Genderismo: follie e contraddizioni del femminismo

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Il femminismo, nella sua essenza, al di là delle sue vicende e differenze interne, prospetta una visione unilaterale ed anticristiana, non fosse altro per l’inimicizia uomo-donna che esso propugna e a cui alla fine si riduce la sua narrazione, fino all’autonegazione della stessa identità femminile; le conseguenze di questo sono sotto gli occhi di tutti, in una vera e propria eterogeneità dei fini, in quanto l’estremismo femminista induce all’isolamento e alla precarietà nella condizione delle donne e delle famiglie. Questo anche perché il femminismo, negli ultimi decenni, ha colpevolmente abbandonato l’analisi strutturale della società, ed ogni reale interesse verso la grande parte del mondo in cui comunque l’emancipazione delle donne è tutta da farsi. Per questo si può parlare di un fallimento storico del femminismo, che si colloca oggi come ideologia pienamente integrata nel Sistema globalizzato e nelle tendenze postmoderne.

Questo femminismo subalterno, ufficializzato a livello istituzionale e mediatico a cura e a pro dell’establishment, con le “quote rosa”, nonché con le aberranti ingegnerie giuridiche e linguistiche tanto care alle burocrazie UE, ha come effetto di ignorare (nel senso di non conoscere e coscientemente trascurare) la situazione reale delle donne quanto all’occupazione, il lavoro, la sanità, la scuola, la vita nelle città, le tutele della maternità: obiettivi concreti e in passato condivisi da varie componenti del movimento.

 

Suicidio storico

Assistiamo oggi ad un confluire del femminismo nei movimenti per i diritti LBGT e infine nel genderismo.

È un suicidio storico, che se evidenzia le contraddizioni già insite del femminismo, contiene oggi nuovi elementi distruttivi e di grave minaccia per il futuro.

Potremmo ignorare gli aspetti grotteschi, spettacolari, mediatici dell’imposizione del politicamente corretto, ma quanto di esso si rivolge alle fasce di età più fragili ed influenzabili non può essere sottovalutato; nello stesso tempo, con il possibilismo, anzi ormai il consenso sull’utero in affitto, il femminismo dimostra di rinnegare le stesse acquisizioni dell’autocoscienza e della solidarietà tra donne. [1]

In prima fila per sponsorizzare le teorie del gender, Istituzioni ed università non mancano di lanciare altri prodotti (che non di altro si tratta) farneticanti, per lo più imperniati sulla destrutturazione dell’identità della donna, di cui si rifiuta la realtà biologica e psicologica a favore di –quelli sì- stereotipi che possono essere spacciati nel supermercato gender. Queste promozioni contengono aspetti mercantili, ma anche kit scientisti che arrivano ai confini dell’orrore, per esempio nell’applicazione precoce all’infanzia.

Ecco quindi per esempio lo xenofemminismo, il femminismo alieno, completamente appiattito sulle tecnologie e le manipolazioni del corpo e della mente, asservito alle Bigfarma, che propugna una totale artificializzazione e disumanizzazione; la sua propagandista, tale Helen Hester, vi ha con tutta evidenza sfogato le sue patologie fobiche, eppure di tali aberrazioni si parla, si pubblica, c’è che le prende sul serio.  Si tratta di teorie improvvisate su miseri fondamenti culturali, e che pretendono porsi come scientifiche, rivoluzionarie e liberatorie, mentre sono l’ultimo stadio di un processo di degenerazione e di servilismo al Sistema.

 

Una contraddizione insanabile

Vi sono altri aspetti che vanno emergendo, e che disegnano prospettive più preoccupanti e incisive di quanto lo sia il teatrino delle star internazionali e nostrane della falsificazione e del terrorismo ideologico.

Un testo pubblicato dal Collectif anti-genre[2]  analizza in modo documentato e rigoroso la contraddizione tra la realtà e gli interessi delle donne e le teorie gender focalizzate sul transessualismo.

Il testo parte dall’affermazione dell’esistenza di due sessi nella specie umana come dato reale e significante. Quella di cambiare sesso è pertanto una falsificazione. Il genere è invece un complesso psicosociale che viene imposto –o “scelto”-, senza che esso muti la realtà di base: «Nasciamo maschio o femmina». In sostanza, sostiene il testo, sarebbe proprio la società ad imporre quegli “stereotipi” che altrove il politicamente corretto tanto mette sotto accusa.

Un uomo che rifiuta la mascolinità (l’insieme degli stereotipi che essa copre) rimane un uomo, anche se sceglie di abbracciare ciò che costituisce la femminilità. Una donna che rifiuta la femminilità (l’insieme di stereotipi che essa copre) rimane una donna, anche se sceglie di abbracciare ciò che costituisce la mascolinità. (…)

L’idea che potremmo non essere il nostro corpo – essere “nati nel corpo sbagliato” – non ha alcun senso. (…)

 Per tutte le ragioni di cui sopra, suggerire a bambini – specialmente a quelli che non hanno ancora una buona comprensione dei pro e contro di ciò che sta loro succedendo – che potrebbero non essere nati nel corpo giusto, avere un corpo inadatto, (per il motivo) che la loro personalità non corrisponderebbe al loro corpo (come se una cosa del genere avesse un senso), col rischio di imbarcarli in un’impresa di medicalizzazione a vita, potenzialmente nociva alla loro salute fisica (e quindi mentale), che potrebbe includere una fase di chirurgia dalle implicazioni irreversibili (a partire dalla maggiore età), è particolarmente indesiderabile – per usare un eufemismo. 

 Il testo contesta e smaschera la confusione tra rivendicazioni antisessiste e genderismo militante, il quale va a coincidere con l’ideologia queer e transgender. Per quale motivo –ci si chiede- questa forzatura ideologica, che arriva fino ad imporre e pianificare nell’infanzia la “disforia di genere”, ha tale influenza e copertura mediatica, tanto pretenderne l’ufficializzazione e il recepimento in leggi dello stato e pratiche istituzionali?

 

 Un’ideologia imposta internazionalmente

 Alcuna ideologia potrebbe diffondersi così massicciamente e rapidamente, e concretizzarsi (per esempio giuridicamente) senza il sostegno pratico e finanziario d’istituzioni, di notabili e di gruppi d’interesse capitalisti e di Stato.  I cambiamenti che si osservano ai diversi livelli delle istituzioni non avvengono per caso, le leggi non cadono dal cielo. Sono il risultato di un movimento organizzato intorno a obiettivi specifici. E in effetti, i principali organismi di promozione dei diritti trans – organizzazioni LGBT, in cui la T è ormai preponderante, dunque (LGB)T – sono finanziate da ogni sorta di fondazioni private legate a grandi multinazionali, o più direttamente a ricchissimi e famosi capitalisti, oltre che da istituzioni statali o sovrastatali. Una femminista americana, Jennifer Bilek, lo documenta sul suo sito web. Dalle Open Society Foundations di George Soros alla Arcus Foundation fondata dal miliardario Jon Stryker, della Stryker Corporation (una multinazionale dell’industria delle apparecchiature mediche), passando per la NoVo Foundation di Peter Buffett, figlio di Warren Buffett, e molti altre, si trovano, nel finanziamento del movimento (LGB)T, alcune delle solite figure del filantrocapitalismo. La Human Rights Campaign (HRC), la più importante lobby in materia di diritti (LGB)T negli Stati Uniti, la cui influenza si estende anche a livello internazionale e il cui budget supera i 44 milioni di dollari all’anno, è finanziata da tutte le peggiori multinazionali del mondo (American Airlines, Apple, The Coca-Cola Company, Google, Microsoft, Pfizer, Nike, BP, Chevron, Paypal, Amazon, IBM, ecc[93]). 93] I Principi di Yogyakarta, menzionati sopra (che forniscono una prima base teorica e giuridica per il brillantissimo concetto di “identità di genere”), sono nati da un incontro all’Università Gadjah Mada di Java dal 6 al 9 novembre 2006 di due organizzazioni, la CIJ (Commissione Internazionale dei Giuristi) e l’ISHR (Servizio Internazionale per i Diritti Umani), oltre a esperti di diritti umani di tutto il mondo. Le due principali organizzazioni dietro questi principi, la CIJ e l’ISHR, sono finanziate da fonti sia statali (i governi di Germania, Finlandia, Regno Unito, Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi, Commissione Europea, ecc) che capitalistiche (la Open Society Foundations, tra altre fondazioni private). Tra le principali organizzazioni consacrate alla promozione dei diritti trans in Europa si trova la ONG Transgender Europe (budget 2020 di 1.160.000 euro), finanziata dalle solite entità (Commissione europea, Open Society Foundations, Governo dei Paesi Bassi, Consiglio d’Europa) e ILGA Europe (budget 2019 di 3.078.903 euro[95]), anch’essa finanziata dalle solite entità (Commissione europea, fondazioni private, aziende). (…)

Il movimento dei diritti trans medicalizza la non-conformità di genere con il sostegno dell’industria medica e farmaceutica. Medicalizzare la sofferenza legata agli stereotipi di genere, per esempio chiamandola “disforia”, permette di individualizzare un problema sociale e di metterlo nelle mani di specialisti. Invece di cambiare le strutture mortifere di una società, si curerà e allevierà gli individui che non rientrano nello stampo (o, più precisamente, si attaccherà la biologia, la natura, che ha fatto male il suo lavoro fornendo un corpo maschile a una persona la cui anima, “identità di genere”, sarebbe “donna”).

 

La cancellazione del sesso.

Il quadro quindi si completa. Aderendo sconsideratamente alle crociate (LBG)T e sostenendo il genderismo, le donne non solo contribuiscono a distorsioni sociali e psicologiche di cui difficilmente può prevedersi la portata, ma tradiscono lo stesso femminismo storico, gli obiettivi di emancipazione su piano mondiale, gli interessi e le reali difficoltà delle donne, nel lavoro, nella famiglia, nella società.

È evidente quindi che “la cancellazione del sesso”, propugnata dai burocrati delle organizzazioni internazionali a pro di un’improbabile neutralità del linguaggio, dei dati anagrafici, ecc…va a discapito e gravemente delle donne, in primo luogo nei Paesi ove l’aggregazione e il movimento femminile già è difficile se non impossibile.

Ma questo, com’è noto, non interessa affatto alle star del cartello (LBG)T. Come non interessa il venir meno delle forme di sostegno e tutela per la maternità e la famiglia, già più che insufficienti, ed ora diluite nei calderoni arcobaleno.

In questo contesto, l’obiettivo politico di “neutralizzazione del genere”, d’’”invisibilità del sesso”, di “rendere le strutture dello Stato cieche alle differenze dei sessi”, di “cancellazione del sesso nel diritto”, “verso sempre più universalismo repubblicano”, vale a dire la soppressione delle categorie sociali uomini e donne, e quindi delle protezioni e diritti specifici che le seconde hanno ottenuto, è un obiettivo nello stesso tempo assurdo e terribilmente pericoloso per le donne e le ragazze. Se a questa invisibilizzazione del sesso nel diritto si aggiungesse la cancellazione del sesso nel linguaggio, allora le donne sarebbero condannate a un’oppressione e a una sofferenza mute, indicibili.

 Il tutto in termini generali si traduce in un impoverimento ulteriore della democrazia, della partecipazione e delle comunità, ove agli aggregati sociali spontanei e fondati sulla concretezza di vita si sostituisca sempre più la virtualità, la propaganda, le parole d’ordine posticce e vuote, accreditate da leader fasulli ed influencer.

 

[1] La banalizzazione della pornografia e della prostituzione è anch’essa una storica sconfitta del femminismo.

[2]Transgenderismo, cancellazione politica del sesso e capitalismo.”, Il Covile n.599, 25-6-2021. Il testo si riferisce quanto agli aspetti legislativi e di cronaca, alla situazione francese.

 

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