Leggende regionali – Valle d’Aosta: La grande leggenda di San Grato

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San Grato veniva da lontano. A Sparta era nato (nelle sue vene scorreva sangue blu) e ad Atene aveva compiuto i suoi studi.

Fattosi monaco in umiltà e obbedienza, passava i suoi giorni a pregare ed a lottare contro l’eresia, che si era diffusa in Oriente.

Costretto a lasciare la Grecia, per sfuggire alle persecuzioni dell’empio re di Costantinopoli, fu accolto a Roma con tutti gli onori dal papa, il quale lo fece suo consigliere e lo inviò come ambasciatore alla corte dei Franchi, per chiedere aiuto a Carlomagno contro il re Desiderio, che tramava per la sua rovina.

Era da poco tornato, quando un giorno, mentre era raccolto in preghiera nella chiesa di Santa Maria dei Martiri, ebbe da Dio la visione di una valle racchiusa tra i monti, abbandonata a sé stessa, che lo attendeva, perché le fosse da guida; e, nello stesso tempo, un angelo in sogno disse al papa di mandar Grato vescovo ad Aosta.

La città, a quei tempi, era ridotta un mucchio di rovine dal passaggio dei barbari e dalle lotte senza fine che si facevano chierici e signori. In tutta la vallata fitte foreste circondavano i centri abitati, offrendo rifugio a lupi famelici e ad altre animali feroci. Anche la gente si era inselvatichita. Oltre che distruzione, malattie e fame, la guerra aveva diffuso superstizioni, eresie e forme di culto pagane.

Disse il Signore al suo servo: «Ti affido un gregge smarrito e disperso: riconducilo tutto all’ovile.».

E Grato si mise con fervore al lavoro.

C’era a Verrès un tempio dedicato a Marte, dove alla statua del dio si offrivano doni e sacrifici. Il vescovo andò dunque in quel luogo, e vi trovò gran folla intorno al simulacro.

Allora stese la sua santa mano: e tosto la terra tremò con spaventoso fragore e l’idolo rovinò al suolo, frantumandosi ai piedi di Grato. Gli astanti, sconvolti dal prodigio, si prostrarono a terra, convertendosi tutti alla Fede.

Ma grande era ancora era l’opposizione dei pagani. Ne giunse voce al buon re Carlomagno, che chiamò il prode paladino Orlando.

«Mio valoroso, impugna Durlindana: dovrai lottare contro gli infedeli che s’annidano in Valle d’Aosta, per consentire a quel vescovo santo di predicare il Vangelo di Gesù.».

Orlando raccolse i più forti guerrieri e, guidata da un angelo, la schiera valicò i monti coperti di nevi, tra rocce e ghiacci, attraverso i più impervi sentieri. Ma, quando Grato seppe che i Cristiani stavano giungendo per annientare i suoi oppositori, così parlò ai nemici della Fede: «Non venite alle armi con i Franchi, che sono audaci e invincibili guerrieri. Ascoltate l’invito di Dio, che vi tende la mano e vi aspetta, per accogliervi tra le braccia come figli.».

Toccati dalle ardenti parole di San Grato, si convertirono anche i più riottosi, ritornando all’ovile del Padre, e non si sparse una goccia di sangue.

Quand’ebbe ricondotto il suo gregge alla virtù, il santo ricevette un nuovo messaggio dal Signore: «È tempo adesso che tu ti metta in viaggio: andrai in Terrasanta a riprendere il capo del Battista, che ancora nessuno ha trovato.».

Tutti sanno come andarono le cose.

Erode Antipa aveva fatto imprigionare il Precursore, che sua moglie Erodiade voleva veder morto, perché rinfacciava i suoi peccati; e lo teneva chiuso in una cella del castello di Mecheronte, presso i confini della Galilea.

Una notte, durante una festa, la figlia di quella donna, Salomè, danzò davanti al re avvolta in sette veli, e tanto gli piacque, levandogli di dosso ad uno ad uno, ch’egli promise di darle qualunque cosa gli richiedesse, fosse pure la metà del regno.

Per ubbidire alla madre, Salomè pretese la testa di Giovanni Battista. Erode aveva giurato, e non poteva più tornare indietro. Così fece decapitare il prigioniero; ma non volle poi che il capo venisse seppellito assieme al corpo, per timore che, messe nella stessa tomba, le due parti si ricongiungessero e Giovanni, risuscitato, si presentasse a lui, per rinfacciargli ancora le sue colpe.

Al tempo di Giuliano l’Apostata, la sepoltura del santo fu violata, i resti del corpo bruciati e ceneri sparse nel vento; le poche ossa che si salvarono dal rogo, trafugate da un monaco, vennero conservate dai cristiani come preziose reliquie. Ma nessuno sapeva dove fosse la testa di Giovanni, che Erode aveva gettato in un pozzo profondo.

Il Signore lo rivelò dunque a San Grato, che, ubbidiente al comando del Divino, partì da Aosta, prendendo con sé come solo compagno di viaggio un monaco di nome Giocondo, che doveva anche lui diventar santo.

A Roma il papa benedisse i due pellegrini, prima che s’imbarcassero sulla nave che doveva portarli in Terrasanta.

Ben presto una furiosa tempesta si scatenò sul mare, e marosi alti come montagne minacciavano di travolgere il battello.

I marinai atterriti si raccomandarono a Grato: «Chiedete al Signore che ci salvi la vita, perché stiamo per fare naufragio!».

Il santo levò le mani al cielo: la procella d’incanto cessò e i flutti si placarono all’istante.

Molti miracoli fece ancora San Grato in Terrasanta, sulla strada che doveva portarlo a Mecheronte.

Là il castello di Erode Antipa non era più che un mucchio di rovine. Ma un angelo, sceso dal cielo, prese il servo di Dio per mano, per condurlo al pozzo nel quale, da secoli ormai, si trovava la testa del Battista.

Ed ecco che il santo capo venne su dal fondo e gli si posò nelle palme protese.

Grato piamente nascose quel bene prezioso sotto il suo mantello e prese la via del ritorno, rendendo grazie a Dio.

Per prudenza, nulla aveva detto di quanto era accaduto al patriarca di Gerusalemme, perché non reclamasse come sua quella reliquia, di cui Sua Santità era in attesa. Ma se il santo serbava il silenzio, il Cielo parlava attraverso continui prodigi. Al suo appressarsi, le campane suonavano da sole, e due bambini risuscitarono da morte.

Quando poi giunse a Roma, il papa, avvertito da un sogno, gli mosse incontro con un corteo. Ed ecco che, senza che alcuno ne toccasse le corde, i sacri bronzi della città si misero tutti a scampanare a gloria, e la folla si riversò in strada, per aspettare l’arrivo di Grato. Ma quando, tra due ali di popolo festante, trasse di sotto il suo manto il venerando capo del Battista, per consegnarlo al papa, mandibola, staccatasi dal teschio, gli rimase appoggiata sul palmo.

Il pontefice allora sorrise.

«Ecco che il Cielo mi dice a chiare lettere quello che devo fare ora: perché è evidente che vuole ch’io doni alla tua valle il pezzo rimasto in tua mano.».

Così San Grato riportò ad Aosta quella reliquia dal Santo Precursore che viene venerata in cattedrale, e continuò con zelo e carità a prendersi cura del suo gregge ad a pregare per la sua salvezza, di tanto in tanto ritirandosi, assieme al fedele Giocondo, nell’eremo sopra ad Aosta, che ancora si chiama Ermitage.

Avvenne un giorno che il diavolo, stando nella seconda regione dell’aria, ispessì talmente i vapori che il sole vi aveva attirato che si scatenò la più tremenda tempesta che si fosse mai vista.

Gli abitanti della città, vedendo minacciati da terribile danno campi e case, corsero dal loro Pastore, perché allontanasse il flagello. Rivestito dei paramenti pontificali, Grato benedisse le nuvole che coprivano il cielo, dissipandole all’istante: e Dio concesse ai fedeli di vedere coi loro occhi costretto alla fuga il maligno che aveva addensate.

Da allora il santo taumaturgo fu chiamato in aiuto dai fedeli contro ogni calamità naturale: grandine e siccità, alluvioni ed incendi, malattie del bestiame ed invasioni di tutti quegli animali che danneggiavano i frutti della terra: topi, talpe, bruci e cavallette.

Grato sempre intervenne, pietoso, in soccorso di chi lo invocava, anche dopo la morte, quando il suo corpo fu seppellito nella chiesa di San Pietro, presso la tomba del santo arcidiacono Orso, e di lì trasferito in cattedrale, in una preziosa cassa d’argento.

Quando la pietra che ricopriva la sua prima sepoltura venne devotamente trasportata nell’ospedale della Maladière, tutti i lebbrosi che vi si trovavano miracolosamente guarirono: e da quel giorno nessuno più contrasse la lebbra nel paese.

Così il santo godeva di gran venerazione, e i pellegrini venivano in processione da lontano, per pregarlo.

Un giorno Bona di Borbone, che passava da Aosta per andare in Savoia, dopo aver con magnifici doni a tutte le chiese mostrato la sua liberalità e devozione per i santi patroni, espresse il suo gran desiderio di possedere una reliquia di San Grato: e sia pure a malincuore e con rimordimento di coscienza, i canonici del Capitolo della cattedrale, non poterono per deferenza sottrarsi alla richiesta della nobile dama, ch’era pur sempre sorella del re di Francia e sposa del duca di Savoia.

Decisero quindi di estrarre un dente dalla mandibola del santo. Ma, benché venisse divelto con tutto il possibile rispetto, dall’alveo prese a gocciolare sangue, come se fosse una ferita aperta.

Incurante di tale prodigio, lieta che il suo desiderio fosse stato appagato, la duchessa si rimise in viaggio, portando il dente con sé. Ma, mentre saliva al Mont-Joux, le nubi si addensarono in cielo e una tempesta di grandine e pioggia, tra rabbiose raffiche di vento, impedì al corteo di proseguire il cammino.

In breve i torrenti si gonfiarono e le acque strariparono dagli argini. Ad Aosta, già il Borgo era invaso dai flutti del Buthier, e la gente, impotente a salvare dalla distruzione le case e i raccolti, invocava piangendo San Grato.

Ma, prima che la rovina travolgesse ogni cosa, qualcuno, ispirato da Dio, raggiunse Bone sulla strada del Mont-Joux e la supplicò di restituire ad Aosta la sacra reliquia disgiunta dai resti del santo, per placare la furia degli elementi scatenati: perché era chiaro che Grato non voleva che una sua pur piccola parte di sé fosse portata via dal paese.

Piamente la nobile signora consegnò il dente insanguinato: e sull’istante la pioggia cessò, le nubi si sciolsero e ritornò il sereno, mentre le acque di fiumi e ruscelli rientravano quiete dentro il loro letto.

Così racconta la Grande Leggenda del santo protettore della Valle.

 

 

San Grato di Aosta visse nel V secolo; non si conosce la sua data di nascita o di morte, solo quella della sua deposizione: 7 settembre 470. Elemento scoperto grazia alla sua pietra tombale, ancora oggi conservata. È stato il secondo vescovo di Aosta e, prima di diventarlo, era un presbitero che collaborava con il suo predecessore, Eustasio.

Questa storia è uno dei più belli esempi di leggenda. Che significa precisamente Leggenda?

Il termine Leggenda deriva dalla parola latina Legenda, che significa «da leggere», «che deve essere letto», «degno di essere letto». Infatti, all’inizio, questo termine veniva usato specificamente per indicare la vita di un santo e, in particolar modo, dei suoi miracoli, senza avere, però, l’assoluta certezza della veridicità della storia in questione.

Sebbene le leggende non assicurino la certezza della veridicità della narrazione, esse hanno sempre un fondo di verità. Come si è accennato, esse narrano fatti attinenti al vero, ma allo stesso tempo sono avvolti nel mistero. Mistero che l’uomo cerca di svela-re attraverso l’immaginazione, trovando così una conclusione plausibile degli eventi trattati. È qui che interviene il pensiero umano (formulato da più persone), lasciando inevitabilmente una scia della propria anima e, di conseguenza, appunto della propria cultura.

 

 

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