Lo attendavamo con speranza, con ansia, con forti aspettative ed è arrivato. È il grande telero ad olio, alto tre metri per due, dal titolo La visione della Chiesa di santa Hildegard von Bingen. Padre dell’opera è Giovanni Gasparro: iniziò a dipingerlo nel 2014 ed oggi possiamo tutti sia ammirarlo che rimanerne sgomenti per il suo significato intrinseco.
La visione della Chiesa di santa Hildegard von Bingen
Olio su tela, 300 X 200 cm, 2014-2018. Image copyright © Archivio dell’Arte / Luciano Pedicini
Ciò che maggiormente colpisce della Beata e Dottore della Chiesa Ildegarda di Bingen (1098-1179), più del suo immenso scibile, è la consapevolezza. Consapevolezza di ogni cosa, sia divina che terrena, del tempo, dello spazio, del cosmo, della storia, dell’eternità. Mistica e benedettina del XII secolo, ella appare contemporanea a noi per i suoi insegnamenti, per i suoi ammonimenti, per la lucidità della filosofia e della teologia, per la padronanza dell’arte musicale e dell’acume scientifico, tutte manifestazioni di un genio poliedrico che esplicita nelle sue argomentazioni scritte, da lei stessa illustrate, e nelle sue partiture, volumi del sapere lasciati in eredità[1]. Ildegarda è antidoto emblematico dei nostri avvelenati tempi.
Nei suoi discorsi parlava soprattutto della negligenza degli ecclesiastici e molti di loro non solo prestavano attenzione alle sue affermazioni, ma raccoglievano con benevolenza i materni richiami. Il suo parlare della Chiesa era tutt’altro che confortante: denunciava continuamente i mali in essa presenti e il suo dire era di tuono. Soffriva per la Chiesa e tutto offriva alla Santissima Trinità per amore della Chiesa.
Beneficiata da Dio di doti soprannaturali, Ildegarda non entrava in estasi, ma, nelle sue visioni, era sempre presente a se stessa. Donna dell’equilibrio e dell’armonia, ha spiegato le coordinate dell’equilibrio e dell’armonia dell’universo, che, sommate, costituiscono la bontà e la bellezza create da Dio. A lei, indocta e resa dotta dal Creatore grazie alla scienza infusa, è stato dato il dono di conoscere nel profondo le melodie del cosmo e di vedere il trattamento della Chiesa prodotto da indegni pastori.
L’epoca storica vissuta dalla «Sibilla del Reno», come è stata chiamata, fu ricca di turbolenze ecclesiastiche: prelati dissoluti, monasteri corrotti dottrinalmente e moralmente, lassismo e stanchezza da parte di coloro che avrebbero dovuto reagire e non lo fecero. Allora lei si fece interprete, disposta a percorrere chilometri e chilometri a cavallo, per predicare contro l’eresia catara nelle piazze e dai pulpiti delle chiese, per rinvigorire la fede e l’adesione alle regole di conventi e monasteri.
Consigliera di principi tedeschi, sollecitatrice dell’Imperatore Barbarossa, Santa Hildegard viene stimata da Papa Eugenio III (?-1153), mentre Re Conrad III di Hohenstaufen (1033-1152), Duca di Franconia, Re d’Italia, Re di Germania e Imperatore, si raccomanda alle sue preghiere, e lei lo incoraggia e lo ammonisce nel contempo: «Beati coloro che si sottomettono dignitosamente al candeliere del sommo Re. O re, sii perseverante e monda il tuo spirito da ogni sporcizia. Poiché Dio sostiene coloro che lo cercano con cuore puro e fervente»[2].
Lasciano scritto i suoi primi biografi, i monaci Goffredo di Disibodenberg e Teodorico di Echternach: «In lei la Sapienza di Dio sedeva sul trono della potenza con sublime autorità e, operando per mezzo suo cose mirabili, palesava i giudizi sulla realtà»[3].
Giovanni Gasparro ha estrapolato una delle visioni ildegardiane, la più tragica. Risale al 1170 e nel leggerla non possiamo non pensare ad una profezia. Ma per quali tempi? I suoi, o la Rivoluzione protestante, oppure il dramma che sta vivendo la Chiesa nostra di oggi? Potrebbe, ancora, essere che Dio permise di presentare alla santa teutonica lo stato in cui la Chiesa versa ogni volta che i pastori tradiscono le leggi evangeliche?
Il pittore Gasparro ci mostra la Chiesa del nostro tempo attraverso la visione della mistica teologa e scienziata e lo fa con la maestria simbolica che gli è propria.
Il dipinto genera, nello spettatore, paura, sconforto e dolore.
Il cromatismo gioca sulla luce, sull’oro, sull’argento. La tinta crema, con le sue variabili, più o meno intense, è preponderante. Nel registro superiore è rappresentata la Chiesa, una donna dall’abito bianco, con le perle al collo e al braccio sinistro. Ed ecco l’enorme e drappeggiato mantello dorato, richiamato nei polsini, e sostenuto da piccoli angeli angosciati e piangenti. Il viso della Chiesa è così sporco da farle perdere i connotati delle pupille. E le colanti stelle dell’aureola sono incenerite come il volto.
Al centro dell’opera l’abito della Chiesa, mentre alla sua destra troviamo Santa Hildegard von Bingen in atto di mostrare la visione. Nel registro inferiore, invece, stanno i contenuti della Chiesa: una prodigiosa ricchezza di scritti, documenti, arredi liturgici. Tutti gli elementi sono impolverati, dimenticati, trascurati come anticaglie morte, senza valore, buone solo per rigattieri. Sia la libreria antiquaria che gli oggetti sacri, manufatti preziosi e finemente cesellati, sono qui pregevolmente proposti e dettagliati: sul dorso dei volumi sono decifrabili i titoli di encicliche, documenti magisteriali, tomi teologici e il tutto è palesemente riferito al tradimento della modernità nei confronti del patrimonio della Chiesa, chiamata a difendere la fede, a salvare le anime e a custodire la tradizione della Chiesa stessa.
Nella scelta delle opere, inconfutabili e che costituiscono il sigillo della cattolicità, Gasparro ha selezionato tematiche precise, atte ad essere vaccino della pandemia modernista che ha colpito la Chiesa da due secoli a questa parte.
Nel registro inferiore del telero possiamo ammirare l’ostensorio, il calice, il turibolo, l’aspersorio, il triregno papale, la mitra, la patena, il reliquiario, le chiavi incrociate di San Pietro, i crocifissi, le sacre ostie sparse in terra e la partitura del Laus Trinitati composto da Hildegard von Bingen. Tutto è bello e buono, ma tutto è inesorabilmente svilito, rinnegato, buttato.
Questo l’elenco completo dei volumi riprodotti:
la Summa Theologiae di San Tommaso d’Aquino; la bolla Quo primum tempore di San Pio V, che promulgò il Messale tridentino come spressione inviolabile della fede cattolica sul sacrificio della Messa, il Sacerdozio e la Presenza reale di Gesù nell’Ostia, dove emergono riorganizzazione e rispetto del culto trasmesso dai Padri; Inter Omnigenas di Benedetto XIV, l’invito ai cristiani a non cedere agli errori degli islamici nei Paesi sotto il Governo turco; Inscrutabile Divinae di Pio VI, la condanna dell’Illuminismo e della smania di novità; Mirari Vos di Gregorio XVI, la condanna di tutti i principi del liberalismo religioso e politico, del progressismo teologico ed ecclesiastico, dell’indifferentismo religioso, delle libertà di coscienza, pensiero e stampa, nonché la condanna della separazione fra Stato e Chiesa, e la riaffermazione del dovere di sottomissione ai legittimi sovrani, oltre alla riproposizione della legge divina sull’indissolubilità del matrimonio e del celibato ecclesiastico. Del Beato Pio IX sono proposti i testi: Qui Pluribus, la condanna dell’indifferentismo religioso e la riaffermazione del primato petrino, con l’incitamento dei regnanti a difendere le necessità del Cattolicesimo, inoltre la condanna del Comunismo, delle libertà di stampa, coscienza e pensiero; In Suprema Petri Apostoli Sede, l’invito rivolto alle comunità scismatiche ortodosse a ritornare in comunione con la Chiesa Cattolica Romana ed Apostolica; Qui Nuper, sulla necessità del potere temporale della Chiesa; Quanto conficiamur, contro gli errori del suo tempo e riaffermazione del principio Extra Ecclesiam nulla salus – fuori dalla Chiesa non c’è salvezza; Quanta cura, che condanna tutte le ideologie moderne, comprese quelle socialiste ed illuministe, giacobine francesi e risorgimentali italiane atte a rovesciare il sodalizio legittimo fra trono ed altare, e condanna dell’instaurazione di Stati aconfessionali; Sillabo, elenco di tutti gli errori del suo tempo, allegato all’enciclica Quanta cura. Di Leone XIII: Sapientiae Christianae, esortazione a rifiutare l’obbedienza alle leggi civili quando queste sono in contrasto con gli insegnamenti della Chiesa; Inimica Vis, condanna della Massoneria; Annum sacrum, consacrazione dell’umanità al Sacro Cuore di Gesù; Mirae Caritatis, enciclica sull’Eucarestia; Dum Multa, condanna del matrimonio civile.
E ancora: Pascendi Dominici gregis di San Pio X, condanna del Modernismo, definito come «collettore di tutte le eresie»[4]. Documenti di Pio XI: Quas Primas, istituzione della Solennità di Cristo Re ed esposizione della dottrina rivelata sulla sottomissione dello Stato alla religione e a Cristo; Mortalium Animos, condanna dell’ecumenismo e del sincretismo religioso; Casti connubii, enciclica sul matrimonio cristiano, che condanna l’aborto e l’eugenetica; Non abbiamo bisogno, condanna delle persecuzioni fasciste all’Azione Cattolica; Mit brennender Sorge, condanna del Nazismo; Divini Redemptoris promissio, condanna del Comunismo. Infine, del Venerabile Pio XII scorgiamo: Humani generis, condanna del neo-Modernismo; Sacra Virginitas, sulle virtù della verginità e della castità; Haurietis Aquas in gaudio, enciclica dedicata alla devozione al Sacro Cuore di Gesù.
Due preoccupati e doloranti angioletti affiancano la Santa ai suoi lati, mentre un altro, atterrito, punta l’indice della mano destra verso la monaca benedettina, portavoce di Dio e che, in questo momento, sta vivendo la desolante e teatrale visione, che Ildegarda in persona ebbe a descrivere nella lettera che inviò, dopo il suo ultimo viaggio (1161- 1163) sul Reno, in direzione di Colonia, poi di Werden sulla Rurh, al decano Werner della confraternita di Kirchheim[5]. Riportiamo, quindi, l’intero testo dell’epistola autografa:
«Nel 1170 dopo l’Incarnazione del Signore, mentre giacevo sul letto della malattia da lungo tempo, desta nel corpo e nello spirito, vidi la figura di una bellissima donna. Squisitamente leggiadra, attraente per la sua amorevolezza, possedeva una tale bellezza che l’umano intelletto non può afferrare. La sua figura si elevava dalla terra al cielo. Il suo viso luccicava di sommo splendore. Con gli occhi fissava l’interno del cielo. Era vestita con un abito luminoso di seta bianca e un mantello ornato con pietre preziose – smeraldi e zaffiri – con perle e perline. Ai piedi aveva calzari di onice. Ma il suo viso era cosparso di polvere, la sua veste lacerata sul lato destro. Anche il mantello aveva perso la sua pregiata bellezza. E i calzari erano sporchi in superficie. Con voce forte e addolorata gridava verso il cielo e diceva: “Tendi l’orecchio, o cielo, il mio volto è macchiato! Sii in lutto, o terra, la mia veste è lacerata! Trema, o abisso, i miei calzari sono insudiciati! Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo il loro nido, ma io non ho alcun aiuto e conforto, né vincastro cui appoggiarmi e che mi sorregga”.
E ancora diceva: “Sono stata nascosta nel cuore del Padre fino al momento in cui il Figlio dell’uomo, concepito e nato da Vergine, ha versato il suo sangue. Con questo sangue, sua dote, mi ha preso in sposa perché io generassi nuovamente dall’acqua e dallo spirito [con il battesimo] coloro che sono stati contaminati dal veleno del serpente. I miei assistenti, i sacerdoti, che dovrebbero fare in modo che il mio volto splenda come l’amore, che la mia veste sia luminosa come il lampo, che il mio mantello brilli come le pietre preziose e che i miei calzari luccichino chiari, hanno gettato il mio viso nella polvere, lacerato la mia veste, oscurato il mio mantello e annerito i miei calzari. Coloro che avrebbero dovuto abbellirmi tutta, mi hanno infedelmente abbandonata. Imbrattano il mio volto quando, affetti dall’impurità dei loro smodati costumi, dallo sporco fetidume della prostituzione e dell’adulterio, dalla irruente avidità della peggior specie nella compravendita di ogni possibile cosa sconveniente, celebrano il mistero e ricevono il corpo e il sangue di mio Figlio. E così lo insudiciano, come se un bambino venisse posto in mezzo agli escrementi dei maiali.
Le stimmate del mio Sposo [Cristo] restano aperte finché sono aperte le ferite dei peccati degli uomini. Proprio il fatto che le ferite di Cristo restino aperte è da imputare agli ecclesiastici. Essi, che dovrebbero rendermi pura e splendente e che dovrebbero servirmi nella purezza, cambiano una chiesa dopo l’altra per smodata avidità [acquistando posizioni migliori]. Poi lacerano le mie vesti in quanto trasgressori della legge, del Vangelo e del loro dovere sacerdotale. E sottraggono splendore al mio mantello poiché in ogni cosa trascurano i precetti loro imposti. Non li adempiono, né nell’intenzione né nell’esecuzione – con la temperanza dello smeraldo -, né con altre opere buone e giuste, dunque Dio non viene magnificato né con questa né con altre pietre preziose. Insudiciano i miei calzari in superficie perché non rispettano i sentieri diritti, vale a dire duri e scabrosi, della giustizia e non sono di buon esempio neppure per i loro inferiori. Tuttavia, sotto ai miei calzari – in certo qual modo dal mio mistero – trovo in taluni lo splendore della verità”.
E udii una voce dal cielo che diceva: “Questa immagine raffigura la Chiesa. Or dunque tu, creatura umana, che vedi e ascolti questi lamenti, annuncialo agli ecclesiastici che sono ordinati per guidare e ammaestrare il popolo di Dio e ai quali vien detto, come agli apostoli: Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura! Infatti, quando Dio creò l’uomo, racchiuse in lui l’intera creazione, come si racchiudono il tempo e i giorni di un anno intero su un piccolo pezzo di pergamena”.
Un’altra volta io, donna misera, vidi una spada sguainata sospesa in aria. Una lama era rivolta verso il cielo, l’altra verso la terra. Tale spada era stesa sopra gli uomini spirituali, di cui un tempo il profeta aveva preannunciato, gridando con gran meraviglia: “Chi sono costoro che volano come nubi e come colombe verso la loro rovina?”. Queste persone infatti sono elevate da terra perché prescelte tra tutto il popolo. Esse dovrebbero vivere in santità e comportarsi e agire con la semplicità delle colombe. E vidi che la spada distruggeva alcune dimore di questi ecclesiastici come, un tempo, dopo la morte del Signore, era stata distrutta Gerusalemme. Ma vidi anche che in questa tribolazione Dio serbò per sé molti uomini timorati, sacerdoti puri e semplici, come rispose al profeta Elia dicendo che voleva risparmiare settemila uomini in Israele che non avessero piegato le loro ginocchia davanti al dio di Baal.
Possa ora invece riversarsi su di voi il fuoco inestinguibile dello Spirito Santo affinché voi scegliate la parte migliore»[6].
I contenuti riportati in questa lettera riconducono a temi teologici affrontati nella terza parte del Liber divinorum operum e appare evidente che Ildegarda non rivolge le sue critiche alla Chiesa in quanto tale, come, invece, accadeva e accade nei movimenti ereticali che si scagliano contro la Tradizione con novità e rivoluzionamenti dottrinali, bensì ai suoi ignobili membri.
La terribile visione della Chiesa di Hildegard von Bingen, dopo 848 anni, trova nell’opera maestosa di Gasparro, per qualità artistiche e per dimensioni, la sua pedagogica e costruttiva interpretazione.
[1] Tre sono i trattati teologici che ha composto: Scivias, Liber vitae meritorum, Liber divinorum operum.
[2] C. Siccardi, Ildegarda di Bingen. Mistica e scienziata, Paoline Editoriale Libri, Cinisello Balsamo (MI) 2012, p. 16.
[3] Vita di santa Ildegarda, XII secolo.
[4] «Collettore» si può tradurre anche con la parola «cloaca», che è la fogna principale che raccoglie tutti i rivoli e gli scoli inquinati. Nel Modernismo confluiscono tutte le eresie della storia della Chiesa, perciò, San Pio X lo ha definito il «collettore», ovvero la cloaca raccoglitrice di tutte le acque avvelenate delle eresie.
[5] Leggiamo nella lettera che l’abate di Kirchheim scrisse alla badessa e che mosse quest’ultima a rispondergli con il testo sopra riportato:
«Osiamo presentarvi ancora una preghiera: non trascurate, nella vostra materna bontà, di mettere per iscritto e di inviarci quello che durante la funzione religiosa, istruita dallo Spirito Santo, avete rivelato oralmente a noi e a molti altri presenti a Kirchheim sulla negligenza degli ecclesiastici perché non sfugga alla nostra memoria, affinché al contrario lo teniamo ancor più attentamente davanti agli occhi. Infatti, poiché purtroppo bramiamo più del necessario le cose terrene e secolari, spesso gettiamo al vento con indifferenza parole vuote. Il vostro materno affetto duri a lungo!». E. Gronau, Hildegard. La biografia, Editrice Àncora, Milano 19912, p. 379.
[6] E. Gronau, Hildegard. La biografia, Editrice Àncora, Milano 19912, pp. 380-381.
4 commenti su “«La visione della Chiesa di santa Hildegard von Bingen», il magnifico telero di Giovanni Gasparro”
Hildegarda di Bingen ha scritto anche una chiara dettagliata profezia sui segni della fine dei tempi.
Non so se essere più entusiasta e rapita dalla bellezza del dipinto o commossa nel leggere una così pregevole disanima di tutto quanto appare ai miei occhi:”che da’ per gli occhi una dolcezza al core che intender non la può chi non la prova”. Le due cose: il grandioso lavoro, magistrale ed ispirato drl pittore e quanto ne ha scritto la critica prof. SICCARDI, si compenetrano provocando nel lettore sensibile una felicità rara in questo campo. Oggi ancora di più :quando si è assetati di genuinità dettata, e’ chiaro, da amore genuino per la Santità, ma anche per la grande Arte. Non posso che ringraziare questa pubblicazione che sembra annoverare tra i suoi collaboratori persone che aderiscono così perfettamente ed in modo insperato alla mia esigenza di serietà, rigore ed amore del bello che aspettavano da anni di essere ascoltati ed esauditi.Grazie!
CONDIVIDO IN PIENO, GRAZIE A TUTTI.
Sono commoventi le parole di Cristina Siccardi che ci racconta l’ultima opera di Gasparro: la santa Hildegard von Bingen. Il volto della santa, tema e centro dell’opera, rimane incompiuto, indefinito. Infatti è incompatibile con il momento attuale in cui le immagini sacre hanno seguito il destino di quelle profane, disfatte in una parodia blasfema non solo della fede ma anche di qualsiasi realtà spirituale. Non solo le immagini ma persino il concetto di contemplazione viene trascinato prima nel ridicolo e poi nella condanna come atteggia-mento eversivo. Gasparro dice la verità come “obbligatorio” per chi tenta di accostarsi alla sublime trascendenza. Ma la verità non piace, viene considerata madre della rivolta alla menzogna globale, dominante. L’Espressionismo astratto venne fatto trionfare perché mascherava, ignorava i crimini della grande depressione, costruita dal capitalismo cresciuto come un tumore dopo la grande guerra. Oggi i potenti personaggi dell’arte sacra e della cultura cattolica, ecumenica: il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, monsignor Nunzio Galantino, segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Pasquale Iacobone, responsabile del Dipartimento “Arte e fede” del Pontificio Consiglio della cultura e monsignor Moreira Azevedo, delegato del Pontificio Consiglio della cultura, che cosa diranno di questa opera?.