La salvezza dai monasteri – «Tricolore»

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È un dato storico che la Chiesa in Europa sia stata impiantata ed evangelizzata nel primo millennio soprattutto dall’esperienza monastica. A partire dal grande movimento dei Padri del Deserto nella Tebaide del IV secolo, passando per la grandiosa opera dei figli di S. Benedetto in tutta l’Europa allora conosciuta, finendo all’azione dei monasteri cistercensi, certosini e altri in tutto il Medioevo, la Chiesa si è formata sui grandi pilastri propri della tradizione monastica: la liturgia, la preghiera, il senso di Dio come esigenza assoluta. Fa da eco a questa innegabile verità quanto successo poi nella Chiesa cristiana orientale, che oggi chiamiamo Ortodossa, in seguito: anche lì l’ossatura è monastica e lo è a tutt’oggi.

I direttori spirituali del popolo sono i monaci, le liturgie solenni sono nei monasteri e la gente comune avverte molto di più la forza della vita monastica (sia maschile che femminile) che non quella delle chiese cittadine rette da sacerdoti sposati.

Il monaco capisce che la cosa più importante e più utile al mondo è la lode di Dio, la preghiera di intercessione, la lotta contro le potenze del male, l’affermazione netta del primato di Dio su ogni altra cosa.

Le attività non servono se non sono animate dalla carità («Se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova», I Cor 13,3), ma la carità è Dio («Dio è amore», I Gv 4,8), quindi chi non ha Dio non ha la carità.

Il monaco agisce sul cuore di Dio facendo leva proprio sulla carità più necessaria e urgente: vivere Dio dentro di sé in una purificazione continua e in un’elevazione progressiva di sé stesso. «Chi eleva se stesso, eleva il mondo», scriveva il piccolo Placido, primo discepolo di S. Benedetto.

Ma vi è un altro principio che distingue il monaco e ne fa un elemento essenziale per la vita della Chiesa. È il «fiat» della Vergine Maria. Quando l’angelo appare alla Vergine e le prospetta la divina Incarnazione del Verbo, Ella risponde «si faccia» e da quel momento la sua vita cambia completamente piega: Ella non si possiede più, vive totalmente a disposizione dell’inaudita novità, che diventa novità perenne a servizio del Figlio, nella Grazia (di cui è ripiena) a lode del Padre. È una vita all’insegna dell’assoluta gratuità: non ci sono opere particolari da fare, ma tutto diventa “opera”, perché la Madonna da quel momento in poi vive giorno per giorno agli ordini di Dio, operazioni che non governa; così passa dalla dolcezza ineffabile della natività all’adorazione intima negli anni di Nazareth senza alcuna opera grandiosa, per arrivare all’angoscia inenarrabile del Calvario.

Questo principio mariano del «fiat» è sempre stato conservato nella Chiesa dalle anime dei fedeli, ma massimamente dai monaci, i quali infatti non hanno opere specifiche nella socialità se non quella meno compresa ossia il lasciar fare a Dio.

Così abbiamo monaci che passano tutta la vita nell’anonimato pregando dalla mattina alla sera, sconosciuti a tutti, abbiamo monaci che escono dal monastero per andare a redarguire i potenti di questo mondo, ne abbiamo altri che vengono mandati in missione, altri ancora che diventano addirittura Papi.

Per loro è la stessa cosa. Il monaco non vuole nulla, se non Dio. Ecco perché oggi essi sono necessari, più che mai. In una Chiesa che sembra lanciare appelli soltanto per il conseguimento di una giustizia umana nell’occuparsi dei bisognosi o chi per loro o dei problemi dell’umanità, nei confronti dei quali la Chiesa in sé ha ben poco potere, in una Chiesa che vuole dialogare con il mondo finendo per dissolvere la sacralità nella mondanità, i monaci continuano imperterriti a far prevalere le esigenze primarie di Dio nella pura gratuità della loro esistenza.

 

 

Fonte: Agenzia Stampa «Tricolore», n. 30863 – 3 Febbraio 2023

 

 

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