Esiste un luogo in Europa che rimanda a 50 anni fa, un luogo entrato nella Storia: si tratta di piazza San Venceslao di Praga. «Essa ricorda la “primavera”, col grido del popolo ceco per la libertà, e poi il lutto per l’invasione comunista del Paese, nell’estate dell’oppressione. Le gioie e i dolori di tutti si esprimevano qui, intorno alla statua di san Venceslao, eretta alla fine dell’Ottocento» (Domenico Agasso senior, in Santiebeati.it).
I Santi Sovrani di Boemia, Venceslao (Václav in lingua ceca), nato a Stochow (Praga) intorno al 907 e ucciso a Stará Boleslav fra il 929 e il 935, e sua nonna Ludmilla, nata a Mielnik nel 860 e uccisa a Tetin il 15 settembre 921, sono i primi martiri cechi del IX e X secolo, assassinati dai parenti più prossimi a causa della fede cristiana e del loro zelo nel diffonderla fra i pagani. San Venceslao, in qualità di «Principe della pace», è divenuto patrono e difensore della Boemia, garante della sua indipendenza e della sua sovranità.
La loro storia è legata agli albori dell’evangelizzazione della Boemia. Ludmilla era la moglie di Bořivoj, capo della tribù dei Přemyslidi e primo Principe ceco accertato. In quel tempo la regione boema era divisa in numerosi principati tribali indipendenti, ma comunque appartenenti ad un sentire comunitario sul territorio. Negli annali franchi se ne parla sempre sotto il nome collettivo di Boemanni. Bořivoj acquisì la supremazia sugli altri capi tribù. Si narra che egli ricevette il battesimo in Moravia dalle mani di San Metodio in persona. La Legenda del monaco Cristiano riporta che il padre di Venceslao, recatosi con la propria guardia d’onore alla corte di Svatopluk, venne accolto magnanimamente e fu invitato ad un banchetto. Tuttavia, in quanto pagano, non fu ammesso alla tavola dei signori moravi e dovette sedersi in terra, davanti alla tavola. Colpito da tale affronto ed esortato da Metodio, egli decise di abiurare alla credenza nelle divinità pagane con i trenta uomini del suo seguito.
In Boemia, però, il battesimo di Bořivoj provocò una grande rivolta fra i capi locali, che decisero di cacciarlo e di nominare un nuovo Principe. Ma Bořivoj, con l’appoggio di Svatopluk sedò la sommossa dei ribelli e riprese il potere. Il suo ritorno in Boemia sigillò il trionfo del Cristianesimo in quei luoghi.
Il più antico cronista ceco, Cosma, ricorda che la sua sposa Ludmilla venne battezzata insieme a lui in Moravia, mentre le biografie successive collocano il battesimo in Boemia. Proprio in Moravia il Principe boemo acquisì la dottrina cristiana ed è probabile che con lui ci fosse anche la consorte e che anche lei abbia ricevuto il battesimo da San Metodio stesso.
Nel castello di Levy Hradets, Bořivoj portò con sé il sacerdote Kaich, allievo slavo di San Metodio, e vi edificò una chiesa dedicata al patrono della missione cirillo-metodica, San Clemente. In seguito, dopo la rivolta sedata, fece costruire un’altra chiesa, questa volta dedicata alla Santa Vergine, nel castello di Praga, dove aveva trasferito la sua residenza. Le linee architettoniche del luogo di culto ricordano quelle religiose della Grande Moravia. Le scoperte archeologiche e i fatti storici vanno a fortificare le fonti letterarie della conversione proprio in Moravia del Principe boemo e della consorte.
Con il passaggio della Boemia sotto la potestà del Vescovo di Ratisbona, il clero latino iniziò a giungere nel Paese. Presso il castello di Budec, il figlio maggiore e successore di Bořivoj, Spytihnev, fece costruire una chiesa intitolata a San Pietro che ancora riprendeva l’architettura morava, ma fu diretta dai sacerdoti latini. Spytihnev fece riedificare anche la chiesa della Santa Vergine fondata dal padre, poi, nello stesso castello, il successore di quest’ultimo, il fratello minore Vratislav gettò, ancora sotto la potestà ecclesiastica di Ratisbona, le fondamenta di una Basilica dedicata a San Giorgio; tuttavia non riuscì a vederne la consacrazione poiché morì nel febbraio 92, dopo sei anni di regno.
Il Duca Vratislav sposò Drahomira, originaria della tribù slava degli Stodorani, che vivevano nell’odierno Brandeburgo. La coppia ebbe sette figli, quattro femmine e tre maschi. Il maggiore, Venceslao, ricevette la sua prima educazione alla Corte della nonna Ludmilla, che lo fece istruire nelle lettere slave da un sacerdote originario della Moravia. Più tardi, il padre Vratislav, lo inviò al castello di Budec per imparare le lettere latine «ed assimilasse bene il loro significato» aggiunge l’autore della Legenda. In Boemia venne così a svilupparsi una duplice cultura, in lingua slava e in lingua latina.
Aveva 14 anni quando Venceslao, nel febbraio del 921, rimase orfano di padre. I signori cechi lo riconobbero come successore legittimo del sovrano deceduto, ma affidarono la reggenza alla madre Drahomira, mentre il primogenito e suo fratello Boleslao furono affidati per la loro educazione alla nonna. Suocera e nuora non viaggiavano sulla stessa lunghezza d’onda. Invano Ludmilla, nell’intenzione di evitare scontri, si ritirò a Praga nel suo castello di Tetin. Dal canto suo, Drahomira, avida di potere e intenzionata ad impossessarsi dei beni della madre del marito, per la quale nutriva invidia a causa dell’ottima fama che riscuoteva fra il popolo, progettò un piano, insieme ai suoi fedeli Gommon e Tunna (probabilmente entrambi di origine normanna), di sopprimere Ludmilla. Così, nella notte fra il 15 e 16 settembre del 921 i due sicari penetrarono nel castello di Tetin, guidando un drappello di uomini armati, raggiunsero la camera da letto di Ludmilla e qui la strangolarono.
Il movente che spinse all’assassinio fu di carattere anche religioso, come riportano le stesse cronache del tempo, in quando Drahomira, rimasta intimamente pagana, voleva eliminare colei che rappresentava, in quel momento, la colonna del Cristianesimo boemo. Con la morte della martire, i sacerdoti vennero cacciati, le chiese demolite e i missionari perseguitati. Per il fatto che Venceslao era stato iniziato alla fede cristiana dalla nonna, egli era mal visto dagli uomini della corte della madre. Nonostante essi fossero battezzati, al pari della reggente, non vivevano il Cristianesimo. Il loro ideale era quello del Principe guerriero, pertanto le aspirazioni ascetiche di Venceslao, le sue letture spirituali, la sua convinta pratica religiosa apparivano ai loro occhi fattori assolutamente negativi. La Legenda riporta le loro considerazioni nel tempo in cui Venceslao già governava: «Ahinoi, che cosa stiamo diventando, dove andremo a finire! Perché qui il nostro principe, che noi abbiamo innalzato al potere, corrotto dai sacerdoti, è diventato quasi un monaco. E se si comporta così da ragazzino, che cosa farà nell’età virile o durante la vecchiaia!».
È così che veniva impedito a Venceslao di frequentare i sacerdoti, ma egli li incontrava ugualmente, di notte, grazie all’appoggio di uomini fidati. Si dice che egli portasse, sotto la veste, il Salterio che lo aveva sempre accompagnato durante il suo soggiorno a Budec. Dopo quattro anni di reggenza turbolenta per mano di Drahomira, la prima azione politica indipendente del giovane Principe e che rese evidente l’impronta del suo regno, fu la traslazione (925) delle spoglie della nonna dal castello di Tetin a Praga, nella chiesa di San Giorgio, dove tuttora riposa. La madre aveva fatto costruire sulla prima tomba di Ludmilla una chiesa dedicata a San Michele Arcangelo con lo scopo, come riporta il biografo Cosma, che il culto della martire, alimentato dalle grazie e dai miracoli che si verificavano sul sito, venisse convogliato sull’Arcangelo.
La tradizione tramanda un profilo agiografico di San Venceslao di notevole portata: è lui che miete e macina il grano, per poi cuocere il pane destinato alle Sante Messe; è lui a preparare il vino per il Santo Sacrificio dell’altare; è lui che, durante la Quaresima, si reca a piedi nudi in pellegrinaggio da una chiesa all’altra, lasciando tracce di sangue sulla neve; è ancora lui che porta sotto la veste un cilicio. Preghiera, sacrifici e penitenze e poi azioni di apostolato e iniziative di evangelizzazione grazie anche all’intervento del movimento riformatore di Cluny, i cui influssi raggiunsero la Boemia in virtù del primo Vescovo di Praga di origine ceca, San Vojtech (Adalberto).
La vita di Venceslao fu monacale, sobria, casta, nonostante il matrimonio contratto per dare una discendenza alla sua stirpe, che si assicurò con la nascita del figlio Sbraslav. Si dice che questo sovrano, teso alla vita spirituale, aveva, parimenti, capacità decisionali ed una lungimiranza politica degne di un grande sovrano, ma di regalità cristiana, capace di esprimere sì l’autorità con determinazione, ma con tolleranza e carità.
Mentre Venceslao cristianizza sempre più la Boemia con l’apporto, in particolare, di missionari tedeschi e di molti sacerdoti che arrivano in gran numero in questa terra, portando con sé libri occidentali (latini) e reliquie di santi, il fratello Boleslao congiura contro di lui. Si decide di assassinare il sovrano, ma non a Praga, dove è protetto dalla guardia d’onore, bensì nel castello di Boleslao, il quale invita Venceslao per celebrare insieme la festa dei Santi Cosma e Damiano, ai quali era stata dedicata la chiesa locale. L’omicidio deve essere compiuto, secondo il piano criminale, durante il banchetto proprio nel giorno della festa dei Santi martiri, ma, quando giunge il momento, non trovano il coraggio di compiere l’atto. Il sovrano, avvertito del complotto, decide di non fuggire e l’indomani, il 28 settembre 935, mentre si sta recando a servire la Santa Messa viene assalito dal fratello, dal quale riesce a liberarsi e tenta di entrare in chiesa, ma il portone viene chiuso da un sacerdote al soldo di Boleslao. È così che San Venceslao trova il martirio, sotto i pugnali del congiunto e dei suoi uomini.
Il sangue versato, nonostante per tre giorni si cerchi di cancellarne le tracce, riaffiora continuamente sul muro della chiesa: è il primo miracolo del martire. La salma viene sepolta nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano, ma nel 938 il nuovo sovrano, il Principe Boleslao (pentito del misfatto?) permette la sepoltura sotto l’altare della chiesa di San Vito a Praga, costruita per volere di San Venceslao. Si racconta che il carro, che trasportava le spoglie, venne sorretto da una forza soprannaturale per guadare un fiume in piena e il cui ponte era stato distrutto dalla forza dell’acqua. Da allora la chiesa, come risulta anche nell’atto di fondazione del Vescovato di Praga, prese a chiamarsi di San Vito e San Venceslao. Dopo il miracolo del sangue del martire ineliminabile, dopo la possibile conversione del fratello e il viaggio prodigioso della sua salma, altri e molti miracoli si aggiunsero ad incrementare un culto che in Boemia è divenuto patrimonio identitario inossidabile.