocławek, 19 ottobre 1984): tanto è famoso il suo nome, quanto sembra essere lungo il cammino per giungere alla sua canonizzazione. Beatificato a Varsavia domenica 6 giugno 2010 nella piazza intitolata al Maresciallo Pilsudski, sotto il pontificato di Benedetto XVI, questo sacerdote polacco potrebbe divenire il primo santo martire ucciso dai comunisti nell’Europa dell’Est. Manca solamente l’approvazione di un miracolo attribuito alla sua intercessione.

«Io mi sono offerto e non mi tiro indietro». Queste parole confermano che egli era cosciente della sua vocazione, e della sua particolare missione sacerdotale. Forse egli presagiva che sarebbe morto martire. È un martire che attraverso il suo cammino di sofferenza si rese sempre più simile a Cristo sofferente nella via della Croce. La sua beatificazione, avvenuta proprio nell’anno sacerdotale, ha offerto a tutti i fedeli ed in modo particolare per i sacerdoti, un gran significato: il Signore ci dona questo giovane sacerdote quale modello di fedeltà alla propria vocazione sino alla fine, sino alla morte. Le sue parole «Io mi sono offerto e non mi tiro indietro», possono costituire una massima per ogni sacerdote.

Già a 19 anni lo accusavano di “atteggiamento ribelle”: benché seminarista, gli fecero fare il militare con lo scopo di “fargli cambiare idea”, ma nonostante il continuo lavaggio del cervello non riuscirono a piegare quel ragazzo, taciturno e serio, che fin da ragazzo desiderava farsi sacerdote e che non aveva cambiato idea neppure dopo le angherie e le pressioni subite sotto naia. Nato in Polonia ad Okopy il 14 settembre 1947, venne ordinato prete nel 1972 dal cardinale Wyszyński, oggi venerabile, e sembra quasi un segno della Provvidenza, dato che sono avviati entrambi alla gloria degli altari. Per alcuni anni vagò da una parrocchia all’altra di Varsavia, con incarichi temporanei che tuttavia lasciavano il segno, soprattutto tra gli universitari: sembrava proprio che quel prete, timido e di poche parole, con una salute vacillante che lo limitava anche nel ministero, si riscaldasse improvvisamente e si trasformasse quando si trovava a contatto con i giovani ed i poveri, con i quali riusciva a stabilire subito un filo diretto. Nel giugno 1980 venne assegnato come sacerdote residente alla parrocchia di san Stanislao Kostka, sul cui territorio sorgeva la grande acciaieria Huta Warszawa. Il 28 agosto il primate di Polonia gli chiese di andare dagli operai in sciopero che chiedevano un sacerdote per la Messa: divenne così il cappellano di Solidarnosc della Huta.

Durante il periodo della legge marziale, tra il 1981 ed il 1983, egli sosteneva ed incoraggiava i polacchi attraverso le omelie durante la celebrazione delle Messe per la Patria. Le omelie e le prediche di Don Popiełuszko erano regolarmente trasmesse da Radio Free Europe, che gli diede una certa popolarità anche all’estero. Fu inizialmente minacciato e invitato al silenzio da parte del Ministero dell’Interno polacco, ed il 13 ottobre 1984 fu coinvolto in un incidente stradale dal quale, però, uscì illeso. Il 19 ottobre 1984, di ritorno da un servizio pastorale, fu rapito e ucciso da parte di tre funzionari del Ministero dell’Interno, e il suo corpo fu ritrovato il 30 ottobre nelle acque della Vistola vicino a Włocławek. La notizia dell’assassinio causò disordini in Polonia e gli autori dell’omicidio – i capitani Grzegorz Piotrowski, Leszek Pekala, Waldemar Chmielewski ed il colonnello Adam Petruszka – furono giudicati colpevoli e condannati a 25 anni di carcere, ma furono rilasciati a seguito di amnistia qualche anno dopo.

Ai funerali parteciparono più di 500.000 persone, compreso il leader di Solidarność, Lech Wałęsa. La Chiesa Cattolica iniziò il suo processo di beatificazione nel 1997. La sua tomba è meta di continui pellegrinaggi, dalla Polonia e dall’estero. Il 14 giugno 1987 pregò sulla sua tomba anche papa Giovanni Paolo II. Il 19 dicembre 2009 papa Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione per le cause dei santi a promulgare il decreto riguardante «il martirio del Servo di Dio Giorgio Popiełuszko, sacerdote diocesano, ucciso in odio alla fede il 20 ottobre 1984 nei pressi di Włocławek (Polonia)».

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Offriamo ai lettori un ampio stralcio dell’omelia pronunciata dal Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, Mons. Angelo Amato SDB, in occasione della beatificazione di don Popieluszko:

Il volto orrendamente sfigurato di questo mite sacerdote somigliava a quello flagellato e umiliato del Crocifisso, senza più bellezza e decoro. La bocca insanguinata di quella faccia martoriata sembrava ripetere le parole del Servo del Signore: «Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Is 50, 6).

Che cosa provocò un simile scempio? Padre Jerzy era forse un delinquente, un omicida, un terrorista? Niente di tutto questo. Padre Jerzy era semplicemente un leale sacerdote cattolico, che difendeva la sua dignità di ministro di Cristo e della Chiesa e la libertà di tutti coloro, che, come lui, erano oppressi e umiliati. Ma religione, vangelo, dignità della persona umana, libertà non erano concetti in sintonia con l’ideologia marxista.

Per questo, contro di lui si scatenò la furia omicida del grande mentitore, nemico di Dio e oppressore dell’umanità, di colui che odia la verità e diffonde la menzogna. Come talvolta capita nella storia, in quegli anni, in gran parte dell’Europa, la luce della mente fu offuscata dalle tenebre e il bene sostituito dal male.

Coscienze profetiche del secolo scorso avevano già avvertito che l’impero del male avrebbe prodotto solo “carrube” amare e indigeste (Lc 15,16), come il cibo dei porci col quale voleva nutrirsi il figlio dissoluto, che aveva abbandonato la casa del padre.

Padre Jerzy non si rassegnò a vivere in questo campo di morte e, con le sole armi spirituali della verità, della giustizia e della carità, cercò di rivendicare la libertà della sua coscienza di cittadino e di sacerdote. Ma l’ideologia malefica non sopportava lo splendore della verità e della giustizia. Per questo l’inerme sacerdote fu spiato, perseguitato, catturato, torturato e, come ultimo scempio, incaprettato e, ancora agonizzante, buttato in acqua. I suoi carnefici, che non rispettavano la vita, non rispettarono nemmeno la morte. Lo abbandonarono, come si abbandona la carcassa di un animale. Fu ritrovato solo dopo dieci giorni.

Non basterebbero i pianti di tutte le mamme polacche per placare un simile strazio. Di fronte alle torture dei carnefici, Padre Jerzy si confermò coraggioso martire di Cristo: «Maltrattato – dice il profeta Isaia – , si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come un agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo […]. Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per l’iniquità del suo popolo fu percosso a morte» (Is 53,7-8).

Il sacrificio del giovane prete non fu una sconfitta. I suoi carnefici non potevano uccidere la Verità. La tragica morte del nostro martire, infatti, fu l’inizio di una generale riconversione dei cuori al Vangelo. La morte dei martiri è infatti il seme dei cristiani. […]

Chi diede al nostro martire la forza eroica del martirio? Nella seconda lettura dell’odierna liturgia della parola, san Paolo ci illumina sulla potenza della grazia, che trasforma in eroi gli araldi fedeli del Vangelo. Come Paolo, anche il Beato Jerzy Popieluszko poteva dire: «Fratelli, il Vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo; infatti in non l’ho ricevuto né imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1,11-12). Gesù scelse il giovane Jerzy, fin dal seno di sua madre, e lo chiamò con la sua grazia al sacerdozio, affinché potesse annunziare la sua parola di verità e di salvezza ai “neopagani” del suo tempo (cf. Gal 1,16).

Il Signore Gesù, presente nell’Eucaristia, era la sua forza. Negli anni 1966-68, il seminarista Jerzy Popieluszko fece il servizio militare, in mezzo a molte sofferenze, umiliazioni e limitazioni della sua libertà religiosa. Gli era impedito perfino di assistere alla Messa quotidiana e di accostarsi alla comunione. In una sua lettera inviata a Mons. Czeslaw Mietek, suo padre spirituale nel Seminario di Varsavia, il giovane seminarista scriveva: «Ieri con il pretesto di versare i soldi in banca sono andato in città. Sono andato in chiesa e per la prima volta dopo un mese ho ricevuto l’Eucaristia».

In mezzo alla persecuzione religiosa il conforto dell’Eucaristia era il pane divino che lo nutriva nella sua testimonianza di fede. Eucaristico fu anche il suo ultimo gesto da vivo, la celebrazione della Santa Messa, il 19 ottobre 1984. In quell’occasione il nostro Martire esortò il popolo dei lavoratori non all’odio e alla vendetta, ma alla concordia e alla pace: «Preghiamo – egli disse – per liberarci dal timore, dalla paura, ma soprattutto dal desiderio di vendetta e di violenza».

È questo il messaggio che il nostro beato Martire ci consegna. Il cristiano è il testimone del bene e del vero. Il cristiano vive come “beatitudine” la povertà, l’afflizione, la pacificazione e anche la stessa persecuzione, secondo la parola di Gesù: «Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,10-12). Questo fu vissuto alla lettera dal nostro Beato, violato nella sua coscienza sacerdotale e perseguitato a morte. […]

La sua fede era incrollabile e la irradiava nell’ambiente e nelle persone che incontrava: «La fede – aggiunge mons. Miziolek – in lui non era un complemento, ma la misura di tutto il suo agire».

È commovente la testimonianza della mamma del nostro Beato, la signora Marianna Popieluszko: «Mio figlio don Jerzy fu per tutta la vita un uomo profondamente credente […]. Quando era sotto le armi recitava il rosario nonostante il divieto del comandante. Non lo udii mai lamentarsi del Signore. Si sforzava di accogliere i dispiaceri subiti con spirito di fede, per carità verso il Signore Iddio».

Padre Popieluszko, come il giusto della Scrittura, viveva di fede e di carità: «Nella vita del Servo di Dio – afferma un testimone – non ebbi modo di osservare antipatia per le persone o odio per i persecutori. Nelle sue prediche esortava alla concordia. Il suo motto erano le parole di San Paolo: “Vinci il male con il bene”».

Lo stesso Beato Martire in un’omelia del marzo del 1983 così esortava i fedeli: «Mostriamoci forti nella carità pregando per i fratelli che sbagliano; non condannando nessuno, ma stigmatizzando e smascherando il male. Imploriamo con le parole che Cristo pronunciò sulla croce: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). E rendici, o Cristo, più sensibili all’azione dell’amore piuttosto che all’azione dell’odio».

Egli era consapevole che il male della dittatura traeva le sue origini da satana, per questo esortava a vincere il male con il bene e con la grazia del Signore: «Può vincere il male solo chi è pieno di bene».

Diceva: «Al cristiano non può bastare solo la condanna del male, della menzogna, della viltà, della violenza, dell’odio, dell’oppressione; ma egli stesso deve essere autentico testimone, portavoce e difensore della giustizia, del bene, della verità, della libertà e dell’amore».

La violenza del male è debolezza e sterilità. Il bene invece vince e si diffonde con la forza della sua dolcezza, della sua compassione, della sua carità.

I regimi passano come temporali d’estate lasciando solo macerie, ma la Chiesa e i suoi figli restano per beneficare l’umanità con il dono della carità senza limiti. I cristiani sono sale della terra e luce del mondo: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,16).

 

Ritratto e reliquia del beato Jerzy Popieluszko 

 

 

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1 commento su “Don Jerzy Popieluszko, potrebbe diventare il primo santo martire ucciso dai comunisti nell’Europa dell’Est”

  1. Vi ringrazio di tutto cuore per questa preziosa testimonianza. Padre Popiełuszko fu martirizzato e lanciato nella Vistola in un punto in cui il corso del fiume che bagna Varsavia viene rallentato da una diga, di proposito, in modo tale che le Sue spoglie fossero ritrovate e il crimine efferato servisse da tragico avvertimento per i Credenti. Fede solida in Gesù Cristo, spirito di servizio alla Chiesa e ai fratelli, alla Patria, ai lavoratori perseguitati da uno spietato regime, in piena fedeltà al Vangelo e all’insegnamento apostolico, il santo Sacerdote abbracciò la Croce e seguì il Divino Maestro sino al Calvario, rispondendo al male con il Bene senza cedere alle ideologie, con la forza d’animo che è dono dello Spirito Santo. Il Signore conceda ai Suoi figli la Grazia di non essere mai separati da Lui affinché sull’esempio di don Jerzy e dei Santi tutti, credendo, operino secondo la Sua Volontà.

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