Al via la causa di beatificazione del martire don Giovanni Minzoni

Home » Al via la causa di beatificazione del martire don Giovanni Minzoni

 

 

Il Dicastero delle Cause dei Santi ha concesso il nulla osta all’avvio della causa di beatificazione di don Giovanni Minzoni, nel centenario dell’uccisione del parroco di Argenta da parte del regime fascista (23 agosto 1923). Postulatore della causa sarà padre Gianni Festa OP, domenicano, già Postulatore Generale dell’Ordine dei Predicatori. Lo affiancheranno, a livello diocesano, don Rosino Gabbiadini, parroco di San Vitale e vice-postulatore e don Alberto Brunelli, vicario generale della diocesi. A promuovere la causa di beatificazione di don Giovanni Minzoni sono stati l’Arcidiocesi di Ravenna-Cervia, l’Agesci, l’Associazione nazionale Guide e scout cattolici d’Italia con il Masci e gli Scout d’Europa e naturalmente la parrocchia di Argenta. «Un parroco missionario tra i ragazzi e i giovani è un grande esempio per noi oggi» ha commentato l’arcivescovo di Ravenna-Cervia, monsignor Lorenzo Ghizzoni, la cui fama di martirio è rimasta solida in Italia in questi cento anni.

Giovanni Minzoni nasceva a Ravenna il 29 giugno 1885 da Pietro e da Giuseppina Gulmanelli. Il padre era proprietario e dirigeva la locanda del Cappello. Il piccolo Giovanni crebbe tra l’affetto dei genitori, e di due fratelli e due sorelle, dimostrando viva intelligenza, carattere aperto, franco, espansivo, energia di volontà, e soprattutto una bontà non comune. Queste qualità, Egli le seppe maggiormente sviluppare col crescere degli anni, nella educazione del Seminario Arcivescovile, dove tra gli studi e gli esercizi di pietà sentì subito la vocazione al sacerdozio, che seguì con fervore, fermezza di proposito, senso di maturità.

Fin dalla prima giovinezza, il Minzoni concepì il sacerdozio come un apostolato, come una vita di sacrificio per la salvezza delle anime. C’è tutta una schiera di amici, sacerdoti e laici, che condivisero con lui gli anni del Seminario, che ne ricordano vivamente le doti di mente e di cuore.

Egli era il compagno buono, a cui non si ricorreva mai invano per un consiglio, per un aiuto, per una parola; era l’amico col quale si fraternizzava al primo incontro, attratti dalla sua calda parola e dalla sua inesauribile bontà; era il ragazzo esuberante, simpatico nello stesso aspetto fisico, dalla corporatura robusta e bene sviluppata e dal volto maschio, aperto, illuminato spesso dal sorriso e dagli occhi pieni di vivacità, che rivelava una precoce maturità di spirito apostolica, nell’investirsi con slancio d’ogni problema morale e religioso, che fosse espressione di un travaglio vissuto e richiesto per una conquista ideale e sociale.

Le sue attitudini a convivere coi giovani ed educarli, venivano sperimentate nell’assistenza, a cui era chiamato nei giorni festivi insieme ad altri seminaristi, dei ragazzi del Ricreatorio Arcivescovile, diretto dal Can.co Pio Bignardi, che ha sempre ricordato con predilezione il giovane coadiutore nelle fatiche per l’educazione cristiana della gioventù ravennate.

Tra l’affetto degli amici e la stima dei Superiori, il Minzoni veniva consacrato sacerdote dall’arcivescovo Mons. Morganti, e celebrava la sua prima messa il 10 settembre del 1909 nella chiesa di San Domenico, parrocchia della sua famiglia. In quella circostanza, Egli faceva pubblicare nella immagine-ricordo una preghiera, che doveva avere certamente mediata e scolpita nel suo cuore, poiché più tardi la voleva ripetuta nel suo testamento. Passò alcuni mesi nell’assistere lo zio arciprete della parrocchia dei Santi Vito e Modesto. Poi per volontà del superiore, nella quaresima del 1910, si recava in Argenta, antico e storico paese, in provincia di Ferrara e diocesi di Ravenna, per essere cappellano di San Nicolò, alle dipendenze dell’allora arciprete don Gioacchino Bezzi. Vi andò con l’animo perplesso, trepidante, ma sacerdote ubbidiente e disciplinato, era animato da figliale riverenza verso il suo Arcivescovo e il suo Arciprete e da risoluta volontà di fare il bene nel campo destinatogli dalla provvidenza.

Subito egli si faceva apprezzare ed amare da don Bezzi e dalla popolazione per la sua indole franca e gioviale, per la sua fervida attività e per sue impareggiabili doti nella esplicazione del ministero sacerdotale. Nello stesso tempo non tralasciava di compiere e arricchire la sua cultura, e negli anni 1912, 1913, 1914, egli frequentava i corsi accelerati della Scuola Sociale di Bergamo, conseguendovi a pieni voti la laurea di dottore. Comprese poi subito il bisogno urgente di allevare cristianamente la nuova generazione. Argenta era stata ed era teatro di agitazioni e di conflitti operai, che tengono un posto speciale nella storia del proletariato italiano. L’opera di scristianizzazione compiuta dal socialismo in questo paese, come in tutta la provincia di Ferrara e altrove, era assai grave; un gruppo di buoni, fedeli all’ideale cristiano ed alla Chiesa, vi era rimasto resistendo con l’organizzazione alla propaganda e alle pressioni avversarie. Ma bisogna salvare specialmente i giovani e i fanciulli; ed a questi si dedicò subito don Minzoni con abnegazione straordinaria. Così pensò e fece decidere l’erezione del Ricreatorio, comune alle due parrocchie del paese, e del nuovo salone, che servisse per le adunanze, per i trattenimenti, per il cinematografo.

Venuto a mancare l’arciprete Bezzi, il 29 gennaio 1916, la popolazione volle suo successore don Minzoni, che veniva eletto con votazione plebiscitaria dai capi famiglia aventi diritto all’elezione dell’arciprete. Ma egli non poté prendere possesso della parrocchia, che reggeva come economo spirituale, nel tempo stabilito. Era già scoppiata la guerra europea, e la nostra patria vi era entrata anch’essa per assicurare i sui diritti e tutelare la sua dignità e sua indipendenza. Don Minzoni non si fece illusioni circa il suo futuro destino di cittadino, e fervorosamente impiegò quei mesi che lo separavano dalla chiamata della sua classe nel sistemare alla meglio la sua importante parrocchia, già chiesa collegiata e anche adesso la principale del paese, nel promuovere ed affiancare quelle opere di previdenza morale e materiale che sorgevano un poco dappertutto in favore dei richiamati, dei combattenti e delle loro famiglie.

Nell’agosto del 1916, chiamata alle armi la classe 1885, egli doveva lasciare la parrocchia per andare soldato nella settima compagnia di sanità in Ancona. Dopo alcuni mesi, veniva destinato al servizio nell’ospedale militare di Urbino. Ma l’ambiente dell’ospedale, dove pure si faceva amare dai superiori e compagni e dove cercava di far del bene, non si confaceva al suo temperamento. Egli si sentiva attratto ad una vita di maggiore attività spirituale ed anche fisica, a doveri più alti e più ardui: perciò, malgrado le preghiere insistenti dei parenti e degli amici, faceva domanda di cappellano di reggimento. La sua domanda veniva accolta, e don Minzoni veniva nominato tenente Cappellano del 255° Fanteria, il reggimento dispari della gloriosa «Brigata Veneto».

Con quale entusiasmo egli parti per il fronte! Le sue lettere scritte di là, e il suo diario di guerra segnavano le azioni del suo nuovo apostolato e rivelano i sentimenti del suo animo nobile ed elevato mai preso dall’avvilimento, sempre pronto al sacrificio. Egli scriveva ad un amico: «Crede che sia avvilito? Per nulla! Anzi lo sa che io ho un carattere che si eccita dinnanzi alle difficoltà e alle cose nuove». Il suo Diario poi è un vero specchio della sua vita, del suo animo. Giorno per giorno vi annota e descrive episodi, fatti, impressioni, osservazioni; vi riassume i discorsi fatti al campo e altrove, le lettere scambiate con la famiglia, gli amici, altre persone; vi esprime giudizi sopra sé, sopra gli altri con la sua solita sincerità e con finezza di esame psicologico; vi confessa i suoi difetti ed insuccessi spirituali, i suoi tormenti, le sue aspirazioni; vi fa vibrare la sua anima con le sue intense emozioni, i suoi santi entusiasmi, il suo fervore per il bene dei soldati e delle persone care lontane, per la salvezza e la gloria della patria.

 

Il cappellano militare don Giovanni Minzoni celebra la Santa Messa in un bosco sul fronte del Carso

 

La sua attività durante la guerra si definisce soltanto così: confortatore dei feriti e dei morenti, confortatore dei soldati, ufficiale, soldato, sacerdote esemplare, di gran coraggio, di grande pietà, di grande fede in Dio e nei destini di Italia. Era sempre pronto e primo nei rischi e nei combattimenti. Egli ben poteva scrivere: «Spendere la vita per un ideale, non è morire, è vivere!». Tra tanti episodi ne ricordiamo uno dell’ottobre dello stesso anno 1917. Si trovava in prima linea ed essendo stato colpito da una palla il capitano medico. Don Minzoni, rischiando la vita, lo soccorse, e sotto il tiro nemico lo portò al sicuro. Riguardo a lui, il colonnello, in data 25 settembre1917, stendeva il seguente rapporto informativo: «Assai robusto, resistente alle fatiche. Ha carattere forte, franco e leale. Ha gentile l’animo e pratica razionalmente la carità cristiana. È molto coraggioso. Coadiuva efficacemente il comando di Reggimento, conservando nella truppa, sia con opportuni discorsi domenicali, sia con consigli dati amichevolmente ai gruppi di soldati che spontaneamente lo avvicinano, lo spirito di disciplina… È stimato ed amato da tutti gli ufficiali del reggimento, compresi quelli non credenti e di altra religione. Malgrado il suo spirito ardente e battagliero, nelle discussioni fra ufficiali si conserva calmo e prudente. In combattimenti ed in trincea è non curante del pericolo; gira per le trincee e per i posti di medicazione a rincuorare i feriti ed i meno animati…“.
Dopo tre anni, don Minzoni ritornava in Argenta. Anche nei momenti terribili della guerra, egli non aveva mai tralasciato di pensare alla sua parrocchia, ma altresì di interessarsi del suo Ricreatorio e dell’Istituto Liverani bisognoso di sistemazione. Nei periodi di licenza, talvolta con grave disagio, correva a visitare la sua parrocchia. Con quale festa vi era accolto! Ed egli, se vi capitava in giorni festivi, teneva discorsi al popolo in chiesa, faceva il catechismo; sempre poi raccoglieva intorno a sé i fanciulli e i giovani; visitava gli istituti, varie famiglie, gli ammalati.
Egli portava con sé una grande esperienza della vita e un nuovo ardore di apostolato. La guerra non l’aveva fiaccato, ma temprato al nuovo lavoro, alle nuove lotte. Egli scriveva: «Si apre un’era nuova, e piaccia al Signore che sappia affrontarla e viverla pienamente e con spirito giovanile». Il 24 giugno 1919, circondato e festeggiato dagli Argentani e da molti amici accorsi da ogni parte, prendeva solenne possesso della sua parrocchia. Nel discorso che rivolse allora dall’altare, vibrò la sua anima generosa: profondamente commosso, e col pianto nella gola, rinnovò i suoi propositi di lavoro e di dedizione a Dio e al prossimo, la sua offerta al sacrificio, quale aveva fatta nella sua prima Messa. Di fronte alla opposizione, specialmente se subdola, da parte dei nemici della religione, egli aveva talvolta degli scatti e delle parole vivaci; non trascendeva però, ne sapeva nutrire alcun rancore. Con la sua bontà e lealtà anche nel confessare i propri torti e difetti, sapeva aprirsi la via ai cuori, o almeno imporre il rispetto e conciliarsi la stima degli stessi avversari.

Amo il decoro della casa di Dio. Attese a restaurare ed abbellire cappelle e altari nella sua chiesa di San Nicolò. Volle dedicarne uno alla memoria dei caduti in guerra. Organizzò feste e predicazioni straordinarie; altre ne preparava. Una festa speciale per solennità e decoro era quella annuale per la prima Comunione dei fanciulli. Promosse con vivo zelo la frequenza ai sacramenti, la devozione al Sacro Cuore di Gesù e alla Madonna della Celletta tanto venerata dagli Argentani.

Impegnato vivacemente nell’Azione Cattolica, come desiderio del Papa, respinge l’accusa di politicantismo e rivendica il lavoro svolto per tredici anni in mezzo al popolo e alla gioventù per il loro rinnovamento spirituale, ed il suo patriottismo dimostrato non solo in tempo di guerra, ma anche dopo, di fronte al bolscevismo. «Faccio del bene – egli dichiara – in pubblico ed in privato, ai cuori ed alle intelligenze, al popolano come al ricco, non per merito mio ma per grazia divina; e se la mia missione è contrastata, allora fiero insorgo a protestare, poiché la religione non ammette servilismi, ma il martirio…».

Scriveva ancora: «Ci prepariamo alla lotta tenacemente e con un’arma, che per noi è sacra e divina, quella dei primi cristiani: preghiera e bontà. Come un giorno per la salvezza della patria offersi tutta la mia giovine vita, felice che a qualche cosa potesse giovare, oggi mi accorgo che battaglia ben più aspra mi attende. Ritirarmi sarebbe rinunciare ad una missione troppo sacra. A cuore aperto, con la preghiera che spero mai si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della causa di Cristo».

Giovedì 23 agosto don Minzoni se ne ritornava verso casa dopo una breve passeggiata in compagnia del giovane Enrico Bondanelli, e si dirigeva verso il cinematografo del suo Ricreatorio, ove si svolgeva il solito spettacolo. Potevano essere le 22.00 o le 22.30. Giunti a pochi passi dal cinematografo, nel buio della stretta via, ad una svolta che assai bene si prestava all’agguato, don Minzoni e il suo giovane compagno di passeggiata vennero seguiti da due persone, la cui presenza essi non potevano neppure avvertire. L’intervento e l’azione dei due sicari furono fulminei e mortali. Un colpo di bastone, vibrato con terribile violenza, si abbatté sulla nuca di con Minzoni, che, dopo aver barcollato un istante, precipitò a terra senza poter dire una parola. Il giovane Bondanelli, percosso a sua volta e ferito abbastanza gravemente al capo, e stordito, dovette abbandonare ogni difesa, mentre gli aggressori si allontanavano velocemente nella campagna.

Il momento non poteva essere più tragico e più angoscioso. E qui si rivelò ancora una volta – purtroppo l’ultima – la forte tempra del coraggioso sacerdote. Lottando contro l’orribile dolore che gli veniva dal cranio letteralmente fracassato, don Minzoni fece per rialzarsi; riuscì a mettersi in ginocchio; ricadde; si rialzò di nuovo, e, aiutandosi al braccio del Bondanelli, che faceva egli pure sforzi sovraumani, riuscì a trascinarsi ancora di qualche passo verso la sua abitazione. A poca distanza da essa cadde e stavolta le forze gli mancarono in modo definitivo. Rese l’anima a Dio verso mezzanotte.

 

 

Facebook
WhatsApp
Twitter
LinkedIn
Stampa
Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Mettiti in contatto con noi!

Hai delle domande o delle osservazioni da comunicarci?
Ti risponderemo il più rapidamente possibile!

Europa Cristiana

Direttore Carlo Manetti

Iscriviti alla nostra newsletter

Se ci comunichi il tuo indirizzo e-mail, riceverai la newsletter periodica che ti aggiorna sulla nostre attività!

Ogni settimana riceverai i nostri aggiornamenti e non di più.

Torna in alto