Presto beato ungherese Pietro Paolo Oros, martire in Ucraina

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Pietro Paolo Oros nacque il 14 luglio 1917 nel villaggio di Biri, in Ungheria, in una famiglia profondamente cristiana. Suo padre era un sacerdote greco-cattolico e questo non deve stupirci in quanto trattasi di una dinamica tradizionale dei riti cattolici orientali.

Nel 1937, sentendosi chiamato a proseguire la tradizione di famiglia come sacerdote, entrò nel seminario di Uzghorod e, il 18 giugno 1942, fu ordinato sacerdote celibatario dell’Eparchia greco-cattolica di Mukachevo in Ucraina che aveva giurisdizione su quattro Stati: Ucraina, Ungheria, Slovacchia e Romania. Fu inviato come vice-parroco nei villaggi di Velyki Komyaty e Maly Komyaty e si distinse per lo zelo pastorale e il grande amore per i poveri. Nel 1943, a motivo della guerra, fece un corso per cappellani militari a Barca, presso Košice, terminato il quale ritornò alla sua parrocchia.

Nel 1944 questo territorio della Transcarpazia fu occupato dalle truppe sovietiche dell’Armata Rossa e unito alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina e quindi all’URSS. Con questa annessione forzata iniziò la persecuzione della Chiesa greco-cattolica. Nel 1946 Pietro Paolo fu trasferito a Bilky, nel distretto di Irshava, con l’incarico di parroco. Dal 1948 si intensificarono le pressioni su di lui affinché passasse alla Chiesa Russa Ortodossa, ma egli si oppose. Nel 1949 fu proibito lo svolgimento delle attività pastorali e tutte le chiese greco-cattoliche furono chiuse. Venne soppressa la stessa Eparchia greco-cattolica di Mukačevo. Con l’annessione forzata all’URSS iniziò la persecuzione della Chiesa greco-cattolica.

Nel 1953 fu emanato l’ordine di arrestarlo. Cercò di mettersi in fuga. Il 28 agosto, Festa della Dormizione della Beata Vergine Maria, venne fermato da un poliziotto presso la stazione ferroviaria nel villaggio di Sil’ze (Unione Sovietica) che lo uccise con un’arma da fuoco: il foro del proiettile della pistola che l’uccise, entrò dal mento, attraversò il collo e uscì dalla spalla.

Oros fu un uomo pio e fedele agli impegni sacerdotali, indubbiamente un presbitero di fede robusta. Davanti alle pressioni per indurlo a passare all’Ortodossia, egli rimase fedele al Sommo Pontefice e visse consapevolmente la condizione di persona sospettata, controllata ed esposta ad arresti arbitrari e ingiustizie. Quando, nel 1949, la Chiesa greco-cattolica fu messa fuori legge, continuò con coraggio a svolgere clandestinamente il ministero, consapevole dei rischi cui andava incontro.

Fu dunque sotto sorveglianza da parte dei servizi segreti. Infatti, una delle forme di lotta contro la Chiesa era l’eliminazione delle persone importanti che godevano di grande stima nella società. Era perseguitato esclusivamente per motivi di fede.

La sua uccisione fu ritenuta subito un martirio. Malgrado il suo corpo sia rimasto occultato sino alla disgregazione dell’Unione Sovietica, la sua memoria non tramontò nel cuore dei fedeli. Tale fama perdura ancora oggi, unita ad una certa fama signorum.

Venerdì 5 agosto 2022, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi. Durante l’Udienza, il Sommo Pontefice ha autorizzato il medesimo Dicastero a promulgare diversi Decreti, tra cui quello riguardante il martirio di Pietro Paolo Oros. Presto verrà dunque fissata la data della sua solenne beatificazione.

Risulta sommamente utile tornare a leggere quanto ebbe a scrivere Papa Pio XI nell’enciclica «Ecclesiam Dei» a proposito di San Giosafat: anch’egli versò il suo sangue secoli prima per l’unità della Chiesa.
«La Chiesa di Dio, per ammirabile provvidenza, fu costituita in modo da riuscire nella pienezza dei tempi come un’immensa famiglia. Essa è destinata ad abbracciare l’universalità del genere umano e perciò, come sappiamo, fu resa divinamente manifesta per mezzo dell’unità ecumenica che è una delle sue note caratteristiche. Cristo, Signor nostro, non si appagò di affidare ai soli apostoli la missione che egli aveva ricevuto dal Padre, quando disse: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni» (Mt 28,18-19). Ma volle pure che il collegio apostolico fosse perfettamente uno, con doppio e strettissimo vincolo. Il primo è quello interiore della fede e della carità, che è stata riversata nei cuori per mezzo dello Spirito Santo (cfr. Rm 5,5). L’altro è quello esterno del governo di uno solo sopra tutti. A Pietro, infatti, fu affidato il primato sugli altri apostoli come a perpetuo principio e visibile fondamento di unità.
Ma perché tale unità e concordia si perpetuasse, Iddio, sommamente provvido, la volle consacrare, per così dire, col sigillo della santità e, insieme, del martirio. Un onore così grande è toccato appunto a san Giosafat, arcivescovo di Polock, di rito slavo orientale, che a buon diritto va riconosciuto come gloria e sostegno degli Slavi orientali. Nessuno diede al loro nome una rinomanza maggiore, o provvide meglio alla loro salute di questo loro pastore ed apostolo, specialmente per aver egli versato il proprio sangue per l’unità della santa Chiesa. C’è di più. Sentendosi mosso da ispirazione divina a ristabilire dappertutto la santa unità, comprese che molto avrebbe giovato a ciò il ritenere nell’unione con la Chiesa cattolica il rito orientale slavo e l’istituto monastico basiliano.
E parimenti, avendo anzitutto a cuore l’unione dei suoi concittadini con la cattedra di Pietro, cercava da ogni parte argomenti efficaci a promuoverla e a consolidarla, principalmente studiando quei libri liturgici che gli Orientali, e i dissidenti stessi, sono soliti usare secondo le prescrizioni dei santi padri.
Premessa una così diligente preparazione, egli si accinse quindi a trattare, con forza e soavità insieme, la causa della restaurazione dell’unità, ottenendo frutti così copiosi da meritare dagli stessi avversari il titolo di “rapitore delle anime”».

 

 

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