Cardinale Alojzije Viktor Stepinac (1898-1960)
In luogo di una formale Lettera al Direttore, ci permettiamo di pubblicare e di trattare, come se lo fosse, un commento inviato dal Signor Fernando Tiberio all’articolo «Il cardinale Stepinac, martire due volte» (qui), a firma di Arduinus Rex e pubblicato da Europa Cristiana in data 17 febbraio 2019. Gli argomenti sollevati in questo post sono di particolare importanza e necessitano di una chiara risposta, che, non fosse altro che per motivi di spazio, non sarebbe possibile in sede di risposta ad un commento di un articolo.
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La Chiesa ha tanti santi sconosciuti ai più, santi che non appaiono sui calendari, santi che però glorificano il Signore, su questa terra e nel Regno dei Cieli.
Operare per l’unità dei Cristiani è cosa immensamente superiore alla canonizzazione di una persona che pure ha vissuto e svolto santamente la sua missione nel corso della sua vita terrena. Per il Dio di tutti i Cristiani (cattolici, ortodossi, copti, ecc) egli è già un santo. Ed è questo ciò che conta.
Trovo assurdo che persone, dichiaratamente cristiane, non si riconoscano nell’opera del nostro attuale Pontefice.
Nessuno può sapere il travaglio di un uomo di Dio, costretto per ragioni superiori (unità dei cristiani), a non esacerbare il confronto tra cattolici ed ortodossi. Il nazionalismo è la tomba della religione.
Lasciamo che, per il bene comune, sia il Signore a proclamare la santità del card. Stepinac.
Lasciamo lavorare il nostro Papa, pregando per lui e non lasciamoci abbindolare da quella pletora di falsi profeti, che da qualche tempo vanno spargendo veleno sul suo operato.
Io credo fermamente nell’operato del nostro Papa, perché rappresenta la volontà dello Spirito Santo, espressa in Conclave.
Chi non crede a questo, dovrà chiedersi se appartiene ancora alla Comunione dei credenti.
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Egregio Signor Fernando Tiberio,
desidero ringraziarLa moltissimo per le questioni che ha avuto la bontà di sollevare con il Suo prezioso commento; come Ella sa, se ha la gentilezza di seguire il nostro lavoro, sono tematiche sempre al centro della nostra riflessione, ma che vale la pena affrontare nell’angolatura e nella concatenazione che Ella ha inteso loro dare: quando si parla di questioni di Fede, vista l’inesauribilità del discorso, ogni diverso punto di osservazione permette di meglio chiarire le questioni e può donare loro ulteriori sfumature di comprensione.
Come Ella giustamente afferma, la «Chiesa ha tanti santi sconosciuti ai più», che non compaiono nel Martirologio Romano, ma non per questo dimenticati dalla Sposa di Cristo, che, addirittura, ha dedicato loro la solennità d’Ognissanti, il 1° novembre di ogni anno. Ella prosegue, però, sostenendo che essi «glorificano il Signore, su questa terra e nel Regno dei Cieli», dimostrando di non aver compreso il significato e l’utilità della canonizzazione. Che i santi “anonimi”, mi sia consentito di definirli così, glorificano Dio in Paradiso è ovvio; mi permetto, addirittura, di aggiungere che è possibile che alcuni di costoro abbiano un grado di santità anche superiore a quello di alcuni santi canonizzati, con conseguente loro maggiore glorificazione di Dio. Sulla terra, tuttavia, essi non possono glorificare Dio, in quanto la loro azione è unicamente spirituale, quindi, unicamente “localizzata” in Paradiso.
Perché un santo possa glorificare Dio anche con azioni materiali e, dunque, anche sulla terra, è necessario che sia conosciuto e, conseguentemente, oggetto di imitazione. Per garantire al fedele la tranquillità nell’ispirarsi alla vita di una data persona, la Chiesa ha istituito le canonizzazioni, che garantiscono la santità di quell’anima e, quindi, la additano ad esempio per tutti. La canonizzazione, sia detto per inciso, non accresce in nulla il potere intercessorio dei santi, che lo hanno prima ed indipendentemente da essa, ma è di grande conforto per il fedele anche sotto questo aspetto. Risulta, dunque, evidente l’importanza che la canonizzazione di un santo acquisisce agli occhi di quei fedeli che già si ispirano al suo insegnamento; e per il Cardinale Stepinac (1898-1960) sono veramente tanti. Ecco che rifiutare la canonizzazione di un vero santo, per motivi “politici” è gravissimo, in quanto attenta alla tranquillità spirituale e pone questioni di Fede, a volte drammatiche, nel cuore di molte persone.
Particolarmente grave è la Sua affermazione, secondo la quale operare «per l’unità dei Cristiani è cosa immensamente superiore alla canonizzazione di una persona». Tradotto significa che, qualora una qualunque altra confessione cristiana, con la quale la Santa Sede intenda avere buoni rapporti, si dovesse sentire urtata dalla canonizzazione di un certo santo, la Chiesa di Cristo si dovrebbe astenere dall’additare tale campione della Fede alla pubblica venerazione per non dispiacere agli eretici o agli scismatici a cui quell’uomo di Dio non piace. Il risultato ovvio che ne scaturisce è la soggezione della Chiesa all’altrui beneplacito in questioni di Fede: chi è nell’errore deve poter impedire a chi è nella verità di fare ciò che è giusto!
Ogni commento appare superfluo.
È del tutto ovvio che un santo sia tale per Dio, che è onnisciente, ma questo non ha nulla a che vedere con la canonizzazione, che serve agli uomini per avere un modello “certificato” da imitare ed a cui rivolgersi nei momenti di necessità. Ne risulta ovvio che «ciò che conta», ai fini della decisione papale se riconoscere pubblicamente o meno la santità di qualcuno, non è l’onniscienza di Dio, ma l’utilità spirituale che tale modello può fornire a tante anime o, detto in altre parole, quante anime possono essere aiutati a salvarsi dalla elevazione agli onori degli altari di tale persona.
«Trovo assurdo che persone, dichiaratamente cristiane, non si riconoscano nell’opera del nostro attuale Pontefice.
Nessuno può sapere il travaglio di un uomo di Dio, costretto per ragioni superiori (unità dei cristiani), a non esacerbare il confronto tra cattolici ed ortodossi. Il nazionalismo è la tomba della religione».
Questi Suoi due capoversi sintetizzano molto chiaramente la contraddittorietà insita nel Suo pensiero. Innanzitutto, l’essere cristiani non è, come, invece, è, ad esempio, l’essere musulmani, una dichiarazione, ma un dato di fatto: essere battezzati e credere tutto ciò che è Nostro Signore Gesù Cristo ci ha rivelato. Ora è palese che un cristiano (e cristiano può esserlo realmente solo chi è cattolico, perché solo il cattolico crede integralmente a ciò che ha rivelato Gesù Cristo) non possa riconoscersi in un operato malvagio e contrario alla Fede, oltre che particolarmente lesivo della Carità. Per riconoscersi in qualche cosa è necessario che essa sia conforme alla propria fede e, più specificamente, per un cattolico, è indispensabile che sia compatibile con la Fede.
Nello specifico, l’atto di negare la canonizzazione al Cardinale Stepinac, per non urtare il nazionalismo della Chiesa “ortodossa” di Serbia, è contrario alla Fede, perché rifiuta di accettare la divina volontà di portare il suddetto cardinale agli onori degli altari, volontà manifestata dai miracoli avvenuti per intercessione del candidato e regolarmente accertati dagli istituti ecclesiali; tale atto è gravissimamente contrario alla Carità, tanto sotto il profilo dell’amore verso Dio, quanto sotto quello dell’amore verso il prossimo: è contrario all’amore della Santissima Trinità rifiutare di adempiere ad un proprio dovere, a maggior ragione se comandato in maniera puntuale direttamente dall’Onnipotente, oltre ad essere parte integrante del proprio dovere di stato; è certamente una delle forme più gravi in assoluto di mancanza di Carità verso il prossimo quella di negargli strumenti utili alla sua salvezza!
Il fatto che nessuno possa conoscere «il travaglio» che attraversa l’anima di chi compie un’azione malvagia è assolutamente vero, ma totalmente irrilevante. Nessuno può conoscere l’intimità soggettiva, il cuore, di qualcun altro, quando questi agisce; di qui il divinamente saggio comandamento di Gesù a non giudicare, ma anche questo va rettamente inteso, per non declassarlo ad un buonismo blasfemo: ciò che non può essere oggetto di giudizio, proprio perché non può essere conosciuto, è la disposizione soggettiva; la moralità o meno dell’atto, oggettivamente inteso, non solo può, ma deve essere giudicato, come insegna, ad esempio, San Tommaso d’Aquino (1225-1274).
Non esistono, poi, «ragioni superiori» che possano giustificare un atto oggettivamente ed ontologicamente malvagio. Questo principio è vero sempre e non ammette eccezioni di sorta, ma è ancora più evidente quando le stesse ragioni suddette non sono buone, come nell’interpretazione che Ella pare chiarissimamente dare dell’unità dei cristiani: non esiste altra unità accettabile agli occhi di Dio, se non quella che scaturisce dal ritorno degli scismatici in seno all’unica Chiesa di Cristo (la Chiesa Cattolica) e degli eretici alla vera Fede.
L’unico vero bene comune è fare la volontà di Dio. Nel caso specifico della santità del Cardinale Stepinac, poi, il Signore l’ha già proclamata ed è stato il Suo Vicario a rifiutarsi, finora, di riconoscerla.
Voglio rassicurarLa sul fatto che, almeno tra di noi, nessuno vuole impedire al Sommo Pontefice di “lavorare” e che tutti si prega perché egli lo possa fare nella più assoluta libertà; ma la libertà dell’uomo, di ogni uomo (e, quindi, anche del Papa) consiste nel fare la volontà di Dio. Ed è per questo che si continua a pregare, affinché il regnante Pontefice voglia obbedire al comando dato da Gesù a Pietro (e, dunque, anche tutti i suoi successori), quando gli ha detto «ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli»[1]. Questo è l’unico “lavoro” del Papa e tutte le sue azioni debbono essere strumentali a ciò.
Non risponde a verità l’affermazione secondo la quale ogni operato del Papa rappresenterebbe «la volontà dello Spirito Santo, espressa in Conclave». La Fede cattolica ci dice solamente che, durante il Conclave, lo Spirito Santo illumina i Cardinali su chi sia il prescelto a divenire successore di Pietro: se i Principi di Santa Madre Chiesa ascoltino o meno tale voce, dipende dal loro libero arbitrio, come dipende dalla sua libera determinazione ogni comportamento del Pontefice, una volta eletto. Chi rifiuta questo si pone fuori dalla comunione di Fede della Chiesa.
Il Capo della Chiesa è Nostro Signore Gesù Cristo e non esiste atto, parola o omissione di nessuno, nemmeno del Papa, che possa giustificare e, ovviamente, tanto meno comandare legittimamente di disobbedire a quanto Egli ci ha comandato di credere e/o di fare.
[1] Lc 22,32.