Il giorno sacro ai morti
io pregherò Gesù
perché con sé lo porti
nel Regno suo lassù.
Il Regno del Signore
tutti ci accoglierà
pace, bellezza, amore,
beata eternità.
Già, la maestra un tempo faceva mandare a memoria – son passati tant’anni ma sembran passati secoli! – la poesia sul giorno dei morti; noi poi la recitavamo a casa e i genitori e i nonni, commossi, ci dicevano che è proprio così: la vita è solo un breve pellegrinaggio terreno e che, noi, dobbiamo aspirare a quel Regno di pace e di gioia come dice Sant’Agostino: «… quia fecisti Te ad nos et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te» («…perché siamo fatti per Te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te.»)
Un tempo i bambini venivano portati ai cimiteri dai loro genitori, a portare un fiore e a recitare una preghiera sulla tomba dei parenti defunti, e, intanto, nell’attesa di rivederli in cielo, era come un “salutino” che serviva ad “addomesticare la morte”.
Se una maestra che, oggi, parla tranquillamente agli scolari di sesso, di “gender”, di matrimoni pederastici, di “diversi tipi di famiglia” e sconcezze simili, osasse parlare ai ragazzi della morte, del Paradiso, della Resurrezione della Carne… come minimo si beccherebbe un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), insomma una visita dallo stregone dei nostri tempi, ovvero da uno psicologo… e potrei portare anche le prove.
Parlare della morte, in questo mondo, in cui le “mammine sessantottine”, tra un cappuccino al bar, un’ora in palestra e un’altra dall’estetista, hanno anche il tempo di “sdottoreggiare” nelle assemblee scolastiche e in quelle ecclesiali insegnando agli altri ciò che non sanno loro, è da persone fuori del mondo, da “reazionari”, da – ed è l’offesa più grossa – gente che non ha recepito gli insegnamenti conciliari.
Come si può parlare della morte in questo mondo in cui le criminali guerre dell’Onu vengono chiamate “interventi umanitari”, il disabile diviene il “diversamente abile”, mentre se chiami ricchione o finocchio il vicino sculettante, sei cancellato, non solo da facebook, ma dal genere umano e sono divenuti discriminatori perfino i nomi di mamma e di papà (sostituiti da «genitore 1» e «genitore 2»), che potrebbero offendere gli ibridi, i figli di due ricchion… pardon gay, i figli della provetta o quelli venuti dall’utero in affitto?
Oggi vige una sorta di melensa new-age, portata avanti anche dalla liturgia che, dal Concilio Vaticano II in poi, alla morte ha tolto ogni sacralità: l’abolizione dei paramenti neri, l’abolizione di quei canti meravigliosi e tremendi a un tempo, come il Dies irae e il Libera me domine, sostituiti da canzoncine di rara imbecillità in cui si fa parlare il morto che, al suo incontro con il Signore, dovrebbe donare “grappoli d’amore” e “cestini di dolore”… perfino il carro funebre non è più nero, ma metallizzato : vuoi mettere la bellezza e la goduria del morire sapendo di essere trasportato da un bel carro metallizzato, senza croci ed orpelli, in confronto ai carri funebri barocchi che mettevano paura? E poi, ora, il morto vien subito tolto dai piedi, portato in una cappella… possibilmente distante da casa, perché in casa potrebbe innervosire i cani (in genere i cani sostituiscono i nonni che vengono mandati all’ospizio)… e poi il prete che ti arriva con una gabbanella bianca, per non intimorire i bambini (e i cani) e ti fa una tiritera e un predicozzo che sembra di essere a una riunione di condominio…
Si, la morte è volgare, macabra, disturba, e disturbano e imbarazzano perfino i parenti del morto…
Scriveva un grande scrittore e un caro amico, Fausto Gianfranceschi, che aveva perso un figlio diciottenne in un tragico incidente di moto: «Colui che ha avuto una grave disgrazia in famiglia reca imbarazzo, un tempo si cercava di ‘addomesticare’ la morte, oggi si cerca di nasconderla, insomma la morte non esiste». E il cadavere si cerca di toglierlo di torno subito, incenerendolo, come già nell’Ottocento, raccomandavano le società massoniche per la cremazione… oggi “tollerata” (quando non raccomandata) perfino dal clero!
Oggi si cerca di nascondere la morte come si nasconde la polvere sotto i tappeti. Ha ragione l’antropologo francese Louis V. Thomas: «Ci sono società che rispettano l’uomo: sono quelle dove la vita, seguendo la saggezza dei millenni protegge se stessa facendo spazio all’idea della sua fine. E ci sono invece società necrofile, devastate da ossessioni patologiche: sono le nostre, le culture della morte negata e sepolta con la stessa cura con cui si seppelliscono i cadaveri. L’esperienza concreta dell’antropologo dimostra che negare la morte genera altra morte.»
Fa senso parlare del morto come fa senso andare dal confessore («Che peccati posso aver commesso io?» dicono con sicumera i “cazzerellini tutto pepe e sale” della moderna società che si fa beffa di Dio) e si fa sfoggio di anticlericalismo ottocentesco fuori del tempo, ma che i radicalsocialisti (i pochi sopravvissuti) però vorrebbero (e in alcuni casi l’hanno fatto) mettere in pratica, come l’abolizione dei cimiteri (si costruiscono però quelli per cani) per creare, zapaterianamente, dei luoghi della memoria gettando le ceneri del “de cuis” in un apposito spazio, seguendo una macabra (questa sì) “liturgia laica” (che tanto si avvicina alla liturgia religiosa dei neomodernisti), che trova le sue radici in serie di telefilm “esoterici”, fatti visionare “a gogo” dalla RAI e dalle reti berlusconiane, in cui streghette e maghetti, buoni e sensibili, riescono a tornare dal passato per riabbracciare parenti o gli amici perduti, oltre un vago panteismo sentimentalista : «Ma non vi accorgete come in questo posto si sentono le presenze?»”!
Mai come adesso, in questa società che ha terrore della morte e che si reputa “scientifica”, sono in voga maghi, streghe, stregoni, cartomanti, psicologi, pitonesse, fattucchiere, assistenti sociali, venditrici di filtri e di erbe depurative, sociologi e nullafacenti vari…
A un simbolismo religioso, didattico, educativo, a una liturgia bimillenaria che può aver infastidito alcuni, fatto piangere altri, ma che non ha mai fatto ridere nessuno, oggi si preferisce – parrocchie comprese – il simbolismo pagano di Hallowen.
Anni fa il Vescovo emerito di Pistoia (ora scomparso) Monsignor Simone Scatizzi (che una volta “pensionato” cominciò ad assumere posizioni coraggiose e a parlar chiaro lasciando a casa la consueta “bovinità”) denunziò quella mania delle “zucche vuote” di Hallowen portate in giro nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre, i giorni che precedono la commemorazione dei defunti, da altrettante “zucche vuote” (quelle dei genitori dei poveri bambini) a suonare campanelli e a fare scherzi di dubbio gusto: «Un attacco contro la Civiltà Cristiana – scriveva l’ex Vescovo di Pistoia – una festa figlia di una mentalità laicistica e consumistica, un business vergognoso, un retaggio di paganesimo.»
E come dargli torto?
Stendiamo, poi, un velo pietoso sulle ricorrenti profanazioni di cimiteri, fatte nella notte di Hallowen, non importa se da satanisti o da semplici delinquenti, che, ogni volta, è sempre in numero maggiore, sono riportate dalla stampa.
Ieri sera Lorenzino, il figlio più piccolo (ha sette anni) di nostri amici, ci ha recitato -e ci siam commossi – una bella poesia di Edvige Pesci Golini, trovata in un vecchio sussidiario della sua mamma e che ha studiato da solo: «Mi raccomando – ci ha detto il ragazzo – non dite nulla alle maestre (ora sembra che siano molteplici n.p.c.) sennò mi dicono che voglio essere diverso dagli altri e che offendo chi non la pensa come me». Ed ecco il “corpo del reato”:
Poveri morti soli
nei muti camposanti
vi diamo lumi e fiori,
insieme ai nostri pianti.
Ma l’unico conforto
che vi toglie all’oblio
è la nostra preghiera
che ci ricongiunge in Dio.
Capisco lo scandalo di questi versi che invitano alla visita dei camposanti, alla preghiera e al ricordo di chi non c’è più… ricordo lo scorso anno quando, nel mio paese – dove otto anni orsono il pievano tolse il rintocco a morto delle campane, che salutavano per l’ultima volta il defunto e invitavano alla preghiera, per sostituirlo, forse, con la voce sguaiata del muezzin – riprese a suonare, a mezzanotte, la “campana del freddo”, come un invito a godere dei “sacri focolari” domestici, dopo che erano passati tanti bambini, preceduti e seguiti dai genitori con le “zucche vuote”, a suonar campanelli con la domandina scema : «Dolcetto o scherzetto?». Poi ho sentito, nelle prime ore del mattino, in mezzo alla strada, urla belluine di giovani che sciamavano, vestiti da maghi, da streghe, da fattucchiere, da psicologi, da assistenti sociali, da diavoli, di ritorno dalla discoteca dove erano stati a… festeggiare i morti.
1 commento su “Addomesticare la morte disprezzando i morti”
Bravo, Professore! Come sempre. E come sa toccare le corde del cuore coi suoi rimandi poetici e col racconto di quel bimbo che, “rubata” una poesia dal sussidiario della mamma, commuove tutti non solo recitandola, ma manifestando, grazie a Dio, di pensare diversamente dagli altri. E che Dio ci guardi dal maledetto giorno di Halloween, ricorrenza a cui noi boccaloni di novità americaneggianti abbiamo da anni beotamente aderito. Già da diversi giorni negozi e grandi magazzini ridondano di orribili maschere: streghe, fantasmi, spettri, diavoli di ogni ordine e grado invitano al loro acquisto ed enormi zucche sono presenti ovunque: perfetta fotografia di questa società che non solo ha perso la ragione, ma ahimé, ha perduto anche la fede.