Nell’immediato secondo dopoguerra italiano, la pena di morte rimase in vigore; dopo la fine del conflitto il d.l.l. 10 maggio 1945 n. 234 (poi modificato dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 2 agosto 1946, n. 64) ammise nuovamente la pena di morte come misura temporanea ed eccezionale anche per gravi reati come rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, costituzione o organizzazione di banda armata. Il decreto aveva efficacia fino ad un anno dopo la cessazione dello stato di guerra. A norma del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 11 aprile 1947, n. 192, tali disposizioni continuavano ad avere efficacia fino al 15 aprile 1948; la costituzione repubblicana, che abrogava la pena di morte per tutti i reati commessi in tempo di pace, però era già entrata in vigore il 1º gennaio 1948. Nel periodo furono comminate un totale di 259 condanne a morte per crimini commessi da ex appartenenti alla Repubblica Sociale Italiana da parte delle Corti straordinarie d’Assise (poi Sezioni speciali delle Corti d’Assise), e dai Tribunali straordinari, 91 delle quali eseguite tra il 2 agosto 1945 ed il 5 marzo 1947.

L’ultima condanna a morte per crimini comuni venne irrogata agli autori della strage commessa in una cascina di Villarbasse (TO), atto commesso a scopo di rapina avvenuta nell’autunno del 1945. L’allora capo dello Stato Enrico De Nicola respinse la grazia e il 4 marzo 1947 alle 7:45, venne eseguita l’ultima fucilazione, per reati comuni, in Italia alle Basse di Stura a Torino. I condannati erano: Francesco La Barbera, Giovanni Puleo, Giovanni D’Ignoti.